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REVIEWSLE RECENSIONI
04/01/2024
Bas Jan
Back to Swamp
L’ultimo LP delle Bas Jan, “Back to Swamp”, richiama alla mente la tradizione britannica del weird pop, dove trovano accoglienza svariate influenze musicali, un utilizzo di strumenti non propriamente convenzionali, e un uso delle linee vocali spiazzante. Per chi ama il pop stralunato è un album imperdibile, per i curiosi potrebbe essere la scoperta di un gruppo certamente non convenzionale.

Per (penso) i molti che non le conoscono le Bas Jan, sappiate che riprendono quella tradizione dei combo all female, come le Slits o le Raincoats, che nell’era punk presentavano un sound estemporaneo e ricco di sfumature eccentriche. Già dalla copertina, francamente bruttina (sembra una crasi delle cover del primo e secondo LP delle Slits) in questo album si respira un’aria freak che musicalmente diventa una sorta di weird avant pop.

Chiedo venia per tale definizione e anticipo subito che anche il sottoscritto non ama quelle iper-definizioni che dicono tutto e niente ma, in questo caso, vi assicuro che risulta veramente difficile inquadrare il sound di queste musiciste. Vocalmente si passa infatti da cori a cappella, a un gioco di voci quasi contrappuntistico, a degli speaking words, mentre musicalmente si cammina tra linee di synth e a giri di basso wave, dove si innesta l’utilizzo del violino, per poi trovare dei fiati che spuntano qua e là, il tutto poggiante su una serie di ritmiche talvolta lineari, talaltra spezzate.

 

Il primo brano dell’album ad esempio, “At the Counter”, presenta un ritmo immediatamente coinvolgente, ma trova un ostinato di violino che detta il tema dell’intero pezzo, dove il chord iniziale viene lasciato e ripreso più volte, per poi essere fatto oggetto di un cantato che, in alcuni passaggi, richiama la forma del canone.

Anche il brano seguente, “No more swamp”, presenta un ritornello che entra subito in mente, ma che viene “disturbato” da accordi di violino quasi distonici rispetto al cantato.

 

Un elemento caratterizzante delle Bas Jan, infatti, è proprio quello di introdurre nei brani tutta una sorta di suoni, accordi e intramezzi che piegano la melodia spingendola in zone di non comfort. Non si tratta di imperizia sonora, anzi, se si ascolta l’album con attenzione si apprezzano ad esempio il sapiente uso delle voci, oppure si nota una cura molto particolare per gli arrangiamenti, ma il tutto suona come “stonato” o volutamente dissonante, quasi a richiedere un’attenzione che molte volte l’ascoltatore, anche inconsciamente, non concede più.

Anche i continui cambi di ritmo con degli stop and go, lasciano l’ascoltatore sempre spiazzato, con un misto di sorpresa e una nota di fastidio. Così le atmosfere quasi ambient-pop di “Margaret Calvert drives out” con inserti di fiati, abbandonano il campo ad una sorta di ballad quale è “Back to Swamp”, che subisce improvvise accelerazioni per poi tornare al climax iniziale. Un altro brano meritevole di attenzione risulta essere “Cried a River”, con i suoi accattivanti cori dialoganti con il cantato recitato della vocalist, mentre “Tarot Card” chiude infine con un tono “pensieroso” e al contempo quasi nostalgico un album di pop stralunato.

 

Insomma, per chi vuole provare un suono “diverso” questo disco potrebbe essere l’occasione ideale per scoprire il fascino inedito di nuove sonorità, oppure, al contrario, trovarsi confermati nel proprio “inossidabile”, o semplicemente più apprezzato, credo musicale.