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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
21/05/2021
Beppe Dettori / Raoul Moretti
“Animas”: due barche, un mare, il senso di una fune.
Il sentire. Una parola importante. Che non è l’ascolto, come non è lo sguardo paragonabile alla contemplazione. Che qui il sentire diviene anche esperienza che un poco si poggia sulla pelle, sulle unghie, come quando la felicità la senti che ti regala elettricità alle articolazioni.

“Tutelare tutta questa bellezza vale più di qualunque altra tentazione di omologazione o incasellamento al trend, troppo lontani dal nostro sentire.” (B. Dettori)

Ci sono due barche in questi colori un po’ glamour e un po’ extra-terreni. Esiste una fune che le tiene ferme. Ma esiste anche un mare intero alle loro spalle e tutt’intorno. La fune dunque cos’è? Un modo per non lasciarsi andare o un ricordo atavico di quel che siamo stati? E l’acqua attorno dove mi porta il pensiero? Accoglimento e culla o indifferenza pronta alla conquista? La musica, anzi il suono e la forma che ha la musica per Beppe Dettori e di Raoul Moretti, l’ascolto da tempo, da quando usciva un disco come “S'Incantu e sas Cordas”, come quando hanno codificato l’arte di Maria Carta, come quando oggi prendono la terra e la piegano su se stessa, senza badare al tempo e alla ragione, senza chiedersi quale sia il nord o quale sia la lingua. Non ci sono confini ma solo e soltanto Anime. E anche qui nascono domande e punti di vista: puro vapore, nebulosa mistica… o pesante fardello di ossa pensanti? Beppe Dettori, voce sottile, che si insinua dentro il sentire e anzi si impone alle tue distrazioni. Il suono dei suoi strumenti incontra poi Raoul Moretti, arpista ormai noto per la sua elettronica, lo strumento che non è più ancestrale ma diviene altro come potrebbe accadere a quella fune che tiene assieme le barche. E poi l’incontro… disco di tantissime collaborazioni, di lingue diverse, dal latino all’italiano, dal sardo (ovviamente) al dialetto “laghèe”… che le anime, quando si mescolano assieme, nella voce e nel suono, nel sentire, tutto diviene uno. E anche se questo disco è declinato al plurale, penso che “Animas” sia un lavoro che parla dell’uomo.

“Penso che l’incontro è possibile quando la consapevolezza della propria identità sia alta. Questo permette il dialogo, il mescolarsi senza paura di perdersi e permette di creare il valore aggiunto che nasce da questo tipo di unione”. (R. Moretti)

 

“Animas” è il loro ultimo disco che un poco si fa ufficio sacrale, magistero eccelso, mi trasporta nella pietra e nei cori gregoriani dove si innalza eretico il magistrale sax di Gavino Murgia… ad esempio… e qui le mie reminiscenze di un incontro eccelso come quello accaduto tra le opere di Christóbal de Morales e il sax di Jan Garbarek nell’opera “Officium” di Manfred Escher…

“Animas” è dialogo di chitarre che tessono melodie aperte, oneste, sincere come quando incontriamo Franco Mussida nelle note, scelte popolari, in un impasto ermetico di nodi e intrecci che non porta con se soluzioni ma solo innata leggerezza…

“Animas” poi sembra verde di vallate celtiche a bordo lago con il dialetto “laghèe” di Davide Van De Sfroos che sprofonda nell’humus di una terra fertile, come a proteggersi dal sole che picchia…

Ma “Animas” sembra essere anche il canto delle alte montagne tibetane quando si stendono le scuse buone per dare alla tromba di Paolo Fresu il giusto riposo.

Ed è anche il momento giusto per fare ordine in questo tempo apocalittico di pandemia, di malattie, di ricostruzione, di speranza… come quando Max Brigante ci ricorda che basta un’orma sulla sabbia a smarrire la ragione, mentre attorno la distopia post atomica impera sorretta da suoni digitali ovunque si guardi.

