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REVIEWSLE RECENSIONI
28/03/2020
Dileo
Circensi
Un folk vicino a quello (new) americano con qualche lieve concessione all’elettronica, perché il messaggio di un disco è tanto più forte ed incisivo se ci arriva nudo appena vestito di una qualche melodia accattivante.

Sfogliare un album di foto e perdersi nella narrazione di ogni singolo ricordato evocato. Assistere alla rievocazione di un passato più o meno recente che, nell’atto della sua riproposizione, appare sfocato e edulcorato eppure ancora intriso della sua originaria essenza. E vivere questa esperienza rievocativa sullo sfondo di un sound minimale che pure quando adotta soluzioni più variegate mantiene intatta la sua essenzialità, la sua schiettezza senza troppi fronzoli. Un folk vicino a quello (new) americano con qualche lieve concessione all’elettronica, perché il messaggio di un disco è tanto più forte ed incisivo se ci arriva nudo appena vestito di una qualche melodia accattivante.

Circensi, secondo album del cantautore campano Dileo, mi ha fatto pensare ad uno scenario del genere sin dal primo veloce ascolto. Poi approfondendo ho iniziato a coglierne le sfumature, i passaggi, i crescendo dal ricordo dolce alla malinconia più amara che cela la perdita. I 7 brani di cui si compone il disco sono episodi di diversa intensità e colore accomunati dal leitmotiv della memoria e della rielaborazione che essa fa della realtà vissuta. Un album confessionale, intimista, di racconto e condivisione della propria vita.

La title track è una ballad tutta giocata sull’alternanza di chitarra acustica e pianoforte e con la tematica dell’equilibrio si pone come manifesto programmatico dell’intero album. Ne è un’istantanea immediata e veritiera. Anche il brano di apertura, Appesi A Un Filo, ha la stessa aria “delicate” pure nei crescendo, pure nel sax malinconico ed appropriatissimo. Molto Damien Rice e molto Niccolò Fabi.

L’omogeneità interna all’album è forte. Ogni canzone si lega all’altra come se fossero gli episodi di una serie, pure quando il sound si diversifica non si perde mai la linea tracciata. Pure nei brani con qualche guizzo di elettronica, Immobili, l’anima acustica narrante è sempre preponderante. Come fosse una scelta di campo. Come se l’accesso alla profondità dell’autore debba necessariamente passare per un suono il più possibile essenziale. Perché quando si ricorda il passato per poi ripartire da esso con nuovo slancio serve chiarezza e calma e riflessioni serene.


TAGS: Circensi | Dileo | loudd | recensione | SaraFabrizi