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REVIEWSLE RECENSIONI
04/11/2022
Alvvays
Blue Rev
Non hanno inventato nulla, suonano musica datata ma l'impressione è che oggi nessuno come gli Alvvays incarni l'essenza del Pop indipendente, e che un disco come Blue Rev, anche nel modo semplice e delicato, talvolta deliziosamente autoironico, che ha di raccontare problematiche di vita quotidiana post adolescenziale, diventerà pietra di paragone indispensabile per qualunque uscita futura che si muova su tali coordinate.

Ci sarà un motivo se un certo tipo di Indie Pop, codificato da compilation come la celebre “C86” (e tutti i capitoli successivi) o da etichette sul modello Sarah Records, attecchisce nel 2022 allo stesso modo (o forse a livello superiore) di quarant’anni fa. Ed è il solito discorso che facciamo ogni volta che escono dischi così: l’originalità non conta più nulla, in questi nostri tempi, conta solo l'intenzione, la maniera in cui i modelli vengono utilizzati e reinventati per creare  qualcosa che sia artisticamente appetibile.

Gli Alvvays sono tornati e ci hanno messo cinque anni per farlo, un tempo infinitamente lungo, specie se rapportato alla freschezza e all'immediatezza della loro proposta. Le ragioni sono le solite: il lungo tour di Antisocialites, la pandemia con le conseguenti chiusure del confine tra Stati Uniti e Canada e l’impossibilità quindi di organizzare stabilmente l’attività di cinque membri che vivono a distanza.

La conseguenza principale, oltre al ritardo con cui Blue Rev ha visto, la luce, è un consistente cambiamento di line up, con i nuovi ingressi di Abbey Blackwell al basso e di Sheridan Riley alla batteria.

Al di là di questo, però, nulla di veramente grosso è cambiato: bastano le prime note di “Pharmacist” per rendersi conto che gli Alvvays sono ancora i migliori esponenti di questa nuova generazione di band che si cimenta in un genere datato che allo stesso tempo non è mai veramente passato di moda.

Si sono fatti un po’ più spigolosi, hanno aggiunto qualche chitarra in più e reso più turbolento lo spettro sonoro, dando al tutto un'impostazione più “sporca”, una sensazione di spontaneità visibile in particolare negli assoli di chitarra, melodici e irriverenti allo stesso tempo, un tocco out of date tanto evidente quanto esibito con orgoglio. Per il resto, è tutto come al solito: Molly Rankin, voce sublime e penna ispiratissima, inanella per 38 minuti un compendio da canzonetta Pop che pesca a piene mani da Primitives, Smiths e Belle & Sebastian, da sempre indicati da lei stessa come i propri riferimenti ideali, allargando il raggio d'azione a tutto l'intero universo C86.

Non c’è una nota fuori posto, sia che ci si muova in territori più soffusi (“Tile By Tile”, “Velveteen”) o più accelerati (“Pomeranian Spinster”, “After the Earthquake”), tra ammiccamenti al Dream Pop, incursioni in una ingenua elettronica da Commodore64, spensierate ritmiche Jangle, abbiamo davanti 14 brani dalla carica melodica irrefrenabile, con alcuni ritornelli talmente instant classic da farci domandare stupiti perché mai non siano stati trovati già decenni fa. Da questo punto di vista, episodi come “Very Online Guy”, “Belinda Says”, “Many Mirrors” o “Tom Verlaine” (sì, è proprio quel Tom Verlaine ad essere tirato in ballo nel testo, anche se solo indirettamente) andrebbero imparati a memoria e studiati in ogni corso di composizione che si rispetti.

Non hanno inventato nulla, suonano musica datata ma l'impressione è che oggi nessuno come gli Alvvays incarni l'essenza del Pop indipendente, e che un disco come Blue Rev, anche nel modo semplice e delicato, talvolta deliziosamente autoironico, che ha di raccontare problematiche di vita quotidiana post adolescenziale, diventerà pietra di paragone indispensabile per qualunque uscita futura che si muova su tali coordinate.