E alla fine “Animas” è tantissimo altro, con tantissimi altri ospiti che non sono arrivati di prepotenza alle cronache quotidiane, ma che però portano con se un bagaglio immenso di storia e di esperienze… riverse sul disco, liquide nei suoni, ruvide nella nostalgie che portano…

“Animas” è una fune che tiene assieme due barche sul manto del grande mare d’acqua dolce. E non scordiamo che gli uomini sanno anche nuotare…

Acqua: ci sono parole buone per questo disco e questa è una. L’acqua dolce di lago, l’acqua salata di mare. Come anche un Dio dei Naviganti, come anche il dialetto che arriva dal grande lago di Como. Ma a suo modo anche il suono non prescinde da questa dimensione “liquida”. Sbaglio?

(Beppe Dettori)

“Ommini d’eba”, cioè “Uomini d’acqua”, oltre a trovare un nesso con l’elemento acqua, sia dolce che salata, pone in evidenza due uomini, due lingue minoritarie, due storie di confine e sofferenza e come poter trovare poesia nel dolore e nella fatica. Nella parte iniziale si parla di pescatori in tempo di guerra. Seconda grande guerra che coinvolgeva comunità e grandi città in sofferenze indicibili. Come la perdita di due figli morti sotto i colpi di mitraglia al largo de l’Argentiera a poche miglia da Stintino. Nonostante il dolore si intravede lo spiraglio lucente di speranza per superare il baratro e l’angoscia. Nella seconda parte Davide Van De Sfroos si trasforma in contrabbandiere che dialoga con il destino e con la guardia di Finanza, con la poesia della luna che riflette sul lago attraverso l’occhio vigile della civetta.

(Raoul Moretti)

No, non sbagli. L’arpa come strumento e timbro è sempre stata accostata all’elemento liquido.  Noi, anche in questo lavoro poi amiamo immergerci in certe atmosfere liquide, come in una sorta di liquido amniotico, in cui lasciarci cullare dai suoni. Poi la nostra fluidità creativa forse più che adattarsi a strutture pre-costituite riesce invece a dare forma, seguendo un po’ di più la libertà espressiva.   Riguardo all’acqua, io sono uomo di acqua dolce, del lago di Como, che abita su un’isola, la Sardegna, dove Beppe, uomo di acqua salata, è nato. Quando ho chiesto a Beppe di scrivere qualcosa riguardo questo incontro è nata la canzone “Ommini d'Eba”, in cui è stato naturale includere Davide Van De Sfroos, che ha inserito con la sua poesia e la sua voce un bellissimo intreccio in “laghèe”.

La lingua di nuovo torna protagonista. L’italiano come il sardo, l’inglese come tante derive altre di dialetto. L’incontro si celebra in molti momenti dell’ascolto. Per voi cosa significa questo incontro di lingue?

(Beppe Dettori)

Un valore culturale inestimabile e un banca dati di suoni vocali e glottali che si trasformano in musica a seconda dell’altezza o meridiano in cui ti trovi. È una causa, quella della tutela delle lingue minoritarie, di lemmi e dialetti che mi vede coinvolto sin dalla fine degli anni ’90. Patrimonio culturale di ogni popolo e di ogni identità. Tutelare tutta questa bellezza vale più di qualunque altra tentazione di omologazione o incasellamento a trend, troppo lontani dal nostro sentire.

(Raoul Moretti)

Per mia deformazione colgo le lingue con le loro parole come suoni che interagiscono con quelli degli strumenti. Questi incontri che avvengono in vari brani tra sardo, declinato in diverse varianti, l’italiano, l’inglese, il latino, dialetto del lago creano insieme alla musica una narrazione universale. 

