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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
11/11/2022
Live Report
Bon Iver, 5/11/2022, Forum
Non credo sia una bestemmia inserire Justin Vernon tra i più grandi artisti contemporanei. Non pensavo fosse possibile, ma avrei già voglia di rivederlo.

Quello di Bon Iver è forse l’ultimo grande concerto dell’era Covid a venire finalmente recuperato. Avrebbe dovuto essere parte del tour di supporto a I, i, il disco uscito nel 2019, visto che la data di quell’estate a Villafranca di Verona, ad album non ancora pubblicato, era da intendersi come mera anticipazione, ma poi non se n’era più fatto nulla. Ci rechiamo dunque al Forum di Assago (interessante upgrade, questo dei palazzetti, la domanda se da noi ce la farà a riempirlo non è scontata) con un senso di vaga aspettativa ma anche con non so che di straniamento: che sarà successo nel frattempo? Cosa significa davvero andare a sentire un concerto pensato per essere al servizio di un disco che nel frattempo è stato abbondantemente consumato e digerito?

Sono domande inutili, se l’artista in questione è Bon Iver (o i Bon Iver, giuro che non l’ho mai capito), che comunque è uno che sai che salirà sul palco e darà il meglio, a prescindere dalle circostanze.

Partiamo dal fatto che la scommessa è stata vinta: il Forum non è sold out (c’erano biglietti in cassa ancora il giorno stesso e in ogni caso gli ampi buchi nel parterre erano ben visibili) ma è bello pieno, a certificazione della sicura ascesa di un artista che anche da noi ha sempre goduto di ampi consensi (i sold out all’Alcatraz ai tempi della sbornia Alt Folk sono lì a testimoniarlo).

 

Ad aprire c’è CARM, vale a dire il progetto di CJ Camerieri, fedele collaboratore di Vernon sia in studio che sul palco (non in questo tour, però), che dall’anno scorso ha iniziato a pubblicare musica sua con ottimi risultati (il debutto è oltretutto impreziosito da una serie di ospiti d’eccezione, da Sufjan Stevens a Modest Mouse, passando per lo stesso Vernon). Da pochissimo è uscito CARM II, che non ho ancora avuto modo di ascoltare, anche se a giudicare da quanto proposto questa sera, non siamo affatto scesi di livello.

Suona diversi strumenti a fiato, dal corno alla tromba, e li alterna all’interno di un set in cui, affiancato da Trever Hagen (tromba, suo collaboratore in studio e membro effettivo del progetto), mescola elementi cameristici a suggestioni elettroniche, una buona quota di improvvisazione, senza rinunciare alla melodia ma con un livello molto alto di sperimentazione, cosa che non rende certamente immediata la proposta. C’è spazio anche per la forma canzone, come in “Song of Trouble”, originariamente cantata da Sufjan Stevens, e dal nuovo singolo “More and More”, che ha visto invece la partecipazione di Edie Brickell. Sono entrambe eseguite con l’aiuto di uno special guest femminile che suona anche la chitarra ma non ho identificato chi fosse. Ottima resa, anche se ho trovato molto più interessante la lunga Jam con cui hanno chiuso, atmosfere molto scure e sonorità stranianti.

Concerto molto interessante, anche se forse non eravamo nel contesto adatto: gli ampi spazi del palazzetto che si andavano via via riempiendo non favorivano certo la concentrazione; a questo bisogna aggiungere una buona fetta di pubblico intenta bellamente a chiacchierare e a farsi i fatti propri: dimostrazione ulteriore di un paese dove la gente è poco abituata ai concerti e, quando ci va, non ha nessuna voglia di scoprire ciò che non conosce.

 

Justin Vernon e i suoi Bon Iver salgono sul palco alle 21 spaccate, scegliendo come primo brano una inusuale “22 (Over Soon)”, suonata spesso ma mai ad inizio show. È uno degli episodi più belli di quello che per me è il suo disco più bello, quel 22, a Million che lo ha staccato dalla dimensione New Folk facendolo approdare a lidi ben più ampi, dal Pop all’Urban, e lo ha trasformato in autore versatile in grado di collaborare con nomi anche diversi dal proprio background (James Blake e, più recentemente, Taylor Swift, giusto per farne due grossi). Inutile quindi dire che si è trattata di un’ottima scelta, in grado di valorizzare immediatamente tutti gli elementi in gioco: a partire da un Light Design semplice ma altamente suggestivo, fatto di una serie di luci a forma rettangolare poste in alto, che si alzavano, si abbassavano e si combinavano in vario modo; la postazione di ciascun musicista era poi circondata da tubi al neon a formare una struttura trapezoidale che si illuminava variamente nel corso del set; per finire, giochi di laser in alcuni selezionati momenti, dove era effettivamente la cornice ad ergersi protagonista. Un’illuminazione come dicevamo essenziale, finalizzata più a costruire l’ambiente, piuttosto che a far vedere bene chi suonava: per gran parte del tempo i sei sono rimasti avvolti dalle ombre ma anche questa soluzione è stata parte del fascino della serata. Il suono è stato poi al limite della perfezione, nitido e spesso, con tutti gli strumenti delineati alla perfezione; posso dire senza dubbio che sotto questo aspetto è stato il concerto migliore in quasi trent’anni che frequento il Forum e questo è merito certo di chi ha lavorato dietro le quinte.

