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REVIEWSLE RECENSIONI
06/07/2021
King Gizzard & The Lizard Wizard
Butterfly 3000
Questa domanda prima o poi ce la dovremo fare: in che misura il buttare fuori un album ogni quattro mesi o giù di lì, può implementare e non rendere scontata la creatività di una band?

I King Gizzard & The Lizard Wizard hanno fatto della stranezza e dell’originalità del loro monicker il punto di partenza per una carriera ai limiti dell’eclettismo. Dubito tuttavia che si siano mai preoccupati troppo delle mie considerazioni iniziali. Stu Mackenzie e compagni hanno sempre avuto come obiettivo principale quello di divertirsi ed è piuttosto evidente che fare musica e scrivere canzoni per loro rappresenti la dimensione privilegiata.

Immaginate dunque cosa potrebbe succedere a questo gruppo di ragazzoni australiani nel bel mezzo di una pandemia, quando ogni possibilità di fare concerti (altro punto di grande piacere per loro) risulta sbarrata. Abbastanza evidente dunque che il biennio 2020-2021 sia risultato tra i più prolifici della loro carriera, a rischio di eguagliare il 2017, l’anno monstre in cui pubblicarono cinque dischi di inediti uno di fila all’altro.

Loro non si porranno neppure il problema, appunto, ma noi che di nuove uscite ne dobbiamo gestire parecchie, non possiamo non chiedercelo: ne vale davvero la pena?

La risposta è sì. Ovviamente il catalogo della band è talmente vasto che solo i fan più accaniti potranno davvero riuscire a starci dietro. Ciononostante, è difficile obiettare che non ci sia qualità. L’impronta stilistica è quella, ormai, ben riconoscibile nonostante i numerosi salti tra un genere all’altro: una base di psichedelia con un ancoraggio solido negli anni ’70 ed un forte debito pagato nei confronti di act d’avanguardia come Neu! e Can. A cambiare, di volta in volta, è semmai la consistenza dello spettro sonoro, con una minore o maggiore presenza delle distorsioni (un disco come “Murder of the Universe” flirtava apertamente con l’Heavy Metal, per non parlare poi della svolta Thrash di “Infest the Rat’s Nest”).

“Butterfly 3000” abbandona le strutture micro tonali dei precedenti “K.G.” e “L.W.”, usciti rispettivamente nel novembre 2020 e nel febbraio 2021, per abbracciare un orizzonte più vasto, che recupera le sonorità settantiane attraverso un mood onirico piuttosto marcato.

Abbondano come sempre le reiterazioni delle sequenze melodiche, le ritmiche saltellanti e le linee vocali cantilenanti, ma a questo giro le chitarre sono poste in secondo piano, lasciando spesso la ribalta ai sintetizzatori.

Brani come sempre collegati tra loro, in modo da portare anche nella dimensione da studio quel libero fluire che contraddistingue le loro esibizioni live.

Si può vedere il tutto come un’unica suite da 44 minuti ma allo stesso tempo non mancano le occasioni di distinguere e valorizzare i singoli momenti: accade ad esempio coi suoni orientaleggianti di “Shangai”, che sfocia nelle sfocate suggestioni di “Dreams”, mantenendo tuttavia lo stesso tema guida. O meglio ancora, nel successivo trittico “Blue Morpho”/“Interior People”/“Catching Smoke”, che con i Synth modulari in evidenza e i suoni avvolgenti costituisce il cuore artistico dell’intero lavoro e fa capire perfettamente dove gli australiani abbiano voluto andare a parare.

Più immediato e meno dispersivo dei suoi immediati predecessori, “Butterfly 3000” è, almeno dal mio punto di vista, uno dei lavori più convincenti della band di Melbourne. Certo, se pensiamo a loro è più facile ricordarsi di titoli come “Nonagon Infinity”, “Polygondwanaland” o “Flying Microtonal Banana”; date però tempo anche a questo e vedrete che non ce ne dimenticheremo così in fretta.

Li aspettiamo dal vivo, dove hanno promesso di organizzare cinque concerti in ogni singola location che visiteranno, distribuiti per giorni e caratterizzati da setlist completamente differenti. Difficile vederli dalle nostre parti con una simile modalità ma sperare non costa nulla…


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