E se l’incontro di lingue diverse è come fosse l’incontro di uomini e di esperienze umane diverse? In fondo è questo che arriva dal significato e dalla forma di "Battordichi Pinturas Nieddhas (Fourteen black paintings)”, omaggio a Peter Gabriel. Dunque che sia un disco di uomini nel loro incontro?

(Beppe Dettori)

Arricchimento per crescere individualmente in mezzo alla moltitudine del genere umano. L’incontro e l’intreccio di voci, stili, significati ed esperienze è il grido col quale l’uomo dovrebbe elevarsi alla nuova consapevolezza verso il cambiamento. Io lo spero e lo auguro alle generazioni future.

(Raoul Moretti)

Già il disco, che è una evoluzione dei precedenti insieme, celebra un incontro di Anime, quello tra me e Beppe, che già deriviamo da percorsi ed esperienze diverse. Il disco poi celebra in quasi tutti i brani un incontro con altri artisti, fantastici amici che hanno donato la loro arte. Il disco è percorso dalla speranza, dalla voglia di rinascita. Chiudere il disco con quel brano di Peter Gabriel, artista che entrambi adoriamo, che ha un forte legame con la Sardegna, ha un forte valore simbolico per quei cinque versi di cui è composto (che tra l’altro mi portavo scritti sullo zaino del liceo) e cantati in tre lingue, trova il supporto con l’incontro musicale tra la tradizione del canto a tenore dei Tenores di Bitti Remunnu e Loco e la sperimentazione vocale di Lorenzo Pierobon, le corde di arpa unite al live electronics, la chitarra sperimentale di Massimo Cossu e l’elettronica di Federico Canu. 

Altro elemento che mi ha colpito è la diversità: anime diverse che nell’incontro si mescolano ma non si confondono. Anche se il tutto si amalgama ho ben chiaro il ruolo di ognuno. Quanto sono importanti le differenze? E quanto è importante mescolarle, farle incontrare ma non confonderle?

(Beppe Dettori)

Le differenze ci ricordano che siamo Unici, uniche entità a carbonio. Far coesistere le diversità e coglierne la meraviglia che risiede in ognuno è occasione di crescita e vero sviluppo dell’uomo. Un salto quantico verso il futuro che è già presente…e perciò un regalo.

(Raoul Moretti)

Penso che l’incontro sia possibile quando la consapevolezza della propria identità sia alta. Questo permette il dialogo, il mescolarsi senza paura di perdersi e permette di creare il valore aggiunto che nasce da questo tipo di unione.

E mi colpisce questa copertina tenue, di colori sospesi, eterea come fosse di un tempo parallelo al nostro… me la raccontate?

(Beppe Dettori)

Difficile scomporre l’arte di Andrea Puxeddu e spiegarla. Uno scorcio di bellezza assoluta. Sardegna. Santantioco. Il mare come olio che si colora di tramonto. Poesia e bellezza che conducono ad una esperienza sonora collettiva di elevazione di Anime.

(Raoul Moretti)

Quando stavamo ragionando a lavoro quasi ultimato musicalmente su quale titolo dare e che copertina scegliere mi sono imbattuto in questa fotografia di Andrea Puxeddu, un fotografo cagliaritano con cui avevo già lavorato per il mio precedente lavoro solista IsolaMenti. Ci ha colpito immediatamente ed abbiamo pensato che potesse rappresentarci molto in questo momento, in un tempo di sospensione con un mare calmo, dei colori eterei, con due barche metafora nostra di due anime, vissute, diverse, che si guardano e guardano ad un orizzonte comune verso cui ri-partire.

Orwell fa capolino. Viviamo fin dentro la distopia descritta da molti. Il disco per alcuni tratti vira anche su questi temi. Importante questa veste che ha… cos’è o com’è la realtà di oggi per voi? Quanto avevano ragione i tanti Orwell o Huxley di allora?

