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THE BOOKSTORECARTA CANTA
Dalla viva morte di Kurt Cobain
Episch Porzioni
2020  (Chinaski Edizioni)
CARTA CANTA
all THE BOOKSTORE
03/02/2020
Episch Porzioni
Dalla viva morte di Kurt Cobain
“Credo di aver diritto di esprimere in maniera circostanziale quello che penso. Detto questo, con la mia opinione ci viene una birra che levati, quindi si può anche utilizzare per quello scopo”. (Episch Porzioni)

Ed è da queste precise battute che è chiaro quanto sia delicata la lettura di un libro dai contenuti velenosi come quelli che analizzano nel dettaglio la morte di Kurt Cobain. Per i puristi del complotto e per quelli di una certa didattica s’intenda. Per i dottori conoscitori di tutto, intendo. Per chi non dice le parolacce e la verità la tiene nelle credenze laccate, bella mostra per i parenti della domenica. Per tutti gli altri questo risulterà un definitiva panoramica su un thriller da oscar.

Episch Porzioni, moniker di un autore che ho letto spesso in merito al grande rock, torna con un libro sempre edito da Chinaski Edizioni dal titolo “Kurt Cobain Dossier”. E non serve aggiungere altro. Che poi c’è da chiedersi quanto ancora non sia stato detto e quanto ancora non si sia saputo di un fenomeno così mediatico che quasi è più famoso il suicidio di Kurt Cobain che la sua “Smells Like Teen Spirit”. Alla fine siamo tutti italiani del santo pop e lo dimostriamo anche in questo: il gossip e la telenovela sono i grandi motori della curiosità e delle attenzioni di massa, addirittura (penso io) anche più della patata sessuale in tutte le salse ipocrite in cui possiamo trovarla. Episch Porzioni non ha peli sulla penna, non frena la parola scritta che sembra dettata dall’istinto partigiano, parola che ha quel taglio cinematografico, sbarazzino, quasi da beatnik dei nostri giorni. Sporco se serve, preciso prima di tutto, accattivante, il sex appeal del dannato e del vissuto che non si tiene in tasca un segreto ma che allo stesso tempo non lo svende con soluzioni editoriali ormai scontate.

Un libro che gira fin dentro le ossa della vicenda e che fa luce, almeno tutta la luce che si può ancora sperare di vedere dopo oltre 25 anni di teorie e complotti di ogni genere. Spolverando dai mobili dei souvenir, incollando i cocci caduti dagli armadi, rifacendo l’orlo alle pezze ritrovate in garage, attaccando l’elastico alle maschere che indossavano i mitomani, i ciarlatani e i buffi clown di periferia… e poi dando una mano di lucido alla verità degli eventi, senza privarsi dei tanto affascinanti fuori pista sensati per quanto assurdi, senza mai toglierci l’illusione che la verità sia altro o che alla fine per davvero anche gli alieni arrivino a prendere la loro parte in questa storia.

Ma non stiamo qui a parlare di fantascienza o di assurde profezie extra terrestri. “Kurt Cobain Dossier” ha questo linguaggio ma lo usa soltanto per stuzzicare il fascino visivo di una lettura che invece ha la seria completezza da sbattere in faccia a tutti coloro che in fondo, per vederne una luce, dovranno pur smetterla di credere alle favole e far di conto con una vita che è più fragile e quotidiana di quello che la televisione vuol farci credere.

Ed è sempre stato così..

E sempre lo sarà…

E ora anche a me gli alieni hanno fatto la Cura Ludovico e ora, caro Episch, anche io vedo gli odori. 

Inizierei da una domanda davvero immediata ed effimera. Perché un focus sulla morte di Kurt Cobain?

La risposta è abbastanza semplice. Kurt Cobain è stato l'ultimo a imbracciare una chitarra che sia diventato trasversale, amato anche da chi il rock non lo mastica. Dopo di lui ci sono state altre star, anche molto dotate di talento, ma nessuno più dal rock. Il grunge è stato l'ultimo movimento di aggregazione a base di chitarre distorte. 

I punti da affrontare sono stati tanti e per molti versi quasi privi di ragione, quasi surreali… una saga alla Twin Peaks… e hai trovato il modo di svilupparli con un piglio che - se me lo concedi - lo definirei cinematografico. Ma inevitabilmente la curiosità mi porta a chiedere: esiste ancora qualcosa che non è stato affrontato? Qualcosa che col senno di poi è sfuggito alle tue indagini?

Ho usato un setaccio molto fine per trovare tutto quello che è finito sul Kurt Cobain Dossier e mi ci è voluto molto tempo. Alla notte, per prendere sonno spero sempre che non salti fuori qualcos'altro. Ho seguito ogni pista e verificato ogni nome e, quando c'era del sughetto l'ho versato nel libro. Anche fan dediti al complotto mi hanno fatto i complimenti per la completezza, bontà loro. 

Ci si sarebbe aspettati un maggiore contributo fotografico. Ma a dirla tutta, l’ho trovata una scelta assai elegante quella di non dar spazio a questo tipo di contenuto… un dettaglio che ha restituito al saggio un peso serio e professionale. Dicci la tua su questa scelta…

È una scelta editoriale che condivido. Troppe immagini avrebbero potuto distrarre dalla marea di assurdità documentate. Il KURT COBAIN DOSSIER dovrebbe essere un take su come si crea un alone di complotto e sulla fine della realtà per come la conosciamo, non l'ennesima elegia da poster in cameretta. 

