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REVIEWSLE RECENSIONI
29/09/2023
PCM
Dreamland
L’ultimo disco dei PCM ci permette di gettare uno sguardo rilevatore sul mondo ambient. Un concept album sulle fasi del sonno, un viaggio onirico scandito da folate di synth, drones chitarristici e tape loops (e molto altro, vedasi intervista finale) che ci accompagnano nelle fasi del dormiveglia, passando per il sonno profondo, sino al ridestarsi.

locuzione sost. inglese, usata in italiano al femminile – Termine coniato negli anni Settanta del secolo scorso dal musicista britannico Brian Eno per indicare un genere musicale caratterizzato dall’attenzione alla dimensione spaziale e atmosferica del suono, in cui le suggestioni del materiale musicale vengono utilizzate per tracciare particolari paesaggi sonori. Legata al movimento New Age, l’ambient music coniuga la ricerca musicale di John Cage con il minimalismo di Philipp Glass. L’uso della moderna strumentazione elettroacustica tende a enfatizzare le qualità evocative e le particolarità timbriche del suono. L’introduzione di effetti spaziali tratti dalla registrazione di elementi ambientali reali e la dilatazione del tempo musicale hanno come obiettivo la produzione di atmosfere rarefatte in cui l’ascoltatore possa provare una caratteristica sensazione di sospensione. L’influenza dell’ambient music si sviluppa in senso trasversale dando luogo a interessanti sperimentazioni nel campo della musica colta come nella musica di consumo. […] La valorizzazione dello spazio musicale e l’integrazione nelle composizioni di materiale sonoro tratto dall’ambiente naturale rappresentano due tendenze dell’ambient music adottate da diversi orientamenti della musica contemporanea: esempi di questo tipo si ritrovano nel minimalismo sacro di Arvo Pärt e nella organic music di Tan Dun. Nell’ambito della musica di consumo, il connubio tra ambient music e musica dance porta allo sviluppo di particolari generi come la lounge music e la chill-out, strettamente legate ad alcune tendenze e mode giovanili, in cui la musica diventa tappeto sonoro assumendo una funzione di sottofondo. In tal modo l’ambient music trova nuovo spazio nei club e nelle discoteche diventando un fenomeno di costume, come testimonia il successo discografico delle compilation Buddha Bar (dal nome di un noto locale di Parigi) pubblicate tra il 1999 e il 2010. L’ambient music è legata oggi ai nomi di Brian Eno, inventore del genere, e di Moby, protagonista della musica elettronica contemporanea.

@copyright Treccani

 

Mi perdonerete se ho voluto iniziare la recensione in stile accademico con la definizione di ambient music della Enciclopedia Treccani, ma l’incipit mi è parso necessario per cercare di dare una linea guida al lettore che, sia quello oramai avvezzo alla materia sia un neofita, potrà così partire dalla casella di partenza per un viaggio in un multiverso in espansione indefinita.

Sotto la definizione di ambient music oramai, infatti, si può trovare tutto ed il contrario di tutto, siccome però a noi di Loudd ci piace educarci all’ascolto, non ci perderemo in locuzioni sintattiche assolutamente incomprensibili, ne porteremo avanti speculazioni linguistiche astruse che, il più delle volte, come purtroppo molta della saggistica contemporanea, mascherano il vuoto teoretico sottostante.

Quindi, per chi volesse documentarsi seriamente su cosa sia l’ambient music e quali siano le basi musicali e teoretiche su cui si fonda, colgo l’occasione della ripubblicazione di un testo fondamentale in materia: Oceano di Suono di David Toop, da parte dei tipi di add editore, ripresentato al lettore italiano con una nuova prefazione. Questo libro, seppur edito nel 1995 (in Italia da Costa & Nolan) rimane difatti uno dei testi cardine per la comprensione dell’ambient music e delle innumerevoli declinazioni di tale oramai oceanica categoria musicale.

Chi vi parla infatti è un grandissimo appassionato di ambient e, parlando con molti altri appassionati di rock, pop, classica, si è trovato di fronte innumerevoli volte ad una serie di persistenti generalizzazioni: l’ambient è tutta uguale, non c’è tecnica, basta mettere in loop un suono per 45 minuti per fare un album, non è “vera” musica, sono tutti capaci di fare un field recording, e così via.

Quindi mi sono sorte un paio di domande:

  • 1. Perché la musica ambient risulta per molti difficilmente fruibile?
  • 2. Cosa manca all’ambient per evitare il luogo comune di essere musica “non pienamente compiuta”?
  • Cercherò di rispondere brevemente ad ambedue le questioni.

