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REVIEWSLE RECENSIONI
07/09/2017
Randy Newman
Dark Matter
Non sappiamo se "Dark Matter" riscuoterà maggiori fortune dei dischi precedenti; il mondo, dicevamo, è un luogo ingiusto, dunque non osiamo sperarlo.
di Alessandro Menabue

Randy Newman è uno degli esempi viventi di quanto il mondo sia un luogo ingiusto. Nonostante un talento smisurato, il songwriter californiano non è mai riuscito a conquistare quella popolarità che ha premiato altri cantautori della sua generazione, da Bob Dylan a Paul Simon; in quasi cinquant'anni di carriera - il suo primo album, intitolato con una punta di civetteria "Randy Newman Creates Something New Under The Sun", è del 1968 - l'unico successo di classifica conquistato dall'artista è quella Short People che nel 1977 raggiunse il secondo posto nelle classifiche dei singoli statunitensi e gli valse numerose critiche in quanto considerata razzista nei confronti delle persone di bassa statura, a dimostrazione del fatto che l'ottusità dilagante non è un male dei nostri giorni ma ha radici ben più lontane e profonde.

È proprio quel suo approccio spesso cinico e sarcastico, quel suo raccontare in prima persona individui antipatici e meschini, che lo hanno reso il più delle volte inviso ad un pubblico che non lo ha mai capito o, più probabilmente, non ha voluto nemmeno provare a capirlo. Tutto questo a dispetto di capolavori come "Sail Away" (1972), "Little Criminals" (1977), "Trouble In Paradise" (1983), un numero incalcolabile di colonne sonore - tra le quali vale la pena ricordare "Ragtime" (1981), "Parenthood" (1989) e la saga Disney di "Toy Story" - ed eccellenti canzoni portate al successo da altri artisti come You Can Leave Your Hat On nell'interpretazione di Joe Cocker. Le sue composizioni, in bilico tra canzone d'autore, jazz, blues, New Orleans sound e vaudeville, si sono rivelate fonte di ispirazione per un nutrito drappello di cantautori, da Elvis Costello a Rickie Lee Jones fino ad arrivare in tempi più recenti a Father John Misty.

Ora, a distanza di otto anni dal precedente album di studio, Newman torna con "Dark Matter", un disco che ci restituisce un autore in stato di grazia nonostante i suoi 74 anni; che Randy non sia ancora domo lo si capisce già dalla prima traccia, The Great Debate, un mini musical di otto minuti nel quale creazionisti e anticreazionisti si confrontano in un dibattito che si fa man mano sempre più caotico e sconclusionato. Non mancano i temi politici: in "Putin" racconta l'egocentrismo (e il fallocentrismo) del presidente russo e la percezione virile che molti in occidente hanno del personaggio (“He can power a nuclear reactor/With the left side of his brain/And when he takes his shirt off/He drives the ladies crazy”), mentre nella cinematografica Brothers immagina un bizzarro dialogo tra i fratelli Kennedy alla vigilia dell'invasione della Baia dei Porci, durante il quale JFK confessa il suo amore per la musica di Celia Cruz. L'amore per il blues di Newman si concretizza nella divertente Sonny Boy, affettuoso ritratto del grande bluesman Sonny Boy Williamson. Il lato più intimo dell'autore affiora invece in quelli che sono probabilmente tra i momenti più alti dell'abum: Lost Without You e la conclusiva Wandering Boy, due gioielli degni delle produzioni anni 70 di Randy.

Non sappiamo se "Dark Matter" riscuoterà maggiori fortune dei dischi precedenti; il mondo, dicevamo, è un luogo ingiusto, dunque non osiamo sperarlo. Certamente ci troviamo di fronte ad uno dei suoi lavori più ispirati: da ascoltare, da leggere e da meditare, ammesso che qualcuno trovi ancora il tempo per farlo.