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REVIEWSLE RECENSIONI
22/12/2020
The Smashing Pumpkins
Cyr
A due anni dalla reunion, gli Smashing Pumpkins tornano con “Cyr”, il loro undicesimo album in studio, lasciando momentaneamente da parte le chitarre elettriche in favore di un cupo synth pop anni Ottanta.

Non è un segreto che Billy Corgan – o William Patrick Corgan, come ama farsi riportare sui crediti delle proprie opere – sia un massimalista. Quasi ogni progetto degli Smashing Pumpkins, infatti, è volutamente portato agli estremi, sia a livello di concept sia da un punto di vista meramente quantitativo. Due esempi su tutti: il ciclo di Mellon Collie and the Infinite Sadness, composto dall’omonimo album e dal cofanetto The Aeroplane Flies High, si sviluppava attorno a 56 brani per quasi quattro ore di musica, mentre quello di Machina si estendeva su tre cd (Machina/The Machines of God e il doppio Machina II/The Friends & Enemies of Modern Music) per un totale di 40 tracce per 166 minuti.

Non deve stupire, quindi, che Corgan, dopo due album che superavano di poco la mezz’ora e che secondo la sua forma mentis possono essere paragonati a dei semplici Ep (Monuments to an Elegy e Shiny and Oh So Bright), fresco di un nuovo contratto discografico con la Sumerian, abbia deciso di fare nuovamente le cose in grande, consegnando all’ascoltatore Cyr, un’opera da 20 canzoni per 72 minuti di musica.

Da bravo maniaco del lavoro quale è, Corgan ha iniziato a lavorare all’undicesimo album in studio degli Smashing Pumpkins poco dopo aver pubblicato Shiny and Oh So Bright, quando ha inviato al batterista Jimmy Chamberlin le prime demo delle nuove canzoni e ha pianificato con lui l’estetica sonora del disco. Le registrazioni, però, non sono incominciate prima degli inizi di quest’anno e – nonostante la pandemia da Covid-19 – si sono svolte senza particolari problemi, visto anche il tradizionale modus operandi della band, con Jimmy che si è occupato della batteria e Billy di tutto il resto, inclusa la produzione, lasciando ai chitarristi James Iha e Jeff Schroeder il compito di intervenire in un secondo momento (e da remoto, visto che entrambi abitano a Los Angeles e non a Chicago). Rispetto al passato, c’è un’unica novità: le voci di Katie Cole e Sierra Swan, entrambe collaboratrici di lunga data della band, che da Nashville hanno aggiunto al disco dei colori e delle sfumature assolutamente inedite.

Anticipato (e affiancato) da una serie animata suddivisa in cinque episodi intitolata In Ashes, creata da Corgan e realizzata da Deep Sky, Cyr riprende alcune delle sonorità già affrontate da Corgan & Co. in passato – l’elettronica di Adore, le atmosfere plumbee e claustrofobiche di Machina e l’amore per i synth anni Ottanta mostrato da Billy nel suo disco solista TheFutureEmbrace –, ma al tempo stesso lo fa con un’intenzione e una modalità completamente nuove. È vero, non è la prima volta che i Pumpkins lasciano da parte i layer di chitarra in favore dei sintetizzatori – d’altro canto, la loro hit più celebre, “1979”, è un pezzo synth pop sotto mentite spoglie –, ma se in passato li avevano utilizzati per aggiungere un tocco di algida eleganza, questa volta li impiegano come elementi portanti del loro sound, tanto che a un ascolto distratto non è facile capire se le batterie di Chamberlin siano acustiche o programmate oppure se certi riff e certe linee melodiche siano stati realizzati con un synth pad o con una chitarra alla quale è stato applicato un plug-in.

Nonostante nella teoria Cyr faccia parte della stessa serie di uscite inaugurata dal precedente Shiny and Oh So Bright, come la grafica di copertina d’ispirazione futurista lascia ampiamente intuire, i due album non possono però essere più diversi. Infatti, se nel disco prodotto da Rick Rubin due anni fa emergeva un senso di ottimismo e serenità, e ogni elemento del tipico sound à la Smashing Pumpkins era al suo posto (nonostante l’effetto nostalgia non fosse mai assecondato), in Cyr c’è invece la piena volontà di sovvertire ogni regola precostituita e percorrere nuove strade artistiche, ovunque esse portino. Perché, come hanno ripetuto Corgan e Chamberlin nelle interviste promozionali al disco, per ascoltare i vecchi successi e gli album più amati ci sono Spotify e i concerti (quando torneranno), e non ha senso pubblicare musica nuova che cerchi di replicare artificialmente la gloria del passato: molto meglio tentare di parlare del presente e fare di Cyr la perfetta colonna sonora per quest’incubo che è il 2020.

Ovviamente, quando si ha a che fare con un album di 20 canzoni, è inevitabile che non tutto funzioni alla perfezione e che alcuni brani siano più forti di altri. Succede anche a Cyr, inutile girarci intorno, nonostante la qualità media del materiale sia alta e la trentennale esperienza di Corgan come autore e produttore permetta agli Smashing Pumpkins di eludere diverse delle trappole in cui altre band con meno dischi alle spalle sarebbero inevitabilmente cadute. Lo testimoniano pezzi riusciti come “The Colour of Love”, che sembra spuntata da The Head on the Door dei Cure, con un basso galoppante che fa molto Simon Gallupp, oppure le sinistre “Confessions of a Dopamine Addict” e “Cyr”, che riescono a mettere insieme layer di synth glaciali con calde armonie vocali quasi R&B. E non sono niente male neanche le dolci e sognanti “Dulcet in E” e “Ramona”, la malinconica “Birch Groove”, “Wrath” e “Anno Satana”, che ricordano i New Order di Low-Life e Brotherhood. “Adrennalyne”, invece, è sostenuta da un insistente bordone di synth, mentre le chitarre appaiono timidamente in “Schaudenfreud”, caratterizzata anche da delle vertiginose poliritmie elettroniche. E se il pezzo migliore del disco è forse “Save Your Tears”, con un bel basso in primo piano e un meraviglioso intreccio di synth a sostegno del ritornello, il solo pezzo in cui i “vecchi” Smashing Pumpkins fanno capolino è “Wyttch”, unico momento di Cyr in cui le chitarre elettriche e la batteria escono palesemente allo scoperto.

È vero, forse un lavoro di editing avrebbe giovato ulteriormente al disco. Fosse stato ridotto a una dozzina di tracce, Cyr ne avrebbe sicuramente guadagnato, dal momento che diverse delle atmosfere alla lunga tendono a ripetersi e qualche canzone duplica idee già sviluppate altrove nel corso dell’album. Ma si sa, con Corgan è sempre così, prendere o lasciare. Dopo trentadue anni di carriera, è chiaro che se un progetto non è portato alle sue estreme conseguenze, lo spirito inquieto del leader degli Smashing Pumpkins non si può dire soddisfatto. Nel frattempo, Billy ha già annunciato che per il 2021 è previsto un altro doppio album, composto questa volta da 33 pezzi, che fungerà da sequel di Mellon Collie e Machina. Se non è massimalismo spinto questo...


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