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REVIEWSLE RECENSIONI
25/07/2023
The Heavy
Amen
Tornano dopo quattro anni i britannici The Heavy, con la consueta amalgama di rock e retro soul, per un disco tutto all'insegna del divertimento.

Il sesto album in studio per il quartetto inglese degli Heavy, band originaria di Bath, arriva quattro anni dopo la loro ultima pubblicazione intitolata Sons (2019). La band, composta da Kelvin Swaby (voce), Daniel Taylor (chitarra), Spencer Page (basso) e Chris Ellul (batteria), possiede da sempre un’ambivalenza stilistica, caratterizzata da due distinte anime, fuse in un solo corpus: una decisamente rock, l’atra, quella prevalente, che guarda al soul, al funky e al r’n’b.

Amen è l’ennesimo esempio di come questa formula, non certo innovativa, funzioni dannatamente bene, muovendosi su una linea di demarcazione che lambisce il mainstream, senza però mai sbracare nel banale, ma creando semmai scalette varie e decisamente divertenti.

 

Il disco si apre con "Hurricane Coming", un rovente r’n’b scartavetrato da un approccio garage rock, scritto dal frontman Kelvin Swaby, coinvolto nell'uragano Irma subito dopo essersi trasferito negli Stati Uniti. Una partenza a razzo, di quelle che non lasciano indifferenti, ma che vira immediatamente verso l’anticlimax di "Ain’t A Love", una sognante marcetta bluesy, accarezzata da arrangiamenti orchestrali e sporcata nella seconda parte da un polveroso assolo di chitarra.

"Bad Motharfucker" si fa spazio baldanzosa su una ritmica pimpante, le armonie sono giocose, ma è abbastanza bluesy da far venire in mente ai Black Keys, "I Feel The Love" cambia nuovamente registro e si sposa, invece, a sonorità gospel: handclapping, call and response e arrangiamento di fiati, il piede che batte, inducendo alla vertigine di un ballo in nome di Dio e dell’amore. "Messing With My Mind" chiude la prima parte dell’album con spavalde sonorità rock dal tiro dritto e diretto, batteria galoppante e lo stordente fremito elettrico di una chitarra distorta e graffiante.

La seconda parte, si apre con la contagiosa "Stone Cold Killer", un rockaccio mainstream pompato dal suono del campanaccio, e dal retrogusto eighties, per poi cambiare completamente mood nelle ultime quattro canzoni.

"Just Like Summer" è puro funky soul, grande melodia, splendidi cori, contrappunto d’archi e una voce vellutata dal sapore miele e liquerizia, "Whole Lot Of Me" si muove, più o meno, sullo stesso percorso retrò, con un piglio più sensuale e un’orchestrazione più invasiva, mentre "Feels Like Rain" spinge verso il dancefloor per un appassionato lento da ballare guancia a guancia con l’amato/a. Chiude la scaletta la splendida "Without A Woman", un delizioso pop soul pervaso di dolce malinconia e arrangiato magnificamente sul misurato interplay fra chitarre, fiati e archi.

 

Amen è un disco breve, solo trentacinque minuti, e scorre via liscio, senza richiedere alcuno sforzo all’ascoltatore, perché la formula, anche se un po’ ripetitiva, è decisamente vincente, e le canzoni, nella loro confezione elegante e retrò, sanno conquistare con le lusinghe di un fresco e inebriante divertimento. Disco perfetto per accompagnare le sere d’estate in compagnia degli amici e di una birra ghiacciata.