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REVIEWSLE RECENSIONI
01/10/2020
Fenne Lily
Breach
“Breach”, che arriva due anni dopo l’esordio “On Hold” e inaugura un importante contratto con Dead Oceans, suona in effetti come un disco pacificato, nonostante la tristezza che affiora qua e là.

Sembra incredibile ma per una volta possiamo scrivere che un’artista ha composto il suo disco in isolamento senza per questo dover tirare in ballo il Covid-19. Fenne Lily ha scritto le canzoni del suo sophomore “Breach” a Berlino, al termine di un tour che, a suo dire, è stato particolarmente stressante e l’ha lasciata esausta dal punto di vista mentale.

Nel brano che ha dedicato alla capitale tedesca, una ballata languida fatta di arrangiamenti minimali e di atmosfere in bianco e nero, si parla di come sia bello e utile riappropriarsi della solitudine come dimensione costruttiva (“It’s not hard to be alone anymore, though I’m sleeping with my key in the door”) e di come si possa andare incontro ad una giornata piena di incognite senza per questo trovarsi smarriti e paralizzati dall’ansia.

Ci è voluto un po’, per arrivare a questa serenità. “Alapathy”, che apre il disco dopo il breve cameo di “To Be a Woman Pt.1”, è già significativa a partire dal titolo, gioco di parole neanche troppo ironico per spiegare la dipendenza da medicinali. Si parla di quello, di marijuana, di come sia difficile resistere alla pressione del music business, che poi è semplicemente il dover conciliare la vera dimensione di se stessi con le immagini preconfezionate che il mondo vorrebbe imporre dall’alto. E nel caso di chi scrive le proprie canzoni, è tutto più complicato, considerato quanto debba esser difficile cercare di tirare avanti con la musica di questi tempi.

Ad ogni modo, la ritmica pacata ma incalzante del brano, sorta di manuale di Rock Lo Fi, tra i pochi episodi elettrici dell’album, dove potrebbe anche esserci lo zampino di Steve Albini (non lo diresti mai a giudicare dall’impronta sonora, ma il mastermind degli Shellac ha registrato parte di “Breach” nel suo studio, con Brian Deck ad occuparsi dell’altra metà del lavoro), ci fa capire che la ragazza di Bristol è davvero riuscita a ritrovarsi.

“Breach”, che arriva due anni dopo l’esordio “On Hold” e inaugura un importante contratto con Dead Oceans, suona in effetti come un disco pacificato, nonostante la tristezza che affiora qua e là. C’è tutto il lavoro di scrittura fatto assieme al chitarrista Joe Sherrin, le amiche Lucy Dacus e Ali Chant che fanno i cori su “Berlin”, la generale consapevolezza che si può stare da soli solo quando si appartiene davvero a qualcuno. E c’è pure la liberazione dai sensi di colpa, dai ricatti affettivi che spesso ci si porta dietro con le relazioni andate male: lo canta in quello che è uno dei pezzi più belli del disco, “I Used To Hate My Body But Now I Just Hate You” (non abbiamo ancora il testo ma non credo ci si debba sforzare per indovinare), quello in cui utilizza con sapienza e un pizzico di spavalderia le solite trite armi del Folk, per scrivere un brano che, nella sua semplicità, appare davvero memorabile.

È tutto già sentito qui dentro. Ed è fin troppo facile cadere nella lettura per cui Fenne Lily sarebbe solamente una Julien Baker con un po’ meno personalità. Per carità, l’area di provenienza è quella. Così come non si potrebbe dare torto a chi osasse retoricamente domandare che “va bene il New Normal di primaveriana memoria ma non credete che queste cantautrici femminili alla lunga si assomiglino un po’ tutte?”. Persino la giovane età della ragazza (23 anni) non è poi chissà quale freccia al suo arco, considerato che questa è una generazione che, anche per le opportunità date dalla tecnologia, ha la possibilità di esprimersi e di farsi notare prestissimo.

Nonostante tutto, a me questo disco piace. Ci sono alcuni riempitivi, i pezzi lenti sono un filino troppi, di momenti da saltare sulla sedia non ce n’è, ma la scrittura è fresca, due o tre brani sono davvero belli e nel complesso il salto qualitativo col lavoro precedente è piuttosto esplicito.

Rimane sempre il solito problema: la concorrenza è tanta e l’impossibilità di suonare dal vivo in maniera costante renderà senza dubbio tutto più difficile, favorendo inevitabilmente quelli che un nome forte da spendere ce l’hanno già.

In ogni caso non perdetevi Fenne Lily, soprattutto se vi piace il genere. Ha annunciato una data da noi il 9 maggio. Ci sarà? Non ci sarà? Nel dubbio preparatevi. Penso che potrebbe valerne la pena.


TAGS: Breach | FenneLily | loudd | lucafranceschini | recensione | review