(Beppe Dettori)

Forse era inevitabile? Può darsi, ma l’uomo, noi, siamo esseri imperfetti che prima di prendere coscienza e consapevolezza del baratro in cui ci troviamo, ci dobbiamo raschiare dentro il sedere e bruciarci, per capire che forse è troppo tardi. Ma non è un film e l’eroe è un attore che non può salvarci perché è finto. La verità è ciò che manca oggi alla realtà che viviamo, continuamente patinata e proiettata a una spasmodica ricerca di felicità fittizia. L’apparenza dilagante e preoccupante plastifica tutto ormai, anche le cose belle, come poter fare musica o fotografare un tramonto con 2 barche, o augurare a tuo figlio di scegliere bene come perseguire il proprio talento. Il dialogo con i figli credo sia fondamentale per comprendere a fondo come potersi riparare dall’onda d’urto della stupidità….Mi fermo qui perché sennò dovrei aprire files su sanità e istruzione come piaghe d’Egitto. Uscendo fuori tema e dando ragione a pre-veggenti come Orwell.

(Raoul Moretti)

Grandi artisti e scrittori hanno pre-visto spesso con largo anticipo possibili elementi che poi sono stati integrati in un futuro prossimo.  È stato inevitabile per noi invece raccontare il presente, qualche traccia è proprio nata sulle sensazioni che stavamo vivendo dal primo lockdown in poi. Per il disco solista che stavo scrivendo (e che non so ancora quando pubblicherò) avevo sollecitato Beppe su alcune tematiche e quando in maniera naturale abbiamo sentito l’urgenza invece di un album condiviso è stato facile far partire un pensiero condiviso. Di fatto la realtà è quella che stai vivendo, e nella quale devi attuare dei meccanismi di sopravvivenza. È una realtà del tutto diversa da quella a cui eravamo abituati, ma che speriamo diversa da quella a cui arriveremo, perché non è naturale vivere in questa modalità, ma dalla cui esperienza dovremmo trarre comunque miglioramenti per non includere aspetti che anche precedentemente erano critici. 

E ne suono, avete cercato la distopia del futuro o un legame col passato?

(Beppe Dettori)

Abbiamo cercato di uscire dalla distopia con un canto di speranza un lamento o invocazione. Un rifiuto all’accettazione dello sfacelo e dell’inquietudine. Speranza è la via di uscita che è presente in ogni brano dell’album. Il sogno, la visione. Chiarezza nella confusione, determinazione contro la delusione.

(Raoul Moretti)

Conoscenza del passato, consapevolezza del presente, proiezioni nel futuro in continuo dialogo per creare una identità nostra di suono e linguaggio in cui sentirci a nostro agio ed esprimerci.

Che poi, in generale intendo, mi viene sempre da chiedermi: legarsi al passato è una forma di sicurezza verso cose oneste e genuine o una forma di paura all’evoluzione e alla novità?

(Beppe Dettori)

Trovare rifugio nel passato non è mai così produttivo, alla lunga diventa sclerotico. Ma gettarsi completamente senza rete nel futuro è troppo da incoscienti. Quindi la giusta via, forse, sarebbe guardare ciò che abbiamo imparato dal passato per incontrare il futuro più forti e consapevoli e trovare la via di mezzo l’unica strada percorribile. Né troppo materia, né troppo spirito. Possibilmente senza timore ma con il coraggio da leone.

(Raoul Moretti)

Tanti intrecci in questa domanda, oscillazione tra necessità di sicurezza e voglia di libertà. Dipende dalla misura forse, guardare al passato, raccontarlo o preservarlo non per forza vuol dire rifugiarsi in forme stantie e negare il resto, come non avere paura e slanciarsi sulle novità vuol dire per forza star costruendo una evoluzione. Le cose del passato erano tutte oneste e genuine? Le novità sono tutte reali?

