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REVIEWSLE RECENSIONI
Canzoni mostri
Pon¥
2023  (La Valigetta )
INDIE ROCK AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS ITALIANA
8/10
all REVIEWS
17/03/2023
Pon¥
Canzoni mostri
Un songwriting splendido e sofferente, un lavoro di stampo cantautorale che ama allo stesso tempo sfuggire alla forma canzone, perfetto per tutti coloro che stanno cercando una via alla musica italiana che recuperi anche solo parzialmente quella tipologia di “Indie” che in tanti ancora pensano sia l’unica possibile.

Gabriele Bosetti l’avevo intervistato a fine 2020. C’era il coprifuoco, i concerti si tenevano sporadicamente e quasi sempre da seduti, l’aria era ancora quella di una ripresa il più possibile lontana. Era appena uscito il suo primo brano da solista, “Vita”, atto inaugurale del nuovo progetto Pon¥. La band da cui proveniva non aveva voluto che ne scrivessi, forse perché ancora scottato da una separazione che tra le righe si intuiva non fosse stata delle più tranquille; o forse, più semplicemente, perché riteneva giusto che la sua musica venisse ascoltata e giudicata senza filtri o condizionamenti di sorta.

Adesso, me l’ha confermato lui stesso, non ci sono più segreti: Gabriele Bosetti (ma i più familiari con la scena italiana degli ultimi anni lo avranno già capito) era il cantante de Il Fieno. Una band che si è sciolta già da alcuni anni, dopo averci regalato due dischi e due EP di una bellezza irreale, trovando una via italiana alla New Wave inusuale e personale come non avevamo ancora mai sentito.

Gabriele scriveva i testi ed era il principale autore delle musiche, quando ho saputo che stava continuando a scrivere ne sono stato molto contento. Peccato solo ci siano voluti due anni e mezzo dal primo singolo al disco, ma del resto lui è sempre stato così, non condizionato da schemi e scadenze, fa musica perché ama farlo e pubblica quando sente che è arrivato il momento giusto. Dopo “Vita” sono arrivati altri tre pezzi, “Ragazzo”, “Dentro” e “Safari”, due delle quali fanno effettivamente parte della tracklist di Canzoni mostri, assieme anche a “Branchie”, che ha anticipato di qualche settimana la pubblicazione del disco.

Un disco, come ha affermato lui stesso nelle note stampa, “fatto di poche parole, molti riverberi e pochissimi strumenti”. Un disco dove, prosegue, “forse la cosa più importante sono i silenzi. In quei silenzi, tra quelle canzoni, mi piace pensare di potermici nascondere. Come i mostri quando fa giorno”.

 

Ritroviamo, ascoltando questi brani, la stessa atmosfera notturna dei primissimi singoli, quell’impronta Lo Fi che è scelta ideale e programmatica, non conseguenza di pochi mezzi a disposizione; la voce che è come sempre espressiva ed autentica, un’autenticità che domina interamente la prova esecutiva e si fa a tratti lacerante, con quel falsetto che è ormai un marchio ben riconoscibile ad ergersi in punta di piedi a raccontare un’esistenza che si vorrebbe a tratti meccanica e inconsapevole come quella degli animali, e che invece si riconosce urgente e pulsante, tormenta col dolore e spinge a cercare un senso che il più delle volte sembra una pura invenzione. È il tormento esistenziale che Gabriele comunicava anche ai tempi de Il Fieno, cantando di droga, sesso, depressione e paesaggi luminosi. Qui ci sono sempre gli stessi ingredienti, ma allo stesso tempo si intravede un maggior distacco, una conquistata capacità di guardare le cose da una diversa prospettiva, come se dal gioco della vita si potesse guadagnare una certa soddisfazione, se non proprio una vittoria.

È così che brani come “Safari”, “Dentro”, “Alamo”, “Branchie”, sono ammantati di quella dolcezza languida da pomeriggio estivo, vivono di poche e puntuali sovraincisioni, suonando allo stesso tempo scarne e ricchissime di strati, i modelli di riferimento sempre quelli, universali e irremovibili: Daniel Johnston, Sufjan Stevens, Elliott Smith, il John Frusciante solista. Tutta gente che nelle proprie canzoni ha riversato sangue e anima, modelli che per Pon¥ non sono solo musicali ma anche in un certo senso vocazionali.

È un disco fatto di canzoni ma anche di quello che c’è tra una canzone e l’altra o, se preferite, di quello che una canzone può dire di altro dopo aver finito di comunicare un messaggio: per cui non stupisce che gli otto minuti di “È successo qualcosa” se ne vadano via in gran parte con accordi di Synth ripetuti e dilatati, o che la conclusiva “Riverberi” (che cita, non credo in maniera casuale, il titolo di quello che fu l’ultimo album pubblicato da Il Fieno) abbia le strofe inframmezzate da lunghi inserti di elettronica rarefatta, che data la collocazione dell’episodio in scaletta hanno anche il sapore di una chiusura di sipario. E poi c’è “Å”, breve strumentale in stile Ambient, subito dopo un’altrettanto breve “I treni”.

È dunque un lavoro di stampo cantautorale che ama allo stesso tempo sfuggire alla forma canzone per, sembrerebbe, impadronirsi di uno spazio dove la realtà risulti più comprensibile, utilizzare il linguaggio non verbale per potere paradossalmente comunicare di più. In questo senso potrebbe essere inteso il silenzio della dichiarazione iniziale e anche questo titolo insolito, Canzoni mostri, per cui, che le componiamo o ci limitiamo ad ascoltarle, esse rivelano sempre quella parte dell’esistenza che serve a completarci, anche quando vorremmo rimanesse nascosta.

 

Pon¥ va bene per chi si sentisse orfano de Il Fieno, perché c’è lo stesso songwriting splendido e sofferente, anche se oggi indossa altri vestiti; al tempo stesso, è perfetto per tutti coloro che stanno cercando una via alla musica italiana che recuperi anche solo parzialmente quella tipologia di “Indie” che in tanti ancora pensano sia l’unica possibile.

In un modo o nell’altro, è bellissimo che questo disco sia finalmente uscito.