 

In primo luogo, la musica ambient per molti è difficilmente fruibile perché è una musica “concettuale” e quindi, sotto questo profilo, si scontra con lo stesso limite dell’arte concettuale. Questo tipo di arte, infatti, rispetto alla classica arte figurativa, il più delle volte non rappresenta un soggetto previamente definito, si basa su figurazioni astratte, con la conseguente necessità di una spiegazione o, meglio, di una introduzione alle ragioni concettuali sottese alla sua realizzazione. Attenzione, non sto dicendo che l’arte figurativa non possieda tale requisito; gli studi iconologici ci hanno insegnato che l’opera, soprattutto nel caso sia stata commissionata da un colto committente, presenta più livelli di lettura, ma rimane comunque legata ad una forma maggiormente fruibile.

In secondo luogo, l’ambient, per scelta esplicita, rinuncia al ritmo. Pensate ad esempio ad un brano jazz, la difficoltà di stare dietro alla complessità dell'invenzione ritmica che viene modificata e scomposta in diversi momenti del brano, e comparatela all’ascolto di un drone musicale, che si sviluppa in micro-tessiture minimali (con la conseguenza pratica, ad esempio, che, mentre la musica ambient può essere utilizzata come sottofondo alla redazione di questa recensione, un brano jazz porterebbe necessariamente l’auditore a seguire i continui cambi di ritmo).

Ancora, la musica d’ambiente si focalizza sul suono, la sua natura, il suo timbro, il suo fluire, rinunciando alla voce: nell’ambient di norma non c’è testo (se non come cut-up e/o campionamento inserito all’interno), non c’è distrazione volta a capire il senso semantico delle frasi, il timbro, non esiste, di norma, il duetto tra leading e back vocals, niente di tutto ciò, una assoluta monoliticità del sound, da qui la sensazione sopra vista di apparente incompiutezza.

Un'ulteriore caratteristica dell’ambient sarebbe l’immersività e sarebbe interessante evidenziare anche la circostanza non puramente causale della nascita e sviluppo di tale genere musicale contestualmente allo sviluppo della fisica (Vi rimando sul punto all’intervista e a eventuali future notazioni).

 

Dopo tutta questa lunga (ma spero non noiosa introduzione) cosa dire di questo disco? Semplicemente che è bello, i musicisti (un trio formato da Francesco Perra, Matteo Cantaluppi e Matteo Milea, già autori sia come gruppo sia singolarmente di diverse produzioni ambient, ci trasportano in un cammino, scandito in 10 sezioni, tutte connesse tra loro. Dall’iniziale intro che, anche musicalmente, riproduce quel senso di colpi di sonno che ci capitano stando davanti alla tv o leggendo il libro prima di addormentarsi, sino al risveglio, passando per le diverse fasi del sonno.

Ma la musica, mi chiederete? La musica rispecchia il continuum queste fasi; ed allora si passa dalle folate eteree della seconda track “Dreamland”, per poi immaginare (sempre nel sogno) di fare una camminata astrale ("Astral Walk"), dove un bordone sintetico viene accompagnato da una serie di glitch, per poi cadere nella "R.E.M. Phase", dove tutto è calma e silenzio.

Nello sviluppo del disco emerge inoltre una ulteriore caratteristica dell’ambient, ovvero il legame del suono con lo spazio ed il tempo (vedasi la settima traccia “Awekened”), nonchè i riferimenti a quello che viene chiamato da molti il soundscape (in italiano il paesaggio sonoro) che improvvisamente viene squarciato dagli incubi (“Nightmare Alley”) dove emergono più chiaramente le influenze cosmiche e kraut rock dell’ensemble unite ad una minimale tessitura beat.

Il tutto fluisce in una sequenza elettronica al raggio di luna, per poi concludersi con il ripetersi ciclico della sveglia mattutina (“Allarm Clock Lullaby”)

Ma, in chiusura, per essere coerenti con le premesse, vi lascio a una breve intervista epistolare che i PCM mi hanno gentilmente concesso in merito ad alcune domande che gli ho posto sul loro nuovo lavoro.

 

 

Potete presentarci brevemente cosa vi ha ispirato alla realizzazione di Dreamland? Mi hanno incuriosito i due cut-up utilizzati nell’intro e nell’outro, potete rivelarcene il contenuto?

Dreamland si staglia come una descrizione delle diverse fasi che accompagnano l’essere umano verso l’astratto (a tratti molto reale) mondo onirico. Abbiamo deciso quindi di utilizzare un estratto da una delle famose interviste/lezioni di Richard P. Feynman sulla meccanica quantistica e la “Particella di Dio” per cercare un filo conduttore che trasportasse l’ascoltatore dall’inizio alla fine e ancora verso un nuovo inizio, proprio un loop. 

Immaginare le interazioni tra particelle sub-elementari che costituiscono la materia è un grosso lavoro mentale, ecco perché abbiamo cercato di rappresentarne una forma semplificata musicalmente. In particolare, abbiamo quindi pensato che una descrizione più “analitica” (e strechata) potesse razionalizzare meglio quelle sensazioni. Da un punto di vista esterno è come se l’ascoltatore di Dreamland si “addormentasse” all’inizio del disco cullato dalle suggestioni di Feynman, proprio come ci si addormenta sul divano guardando la TV, esse si tramutano in forme oniriche, un’introspettiva ricerca dà il largo all’immaginazione dell’ascoltatore che viene “guidato” dalle tracce che compongono il disco. La chiusura è il grande richiamo alla realtà, che torna ad essere tale allo scoccare della sveglia, la quale riporta tutti alla propria realtà quotidiana. “Alarm Clock Lullaby” serve proprio a questo scopo, ritornare verso la coscienza attiva ma con la consapevolezza che ogni risveglio porti ad un nuovo giorno.

