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REVIEWSLE RECENSIONI
American Football (LP3)
American Football
2019  (Polyvinyl Record)
INDIE ROCK ALTERNATIVE
7/10
all REVIEWS
27/03/2019
American Football
American Football (LP3)
Gli American Football sono una band paradossale. O meglio, è paradossale la loro vicenda.

Nel 1999 pubblicano il loro primo disco quando, di fatto, si sono già sciolti. Complice il successo dell’ep d’esordio, l’album diventa un classico minore, uno di quei dischi di culto di un certo Emo di scuola Midwest intriso di nostalgia e lamentazioni adolescenziali da cameretta. Testi intimisti e melodie che hanno colpito al cuore generazioni di ascoltatori, consacrando la band dell’Illinois come una delle realtà più significative dell’Indie di fine millennio.

Ma è andata veramente così? Sinceramente non lo so, a quell’epoca ascoltavo ben altre sonorità, non mi sarei accorto comunque di un disco del genere.

Osservando cosa è successo dopo, quali sono state le reazioni alla reunion del terzetto, divenuta realtà nel 2015, mi sono sempre più andato convincendo di essere di fronte ad un classico caso in cui il passato viene ridisegnato quasi completamente alla luce del presente.

Diciamoci la verità: quanto peso hanno avuto, vent’anni fa, gli American Football? E quanto il successo che stanno avendo ora, i consensi che sembrano mietere copiosi, dipendono da una narrazione che è sempre più proiettata sul potere dei nomi di culto e sull’effetto nostalgia per un’epoca scomparsa?

Non ho gli strumenti per rispondere (e peraltro credo che noi italiani, da questo punto di vista, siamo molto più in difficoltà) ma è indubbio che questa vicenda abbia parecchi tratti curiosi.

Comunque, alla fine è andata così, che Mike Kinsella e compagni, dopo una serie di progetti dalle alterne fortune, hanno deciso di uscire per sempre dal loro status di meteore, seppure di culto, e di tornare stabilmente sulle scene, cercando di riprendersi quel che avrebbe dovuto essere loro fin da principio. Con la precisazione (cattivella ma ci può stare) che probabilmente non sarebbero a questo livello, se non se ne fossero mai andati. Dopotutto lo dicevano anche loro quando, in apertura al loro “LP2” del 2016, cantavano eloquentemente: “Would you even know me if time hadn’t stole me?”

Adesso che è uscito un altro disco, sarebbe ora di cominciare a considerarli una realtà viva a tutti gli effetti ed è altamente probabile che in futuro la storiella del loro primo incredibile album non ce la racconteremo più con la stessa frequenza.

Il terzo capitolo della saga si presenta ancora una volta senza titolo (per comodità lo si sta già chiamando “LP3”) ma cambia la copertina: non più la casa del Midwest illuminata da una notturna luce verde, bensì quello che sembra un paesaggio rurale immerso nella nebbia, con tonalità che vanno dal blu all’arancione del tramonto.

Cambio di soggetto, cambio di colore ma pur sempre crepuscolari e dimessi i toni. I contenuti musicali, tuttavia, non sono mutati di una virgola. La band rimane fedele alla sua ricetta e confeziona un album che nulla aggiunge e nulla toglie rispetto al precedente. Sicuramente rispetto all’iconico esordio, tante cose sono cambiate: quell’urgenza comunicativa tradotta in termini di sussurrata minimalità è praticamente scomparsa e anche questo terzo capitolo appare più come un voler ricreare certi temi, certe atmosfere, ma in qualche modo senza viverle in prima persona. Ora sono tutti grandi, hanno dei figli, la musica ha smesso da tempo di essere il centro delle loro vite ed è diventata un passatempo, seppure molto consistente. Paradossalmente però suonano molto meglio e questo si sente: i brani hanno strutture più complesse e uno spettro sonoro più pieno, hanno perso un po’ quella semplicità DIY che caratterizzava le prime cose, per acquisire un carattere più orchestrale.

Probabilmente la più grande novità del lavoro sono le collaborazioni: per la prima volta nella loro storia gli American Football si avvalgono di featuring esterni, coinvolgendo tre voci femminili di talento: Hayley Williams dei Paramore, che dialoga con Kinsella su “Uncomfortably Numb”, Elizabeth Powell dei Land of Talk, ad impreziosire il singolo “Every Wave to Ever Rise” e Rachel Goswell degli Slowdive, assolutamente sontuosa su “I Can’t Feel You”.

La personalità di questi guest d’eccezione è forse il punto di maggior forza del lavoro: garantisce apertura, freschezza, qualche elemento inedito a livello stilistico, all’interno di un lotto di canzoni che altrimenti cederebbe del tutto alla tentazione del già saputo.

E anche così, non riusciamo a liberarci da questa fastidiosa sensazione di déjà vu. Perché alla fine il problema è lì e dopo un buon numero di ascolti, superata la fase del sentimentale, fisiologico entusiasmo, subentra la cruda realtà dei fatti: questi brani sono belli ma sono troppo prevedibili. È come se questo gruppo potesse suonare solo queste cose qui, potesse evocare solo certe atmosfere, trasportarci solo in determinati luoghi. È tutto giusto e tutto ben fatto ma dopo i primi tre pezzi (che sono probabilmente i migliori) l’attenzione inevitabilmente si disperde, complice anche episodi non sempre ispirati e a tratti dispersivi nella struttura.

Alla fine, quello che rimane è un disco per fan: per chi ama il genere, è l’ennesima conferma di un talento purissimo. Per tutti gli altri, ho paura che la vicenda degli American Football sia giunta al capolinea. Nella sostanza, era un discorso che si poteva fare anche per il disco precedente ma era tre anni fa, la prospettiva era diversa e soprattutto, conteneva canzoni nel complesso migliori. Ciò non toglie che se torneranno a suonare dalle nostre parti non me li perderò di certo.