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MAKING MOVIESAL CINEMA
Bohemian Rhapsody
Bryan Singer
2018  (20th Century Fox)
SOUNDTRACKS / ROCK MOVIES / MUSICAL
all MAKING MOVIES
15/02/2019
Bryan Singer
Bohemian Rhapsody
Meglio dirlo fin da subito: non tutto funziona in Bohemian Rhapsody, tante sono le strizzatine d'occhio al pubblico, diciamo pure troppe, tra gatti e gattini e frasi ad effetto.

Ma l'emozione, quella più pura, quella più travolgente, arriva, scalda il cuore, lo stringe, fa alzare la pelle, i brividi.
Quando?
Quando parte la musica.
Il fatto è che come i Queen e Freddie Mercury davano il meglio nel momento della composizione e nelle esibizioni dal vivo, così il film con quei live sa emozionare, sa far vibrare l'anima, con i momenti di ispirazione e creatività, i momenti in cui canzoni storiche nascono, sa far sentire la magia.
Peccato allora che in mezzo ci sia tutto il resto, ci sia una sceneggiatura che inizialmente corre anche troppo veloce, accorciando i tempi, condensandoli.

Mostrate le origini, ci si ferma inizialmente lì, alle prese con A Night at the Opera, album che contiene la canzone che fa da titolo al film e con la sensazione che su quello ci si soffermerà. Invece no, immersi nella campagna inglese, in uno studio di registrazione da invidia si passa a tournée e concerti, si passa a concentrarsi di nuovo su Freddie, sulla sua natura, sull'amore con Mary che non può più andare avanti, almeno non così.
E allora, continuano le frasi ad effetto piuttosto innaturali di cui la sceneggiatura è piena e che si basano senza troppe ricerche su interviste e dichiarazioni rimaneggiate. Si romanza, insomma, si infarcisce di buoni sentimenti, di redenzione e di cattivi necessari, pur di poter dare un senso al film, al suo sviluppo, dimenticando per un po' la realtà.
Ed è un peccato, perché quando si lascia parlare la musica, quando quella musica la vediamo registrata, la sentiamo poco a poco composta, la cantiamo su un palco, l'energia arriva, la magia pure. Tra un coro e l'altro, tra un battito di mani e uno di piedi viene da chiedersi perché fare di queste esibizioni un film, una finzione? Perché non creare un documentario, in cui certe esibizioni possono essere vissute con i protagonisti veri sul palco?
La verità è che per quanto Bohemian Rhapsody sia un biopic classico, anche quei live trovano un senso, vanno incastonati nella storia dei Queen, di Freddie. Con la consapevolezza della sua identità, di chi è la sua famiglia, chi l'amore della sua vita, con la vita esagerata che presenta i suoi conti e il ritorno a casa che si fa più simbolico, ogni tappa di quei concerti significa qualcosa.
Il tutto non poteva quindi che chiudersi con la performance perfetta al Live Aid, con l'AIDS ormai accertata e dichiarata, con una famiglia che si compone e ricompone davvero. Anche se per soli fini drammatici (e di libertà, diciamolo, se ne prendono fin troppe).
Ed è qui che Rami Malek dà il suo meglio, si fonde con il suo personaggio, salta, balla, ondeggia sul palco e con gli occhi che si entusiasmano, si commuovono, entusiasma e commuove pure noi. Certo, lo fa anche prima, lo fa quando Freddie era ancora Farouk, lo fa negli anni peggiori, tra feste e festini, lo fa all'apice della sua creatività.
Non sono da meno gli altri membri della band, con Ben Hardy, Joseph Mazzello, Gwilym Lee impressionantemente simili all'originale, o la bella Lucy Boynton nei panni dell'amore di una vita Mary.
Mentre la regia gigioneggia, gioca con gli effetti speciali, esagera in trovate "strane" per star dietro alla stranezza del personaggio che racconta, è il montaggio a fare la differenza, come ci si aspetta da un film musicale. A tempo, con la musica, con le emozioni, con strizzatine d'occhio per richiamare lacrime e brividi, tutto si compone al ritmo di una musica resa eterna, di un'opera rock vitale che racconta di un uomo fragile, della sua famiglia a suo modo ben assortita, delle canzoni che lo hanno reso immortale.