 

Una delle accuse che viene mosse all’ambient music è quella di essere una musica “semplice” e che non occorrano chissà quali grandi competenze tecnico-musicali. Al contrario di questa generalizzazione mi sembra, ad orecchio, che la strumentazione da Voi utilizzata (e manipolata) sconfessi pienamente questo luogo comune. Che strumentazione avete utilizzato per la realizzazione dell’album?

Sia in Attraverso che in Macro (i due precedenti album a firma PCM pubblicati come l’ultimo dalla label n5MD, ndt.) c’è stato un uso intensivo di strumentazione analogica, sia per quanto riguarda la ripresa dei suoni che la loro produzione. Le chitarre sono sempre in Stereo, Francesco usa moltissimi pedali “boutique” come gli Strymon, Hologram Electronics, Caline Technology. In studio abbiamo utilizzato amplificatori sia valvolari che a stato solido sia valvole che Solid State amp: Vox AC30 (amplificatore valvolare per chitarra prodotto nel 1958, l’hanno usato tutti dai Beatles ai Rolling Stones, passando per gli U2 e i Queen, uno dei sogni di ogni garage punker, ndt.) e Advanced Acoustic 220 (finale di potenza monofonico appena uscito di produzione, una bestia da 21 kg…ndt). Matteo (Cantaluppi) usa svariati sintetizzatori, principalmente Moog Voyager (l’ultimo apparecchio sviluppato personalmente da mr. Moog, ndt.) e Prophet 08, Korg Polysix, Roland JX-3P (tutte tastiere anni ’80, ndt.) ed effetti come Roland Chorus-Echo, Eventide Space. Matte (Milea) si avvale dell’uso di un piccolo sistema modulare integrato con Mother 32, svariate drum Machine per diversificare la produzione di suoni più percussivi, dalla classica 909 (drum machine utilizzata in tonnellate di produzione techno, house ed industrial, ndt.) alla Tempest di Dave Smith (altra drum machine storica nata dall’ingegno comune di Dave Smith e Roger Linn, ndt.), alla più moderna Elektron Machinedrum. Attrezzatura che abbiamo estensivamente utilizzato: Binson Echorec, Wurlitzer Electric Piano, Pro-Co Rat, Roland Dimension D.

In generale abbiamo sempre cercato di integrare il perfetto setup per ogni pezzo che scrivevamo adattando la catena di registrazione a seconda delle necessità e lasciandoci del tempo per sperimentare con molte soluzioni diverse. In Dreamland l’approccio è stato diverso, più prodotto rispetto agli altri due. Tecnologicamente vi è stato uno switch verso più strumentazione digitale e “Lofi” machine, un estensivo uso di VST, Custom patch di MAXmsp, campionatori, tape loop e qualche sample. Grazie alla collaborazione con i fratelli Trabace appaiono per la prima volta anche pianoforte e violino nella traccia conclusiva “Alarm Clock Lullaby”.

 

Ultima domanda. Nel flyer di presentazione dichiarate di essere influenzati visivamente da Tarkovsky, Kiefer e Fontana. Personalmente ritengo Fontana un genio dell’arte italiana del dopoguerra e Anselm Kiefer un grandissimo maestro di arte contemporanea (invito tutti quelli che ancora non l’hanno fatto ad andare a vedere l’installazione permanente del Maestro I Sette Palazzi Celesti all’Hangar Bicocca). Potete dirci un pochino di più?

Fin dall’inizio del progetto abbiamo avuto chiaro che la nostra musica avesse uno stretto legame con l’immaginario visivo, sia avvicinandosi al mondo autoriale cinematografico che con quello più concettuale dell’arte del ‘900. Comporre musica Ambient ha spesso a che fare con un'estrema sintesi di suono e spazio/tempo che può accostarsi molto bene a, per esempio, il concetto di "Spazialismo" di Fontana. In particolare, siamo influenzati dal mondo pittorico e scultoreo. 

Con l’avvento del nostro debutto dal vivo vorremmo lavorare utilizzando il video come parte integrante della performance, in primis poiché può veicolare e far capire meglio al pubblico i concetti che portiamo avanti con la musica, poi anche per aggiungere una contestualizzazione quasi architettonica del nostro concerto. Non abbiamo ancora sviluppato un’idea precisa su come sarà lo show, ma sappiamo che l’aspetto visuale sarà di rilevante importanza per costruire una performance più interessante rispetto al solo ascolto passivo.