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REVIEWSLE RECENSIONI
05/10/2021
Kanye West
Donda
Un viaggio per nulla semplice e lineare quella di "Donda", 27 canzoni per 1 ora e 48 minuti in cui Kayne West ha ossessivamente ricercato la perfezione. Ci sarà riuscito?

Il nuovo disco di Kanye West è uscito il 29 Agosto 2021, in Italia era pomeriggio. Dopo qualche settimana in cui i rumors riguardanti l’uscita erano stati protagonisti sui media, dopo tre release party che tuttavia non hanno concretizzato la pubblicazione del progetto, dopo giorni chiuso dentro l’Allianz stadium di Atlanta a perfezionare le varie tracce, dopo un beef con Drake e dopo il lancio di “Donda stem player”, un prodotto del marchio Yeezy contenente il disco, finalmente il prodotto finito è sbarcato sulle piattaforme streaming. Se non fosse che lo stesso Kanye, poche ore dopo, è riuscito a dichiarare che la Universal si era permessa di pubblicarlo senza la sua approvazione. 

 

Parliamo di musica adesso: quello che ci siamo trovati di fronte è un quadrato nero al posto della copertina, composto da 27 canzoni per una durata totale di 1 ora e 48 minuti. Dopo una brevissima skit introduttiva in cui viene ripetuto ossessivamente “Donda” (nome della defunta madre del rapper) troviamo “Jail”, in collaborazione con Jay-Z, che riesce a delineare un quadro del viaggio che sta per iniziare. Ci sono le melodie gospel che a partire da “Jesus is king” hanno caratterizzato la sua musica, c’è un synth che richiama tutta la carriera precedente e c’è anche un elemento nella strumentale che suona molto più violento e inquieto del contesto in cui è posto. Quest’ultimo rappresenta l’essenza di Donda

 

Dato che si potrebbe scrivere pagine e pagine su questo album, considerata anche la lunghezza della tracklist, mi limiterò a fare tre osservazioni:

 

La prima è che a livello strutturale la narrazione di questo disco l’ho trovata quasi perfetta, quasi, perchè inserire “Tell The Vision”, soprattutto in quel punto del disco, credo sia stata una delle cose più inutili che Kanye abbia mai fatto.

I quattro brani che seguono “Jail” rappresentano la parte più cupa e violenta del disco, quella che ne ha caratterizzato la campagna mediatica e su cui Kanye sembra aver puntato maggiormente (non a caso ospiti come Lil Baby, The Weeknd, Playboi Carti e Travis Scott li troviamo qui), ed è anche il lato di Kanye più inedito, quello che sarà ricordato come la fase propria di “Donda”.

“Jonah” e “Ok Ok” portano un’atmosfera che rimane cupa e inquieta, eliminando però quell’elemento violento trovato prima. Inizia qui quella che considero la seconda parte del disco: quella citazionistica. Siamo infatti al decimo disco e Kanye sembra provare a fare un punto di quello che ha fatto per il rap riprendendo suoni già usati in passato (basti pensare alla strumentale di “Jonah” in relazione al periodo 2007-2010).

Da “Junya”, invece, inizia una sorta di risalita, un viaggio che pian piano nel corso delle 15 tracce successive porta al risultato opposto della “God Breathed” da cui tutto è iniziato e che si conclude con l’impeccabile “No Child Left Behind” (lasciamo un attimo da parte le pt. 2 conclusive).

Il viaggio non è semplice e lineare, ci sono momenti più difficili come “Moon”, altri più combattuti come “Heaven and Hell”, altri più spirituali come “Donda” e infine altri più riflessivi e ispirati come “Jesus Lord”, ma il punto di arrivo è quella lucentezza ascoltabile in “No Child Left Behind”. In tutto ciò continuano ad essere ripresi i dischi precedenti, sempre “Jesus Lord” mi ha ricordato tantissimo quel mood alla “My beautiful dark twisted fantasy”.

 

La seconda osservazione è che in questo disco ci sono anche tanti punti che non mi tornano, la già citata “Tell The Vision”, per esempio, risulta un tributo - tagliato e mixato male - al defunto Pop Smoke che non trova molto senso in quel punto della tracklist: in mezzo a brani lunghi, complessi e sempre più ispirati, un minuto e mezzo di sample in loop stona parecchio. Sul finale invece troviamo la parte due di quattro brani (“Jail pt. 2”, “Ok Ok pt. 2”, “Junya pt. 2” e “Jesus Lord pt. 2”) nei quali a livello sonoro non cambia nulla: si tratta di remix in cui vengono aggiunti degli ospiti rispetto a quelli dell’altra versione. Abbiamo visto dirette di Kanye chiuso in uno stanzino di uno stadio in cerca della perfezione per questo disco e mi chiedo che senso abbia inserire due versioni della stessa canzone appesantendo parecchio l’ascolto completo. Una scelta dovuta ad una ricerca ossessiva della perfezione e che lo ha portato paradossalmente a non scegliere, inserendo due versioni della stessa canzone. Si poteva inserire direttamente la pt. 2 di tutte quante (così da avere ottimi ospiti in più) e risparmiarsi diversi minuti di musica che non aggiungono nulla al disco.

 

Terza e ultima, ma non meno importante: i testi sono molto più interessanti del solito. La scrittura è sempre stato il punto debole di Kanye, soprattutto negli ultimi 3-4 dischi, qui invece probabilmente, anche grazie al filo conduttore della perdita della figura materna, i testi suoi e degli ospiti si sono fatti per la maggior parte più interessanti e più curati.

 

Per chiudere, sono convinto che sia un ottimo disco. Il lato strumentale e le melodie gospel le ho trovate eccezionali. Nonostante ciò, la durata, la confusione creata prima dell’uscita e qualche scelta discutibile nella tracklist non lo rendono “il capolavoro”, come è stato definito da molti a pochi giorni dall’uscita, ma rimane sicuramente un ottimo disco, in grado di tirare le somme dopo quasi vent’anni di carriera.