Non voglio anticipare nulla della lettura ma trovo assai opportuno il modo che hai avuto di dire la tua sul finire del libro. Per brevi tratti ma decisivi ed intensi, ti sei tolto i panni di mero cronista e sei sceso in campo con il tuo occhio. Per prima cosa ti chiedo: nel raccontare tutta la vicenda hai avuto un occhio clinico, un occhio oggettivo oppure un occhio macchiato da qualche vicinanza (o distanza) spirituale verso KC?

È una bella domanda. Ho cercato di avere un approccio un po' da patologo, di quelli che vengono intervistati nei documentari Hollywoodiani. Però mi sono accorto che se non avessi usato la giusta dose di empatia avrei mancato il bersaglio. Non solo per Kurt ma anche per i personaggi meno piacevoli o più folli. L'empatia è fondamentale per cercare di dare una lettura meno Hollywood alla triste fine del leader dei Nirvana. 

E la seconda domanda è: quanto è importante per la tua scrittura non lasciare indosso soltanto i panni freddi di un cronista? Quindi quanto è importante lasciare un tuo parere personale con tutte le responsabilità che questo comporta?

Questa è bella spinosa. Il problema credo sia l'attuale contesto storico e comunicativo. Il buon giornalismo insegna a separare (ma non a ignorare) le opinioni dai fatti. Adesso esprimere un'opinione è molto più frainteso rispetto a una decina di anni fa. Tutti cercano di arruolarti in questa o quella frazione a seconda delle opinioni che esprimi per poi tifare pro o contro di te. Io credo nel senso delle cose. Credo di aver diritto di esprimere in maniera circostanziale quello che penso. Detto questo, con la mia opinione ci viene una birra che levati, quindi si può anche utilizzare per quello scopo. E poi c'è la responsabilità di quello che si scrive. Nel mio piccolo cerco sempre di restituire senso, magari in modo goffo ma credo sia una forma di rispetto nei confronti del lettore. Il fatto che lo faccia spesso sghignazzando è perché ahimè ho il senso dello humor di un becchino che lavora in un ristorante di crudités. E che il caos ci aiuti tutti.

Ho letto diverse tue “inchieste” sul rock e sulla sua storia perversa e ricca di eccessi che lo contraddistingue. La forma narrativa con cui affronti i racconti è decisamente on the road, molto cinematografica come dicevo, direi anche molto beatnik se mi passi anche questo termine (con le dovute differenze s’intenda). Un taglio così fa parte del tuo modo di guardare la vita in genere? O pensi sia solo una direzione artistica più coerente per parlare di rock nei tuoi libri?

Ahahahahahahahah sì, sì, la mente dietro Chinaski Edizioni mi dice spesso che sono l'ultimo beatnik. Lo stile cinematografico (quasi documentaristico) è una scelta voluta. Generalmente scrivo in maniera più grassa. Ma quando le vicende che narri sono completamente deragliate devi per forza giocare di contrasto. Nel Kurt Cobain Dossier c'è Courtney Love che si prende tutto lo spazio del delirio e quindi a me restavano i panni del detective ahah. 

In generale, le grandi morti del rock sono sempre coronate da misteri e indagini. E non solo nel rock se pensiamo ad esempio a Tenco. Secondo te è semplice mania di pensare ai grandi complotti, magari qualche buona trovata per alzare le vendite… o magari, sotto sotto, qualcosa di poco chiaro esiste davvero?

Guarda io credo che sia una cosa affettiva. Non riusciamo sempre a trovare una spiegazione nella fine di qualche icona, quindi a volte credo sia meglio cercare spiegazioni ai limiti per giustificare questa mancanza di accettazione. Poi ci sono dei casi davvero sospetti. Morti mai chiarite, ritoccate, censurate. Anche questa categoria alimenta la sensazione di dover scovare quel qualcosa che proprio non torna. Scrivendo il KURT COBAIN DOSSIER mi sono imbattuto in una valanga di teorie del complotto, alcune sembrano quasi plausibili, altre sono la Disneyland della paranoia, così folli da essere sublimi. 

Il suicidio di KC ormai è sulla bocca di tutti. Però è innegabile che restano dettagli che si dura fatica a spiegare. Ad esempio, nel tuo libro, non ho trovato un particolare che lessi altrove (e forse è una delle tante bufale). Ovvero che, per le dimensioni del fucile, per la postura del suicidio, per la traiettoria dello sparo etc. … risulterebbe impossibile che un uomo della sua statura potesse arrivare con la mano a premere il grilletto avendo la canna del fucile in bocca o comunque fronte viso… leggenda metropolitana?

Ecco, vedi la vicenda della taglia del fucile è emblematica. La polizia di Seattle ha dovuto pubblicare svariate foto inedite proprio perché venivano continuamente subissati da richieste simili. Mi ha affascinato tantissimo questo aspetto della morte di Kurt Cobain. Non esiste un musicista che abbia avuto questo trattamento post mortem. Una marea montante di persone che semplicemente non credevano alla versione ufficiale e che ritenevano di dovere/potere fare qualcosa. Quando mai si è vista una simile affezione? 

A chiudere: un’indagine come questa, ha messo in luce delle ombre che conoscevi già o hai ritrovato tutto quello che ti aspettavi? Alla fin della fiera, è mutato il pensiero che avevi all’inizio su questo grande “mistero”?

Well, te la dico tutta. Ho 20 opinioni diverse su questa vicenda. Mentre mettevo insieme il libro sono stato convinto di tutto, a turno. Suicidio, omicidio, complotto per i soldi, complotto della CIA, complotto dei fan etc. ma poi gli alieni mi hanno fatto la cura Ludovico e ora vedo gli odori. 


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