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REVIEWSLE RECENSIONI
American Love Call
Durand Jones & The Indications
2019  (Dead Oceans)
BLACK/SOUL/R'N'B/FUNK
8/10
all REVIEWS
14/03/2019
Durand Jones & The Indications
American Love Call
Durand Jones & The Indications con questo loro secondo album hanno decisamente affinato il tiro e si presentano in gran spolvero pronti ad entrare nel cuore dei malati di musica dell’anima.

Chi mastica soul e negli anni Settanta viveva la sua adolescenza, si ritroverà con sentimenti contrastanti all’ascolto di “American Love Call”; dapprima penserà di essere tornato indietro ai tempi delle scuole medie, alle feste in casa dove ballavi con i dischi di musica soul comprati “sempre e comunque” dal fratello maggiore della festeggiata, quello che teneva lo stereo e ti faceva sentire una merdaccia perché ne sapeva sempre una più di te, dopodiché si chiederà se è arrivato il momento delle cover band che per un misterioso impazzimento si siano messe a suonare brani scritti di proprio pugno.

Mi spiego meglio: Durand Jones & The Indications hanno tirato fuori un gran disco, ed è innegabile, quello che mi rende perplesso è a quale pubblico possa rivolgersi un lavoro così. A chi come il sottoscritto mastica pane e soul e sa vita morte e miracoli dei leggendari artisti che resero una materia profana quanto di più vicino al sacro, viene da chiedersi se esista una fascia di nuovi appassionati del genere che se ci sono devono essere ben nascosti, in quanto prodotti come questo difficilmente li troverete nelle classifiche di vendita, figuriamoci poi nei network radiofonici, che come i vecchi contadini spargevano il ramato sulle viti per non farle ammalare - questi ci annaffiano di merda musicale 24 ore al dì con il risultato di ammazzarci di noia.

Sterile esercizio di stile quindi questo “American Love Call”? Assolutamente no.

Durand Jones & The Indications con questo loro secondo album hanno decisamente affinato il tiro e si presentano in gran spolvero pronti ad entrare nel cuore dei malati di musica dell’anima. Studenti presso l’Indiana University i quattro ragazzi bianchi, Aroon Frazer, batteria e voce, Blake Rhein, chitarra, Kyle Houpt, basso, Steve Okonski, tastiere, più il leader e vocalist black, Durand Jones, sono talmente dentro la parte che sembrano suonare davvero come i classici del tempo che fu. Ascoltate ad esempio quell’assolo di chitarra nervosa nel pezzo iniziale, “Morning in America”, e ditemi se non vi sembra quella che Ernie Isley ci fece dono in “That Lady” e se il testo e l’andamento del brano non vi faccia riaffiorare il ricordo del Gil Scott Heron più lucido.

Oppure tutta quella morbidezza senza languore sparsa a piene mani nel disco che ci fa ricordare leggende quali i Delfonics, i Chi-Lites, gli Impressions e che troviamo in “Too Many Tears” e “Sea Gets Hotter”, per esempio, ma anche Al Green e Bobby Womack, ascoltate “Listen To Your Heart” per dire, o il simulacro di un James Brown quanto mai profondo in “Walk Away”.

Suonato, prodotto e cantato divinamente, a tal punto che in “How Can I Be Sure” mi appaiono materializzati gli Stylistics, e i miei occhi rivedono quei vestiti sgargianti con quelle giacche dai reverse enormi messi sopra a quelle camicie con i colletti lunghi come il tempo di una canzone, e i movimenti di danza come solo gli Stylistics sapevano fare; rallentati, all’unisono, ruffianissimi.

Un puro album di soul, o retro-soul più precisamente, come non si sentiva da anni, che si meriterebbe il massimo dei voti, ma come detto ad inizio recensione quella sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di già vissuto ed ascoltato fa sì che debba calare di un paio di punti il giudizio.

Propedeutico per chi del soul “come si suonava una volta” conosca poco o niente; inizi con questo album e subito dopo si metta in caccia dei classici che sono stati fonte di ispirazione per Durand Jones & The Inspirations.

P.S. “How Can I Be Sure” è la ballad soul definitiva, al di là di qualsiasi giudizio possa dare. Thom Bell ringrazia riverente.