Questo tempo apocalittico ci sta regalando anche quella capacità diabolica di somatizzare malattie… che gran momento di questo disco quando, in qualche modo, ne parlate… 

(Beppe Dettori)

Già! Eziopatogenesi… l’origine dello scaturire della malattia. Mi sembrava normale non glissare o bypassare il problema che ci affligge da 2 anni. La malattia. Le risposte ce le han date le persone che continuano a prendersi cura dei malati, come fosse scontato, come fosse una cosa dovuta. Un senso profondo di gratitudine a chi si occupa del prossimo e se ne prende cura con l’allopatia o omeopatia e comunque con qualunque rimedio possa arginare l’incedere del male degenerante. Benedetti i sanitari e tutto il personale medico del mondo che si occupa di curare il paziente senza aspettarsi nemmeno un grazie.

(Raoul Moretti)

Mi fa piacere tu lo abbia apprezzato. “Eziopatogenesi” è un piccolo cammeo, una sorta di divertissement in cui, in maniera ironica, abbiamo voluto giocare con alcune parole della medicina ed omeopatia, senza assolutamente giudizio, intrecciandole in due forme musicali distinte quasi classiche suonate dall’arpa acustica. Sì, raccontano in qualche modo questa epoca, ognuno poi ne trae il proprio pensiero.

Chiudiamo promesso. Un disco che è anche molto corale, che trovo assai “blues” in questa dimensione popolare di voci e di strumenti, di tante collaborazioni e di punti di vista che si incontrano spesso sul filone della tradizione. Quanto vi ha regalato il dono della scoperta, di cose nuove… quanto “Animas” ha preso direzioni inaspettate? E qui torniamo alla copertina, di queste barche che hanno un solo legaccio contro la deriva ma sono assai distanti dalla terra ferma degli uomini e del loro mestiere… 

(Beppe Dettori)

La lavorazione su un progetto di brani inediti è diversa da un album di riletture, come il precedente dedicato a Maria Carta. È stato un viaggio sin dalla composizione/pre-produzione e poi nell’attuazione in studio. Abbiamo lavorato, nonostante l’ansia per i contagi, in completa sicurezza e rispettando le norme anticovid. Tutto questo preoccupare pandemico ci ha dato la spinta determinante per superare l’ostacolo apparentemente insormontabile. La fantasia, la visione (mi ripeto), la speranza (mi ripeto ancora) ci ha sostenuto in questa esperienza di “sopravvivenza dell’anima”. Ci ha reso meno vuoti, ogni volta si incontrava l’oscurità ci si aggrappava a quella lancia di salvataggio che è il nostro meraviglioso mestiere. Creare e fare musica. Le due barche possono rappresentare me e Raoul come anche il bianco e il nero, il giorno e la notte. Due anime che si incontrano tra la stima e la diversità, convivendo sereni delle bellezze reciproche, che tanto ci fanno sentire ricchi, facendoci crescere ancora, persino dopo i 55 anni di età. Così vicino e così distante, così leggero e così profondo, brilli d’oro e di diamante.

(Raoul Moretti)

Siamo stati sorpresi da come in maniera naturale sulle nostre barche siano saliti questi splendidi compagni di viaggio, sorpresi dalla naturalezza del dialogo e creazione delle idee tra me e Beppe, aggiungendo anche alla fine alcuni tocchi che piacevolmente sono nati inaspettatamente . Poi ti devo dire la verità , sono state scelte ponderate e mirate, ognuno degli artisti scelto per uno specifico brano, perché consapevoli della loro arte e del tipo di apporto e suono avrebbero dato, integrandosi nel nostro suono.  Più che inaspettato direi ogni volta emozionante ed entusiasmante sentire che il tutto “risuonava”.  Personalmente parlando di direzioni che in qualche modo hanno preso qualcosa di inaspettato, cito il grande Franco Mussida, che ha utilizzato una chitarra che non aveva mai ancora utilizzato con un timbro diverso e con il dialogo e gli stimoli che ha fornito ci ha aiutato a dare una forma a Figiurà diversa dalla prima che avevamo in mente. 


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