Sulla performance in sé non c’è molto da dire, se non che è stata superlativa: Vernon è sul palco coi suoi musicisti di sempre, da Sean Carey a batteria e tastiere, Matthew McCaughan alla batteria, Andrew Fitzpatrick a chitarra e tastiere, Mike Lewis alla chitarra e al sassofono (che ha sfoderato già nel primo brano, con esiti decisamente affascinanti). C’è poi l’aggiunta preziosa di Jenn Wasner dei Flock of Dimes (se riuscite, recuperate Head of Roses, il loro disco dell’anno scorso), già vista in passato con Decemberists e Wye Oak. Nella band di Bon Iver canta e suona la chitarra, un contributo prezioso ad arricchire ogni singolo brano.

 

Personalmente li avevo già visti e pensavo di sapere già che cosa aspettarmi. È andata decisamente oltre. Gli arrangiamenti dei brani sono stati quasi tutti stravolti, a rivelare sfumature inedite in ogni singola canzone; l’impatto vocale è stato magnifico, con Vernon ad alternare il solito falsetto a tonalità più basse, l’uso del vocoder ad impreziosire e non a snaturare gli episodi in cui è stato impiegato, nelle parti corali affiancato da quasi tutti gli altri, una resa davvero prodigiosa.

L’impostazione del concerto è ormai quella di una band che da tempo ha abbandonato l’Alt Folk per approdare ad una più compiuta dimensione Folktronica, digitale ed analogico a fondersi in un amalgama vicinissimo alla perfezione. Tante le esemplificazioni di questo assetto vincente: dalle cose più lineari come “Heavenly Father”, il brano scritto assieme a Mike Merton, o ad una “Holocene” delicatissima e sognante, arrivata verso la fine quasi a mettere il sigillo ultimo ad una performance stratosferica; passando poi per episodi più elaborati come “666”, “Jelmore”, “Towers” e a una “10Deathbreast” insolitamente pesante e carica di saturazione. C’è stata poi una “45” tenuta su solo da voce, Synth e sassofono, minimale e incantevole, ma anche inediti squarci di improvvisazione, come sul finale a crescere di una “Blood Bank” più robusta e “americana” del solito, e soprattutto in una “Salem” dilatata da un solo di chitarra lungo e coinvolgente, senza dubbio uno dei momenti più intensi del concerto.

 

È curioso che in tanta ricchezza di suoni e soluzioni, le uniche canzoni riproposte in una veste semi acustica e vicine all’originale siano state le uniche due estratte da For Emma, Forever Ago, vale a dire “Flume” e, ovviamente, quella “Skinny Love” che è stata salutata da grandi applausi ma che, in maniera sorprendente, non ha dato l’impressione che fosse l’unica che il pubblico stesse aspettando (aggiungiamo comunque che, almeno dov’ero io, una gran parte dei presenti ha cessato di chiacchierare solo per girare qualche video col telefono).

Dopo una “Naeem” col Forum illuminato a giorno dalle luci dei telefonini arrivano i sentiti e quasi commossi ringraziamenti di Vernon (che durante il concerto, a parte qualche “Thank you” tra un pezzo e l’altro, non ha parlato mai), il solito rito dei saluti e delle uscite, il rientro con i bis: prima “Perth” (magnifica come al solito), poi “Rabi”, altra perla da “I, i”, un disco che non sarà bello come il predecessore ma che è comunque più che meritevole di apprezzamenti, i brani eseguiti questa sera l’hanno ulteriormente messo in luce.

 

Non credo sia una bestemmia inserire Justin Vernon tra i più grandi artisti contemporanei. Non pensavo fosse possibile ma avrei già voglia di rivederlo, possibilmente con un nuovo disco da promuovere.