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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
13/11/2017
Bob Dylan e David Bowie
Di arte pittorica e artisti (e di docenti universitari)
In conclusione, ritengo che l’articolo si risolva semplicemente in un forzoso tentativo di sostenere, senza argomenti convincenti, un tesi critica negativa nei confronti di due artisti che hanno una statura tale in ambito musicale per cui chiamarli celebrità è quasi un insulto.
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Il Professor Vincenzo Trione scriveva nel suo articolo pubblicato a pagina 25 de La Lettura del 3 febbraio 2013 che Bob Dylan e David Bowie “sono trattati da veri pittori” solo perché celebrità. Tralasciando titolo, occhiello e sommario dell’articolo (che, si sa, possono non essere creati dall’autore dell’articolo), cito, a titolo indicativo: “il drammatico passaggio dall’autorità alla celebrità”, “musei […] condannati a profanazioni sistematiche”, “Dylan è un pittore quasi del tutto privo di talento”, David Bowie “privo di abilità pittorica”.

Io faccio sempre le mie ricerche, perché diversamente accade che un giorno arriva uno che si firma Steg e fa le sue osservazioni. Appunto.

Il Victoria and Albert Museum di Londra è suddiviso “into four Collections departments, Asia; Furniture, Textiles and Fashion; Sculpture, Metalwork, Ceramics & Glass and Word & Image”[1]. Perchè esso è essenzialmente un museo di arti decorative e design (e “costume” in senso ampio).

Il Palazzo Reale di Milano è la sede di mostre prevalentemente a matrice artistica “alta”, pur se ricordo che esso ospitò in tempi recenti una mostra dedicata a Vivienne Westwood, stilista di moda (o rivoluzionaria della moda?).

Dunque le mie obiezioni al Professor Trione[2] sono di due tipi: oggettive e soggettive.

Da un lato almeno (almeno) quanto a David Bowie il suo dolersi (scandalizzato, stizzito?) perché vengano offerti spazi museali ad opere di questi due “artisti interpreti esecutori” (ma pur sempre artisti: come sancisce l’articolo 80 della legge n. 633 del 22 aprile 1941[3]) non colpisce nel segno in quanto il museo intitolato alla più longeva regina (o dovrei scrivere imperatrice?) britannica è appunto rivolto anche a questo tipo di mostre.

Dall’altro non si vede per quale motivo un artista nell’ambito musicale non possa esprimersi anche in un’altra arte, e qui ricordo che sia Dylan sia Bowie sono anche autori e/o compositori di molte delle opere musicali che interpretano, quindi, in fondo, già due volte artisti[4].

Natürlicher dell’interesse di David Bowie per die Brücke (movimento pittorico tedesco nato a Dresda nel 1905[5]) il Professor Trione nulla dice. E quanto a Bob Dylan pittore, francamente non ho proprio capito perché non possano interessare al pubblico i suoi quadri.

Mi piacerebbe anche sapere cosa ne pensa il cattedratico dello IULM delle performance musicali di cui all’album fonografico Le stelle di Mario Schifano.

In conclusione, ritengo che l’articolo si risolva semplicemente in un forzoso tentativo di sostenere, senza argomenti convincenti, un tesi critica negativa nei confronti di due artisti che hanno una statura tale in ambito musicale per cui chiamarli celebrità è quasi un insulto.

Che poi Damien Hirst sia gradito all’autore dell’articolo, non mi sembra sufficiente per sostenere validamente le opinioni dell’accademico italiano.

Evidentemente, sarò lieto se il Professor Trione vorrà commentare la mia opinione.

 

LUNGO POST SCRIPTUM: Artisti e critici

Ho cercato, vanamente, su Internet “la” (o una) dichiarazione di Damien Hirst secondo la quale David Bowie non sarebbe un artista. Non l’ho trovata. In compenso, mi risulta che David Bowie, come facente parte del “board” di Modern Painters , abbia intervistato nel 1996 Damien Hirst. Fra i suoi intervistati di quella decade ci sono anche Balthus, Jeff Koons e Julian Schnabel.

Da un articolo del New York Times[6] comprendo il probabile equivoco: in lingua inglese si preferisce riservare la parola “artist” per le muse visive tradizionali (pittura e scultura, cioè): ecco infatti l’incipit: “This is the first in an occasional series of talks with people who, in one way or another, have a special connection to art but aren’t (primarily) artists themselves: writers, musicians, scientists, politicians, collectors”.

D’altronde, nel 2012: “When Damien Hirst was looking though his archive recently, in preparation for his forthcoming retrospective at Tate Modern, he came across some film footage of an interview he did with David Bowie in the Gagosian Gallery in New York in 1996. ‘I’m sitting on a big ashtray talking bollocks,’ says Hirst, laughing. ‘At one point, Bowie says, “So what about a big Tate gallery show, then?” And I say, “No way. Museums are for dead artists. I’d never show my work in the Tate. You’d never get me in that place.”‘. L’articolo prosegue: “He grins ruefully and shakes his head. ‘I was watching it and thinking, Jesus Christ, how things change. Suddenly, I’m 46 and I’m having what they call a mid-career retrospective. It doesn’t seem right somehow.”[7]

Se cercate notizie in Internet, scoprirete che Hirst e Bowie hanno collaborato alla creazione di alcuni dipinti.

Sul concetto di “artista” può incidere il fatto che Hirst abbia collaborato alla fine del 2012 con le gemelle Mary-Kate e Ashley Olsen (due “fashionista”) per creare una borsa (in 12 esemplari) dal prezzo al pubblico di 55.000 dollari?

Nel frattempo la mostra “David Bowie is” ha collezionato a Londra 312.000 visitatori, oltre 47.000 sono le copie vendute del catalogo. La mostra sarà quindi allestita a Toronto, poi nel 2014 (etc.) San Paolo del Brasile, Chicago, Parigi e Groningen.

Un album di successi di Elvis Presley si intitola: 50,000,000 Millions Elvis Fans Can’t Be Wrong

Per ora, invece, nessuna nuova dal Professor Trione.

[1] Lo dichiara Wikipedia in una voce talmente articolata che per me va bene, anche a motivo del fatto che questo museo l’ho visitato sempre in occasione di mostre appunto riferite a moda, parola ed immagine.

[2] Nato proprio nell’anno in cui fu pubblicato quello che, comunque, è ritenuto l’album più importante nella carriera di David Bowie: 1972, The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars.

[3]  Per quel che concerne l’Italia, lo stesso è anche per le altre legislazioni in tema di diritto d’autore così come per quelle che si occupano di copyright. Con buona pace di Damien Hirst che forse non è un giurista e quindi taccia David Bowie di essere solo un musicista (ma chissà la citazione esatta, in Inglese, come suona).

[4] Ancora la legge n. 633 del 1941 al proprio articolo 1 riunisce sotto l’espressione “opere dell’ingegno” sia quelle in ambito musicale, sia quelle dell’arte figurativa, eccetera.

[5] Rinvio al catalogo collettaneo Brücke La nascita dell’espressionismo, Milano, Mazzotta, 1999. Il riferimento è importante rispetto agli anni berlinesi di Bowie e Iggy Pop.

[6] Del 14 giugno 1998 a firma Michael Kimmelman. La serie si intitola: “Talking Art With”, il primo intervistato è, appunto, David Bowie: “David Bowie; A Musician's Parallel Passion”.

[7] Sean O’Hagan, The Observer, 11 marzo 2012.