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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
02/05/2022
Live Report
Dry Cleaning, 28/04/2022, Circolo Magnolia
Il set dei Dry Cleaning dura poco più di un’ora ed è fantastico, confermando quanto in sede live la band sia una certezza. La risposta del pubblico, inoltre, dice già molto: palco grande del Magnolia pieno di gente e per un gruppo che è alla fine è solo al primo disco; per un paese poco attento alle novità come il nostro, è già una certificazione di successo.

New Long Leg, il primo full length dei londinesi Dry Cleaning, ci ha messo un po’ a convincermi ma alla fine ce l’ha fatta. Ero rimasto un po’ scettico al tempo dell’uscita, esattamente un anno fa, probabilmente un po’ perplesso dalla formula “spoken word su chitarre di impostazione Post Punk”, che arrivava oltretutto in una fase di assenza di live ma di proliferazione senza precedenti delle uscite.

Nei mesi successivi l’ho riascoltato meglio (anche perché volevo contestualizzare la posizione altissima guadagnata in gran parte delle classifiche di fine anno delle riviste specializzate), li ho visti dal vivo al TOdays Festival e ho dovuto ricredermi. Anzi, credo che in questo momento la band di South London rappresenti, Fontaines DC a parte, la declinazione più interessante di tutta questa scena di band inglesi emerse negli ultimi anni. Sono probabilmente quelli che hanno fuso il maggior numero di influenze in una proposta organica e ben strutturata, col chitarrista Tom Dowse che ha saputo far fruttare i suoi trascorsi Hardcore e i suoi molteplici ascolti in uno stile continuamente cangiante; dall’altra parte c’è una come Florence Shaw, un passato da visual artist, totalmente a digiuno di musica suonata, che ha scoperto un autentico talento con le parole e ha accettato, su invito di Dowse, suo amico da tempo, di sistemarsi dietro al microfono mettendo i suoi testi a servizio degli intricati paesaggi strumentali disegnati dagli altri tre.

Una storia non dissimile da quella dei nostri Massimo Volume, che hanno parecchi anni in più, un background musicale differente, ma la cui formula originaria è frutto dell’incontro tra un chitarrista fantasioso e un paroliere che solo in un secondo momento si è scoperto musicista.

Tutto questo per dire che, ancora una volta, i Fall li dobbiamo lasciare stare: checché ne abbia detto parte degli addetti ai lavori, qui siamo su un terreno decisamente diverso, dove per certi versi azzardare termini di paragone non è così facile.

 

Resta che, a meno di quattro anni dalla nascita, i Dry Cleaning siano divenuti una realtà nient’affatto trascurabile, con due EP (Sweet Princess e Boundary Road Snacks And Drinks) di cui si è detto un gran bene e che li hanno portati a tenere le loro prime date oltreoceano. La pandemia ha solo momentaneamente interrotto quella che pareva un’ascesa inarrestabile: il quartetto ha approfittato della pausa forzata per mettere a punto le canzoni che sarebbero finite sul debutto New Long Leg, uscito l’aprile scorso per la 4AD, prodotto da un nome giusto un filino importante come John Parish.

Il resto lo sappiamo e oggi lo possiamo toccare con mano anche noi: dopo il passaggio un po’ in sordina di quest’estate (era il periodo, se vi ricordate, in cui il Covid impazzava e le band straniere, soprattutto quelle britanniche, facevano parecchia fatica ad andare in giro) che comunque ne ha evidenziato le indiscusse qualità, i nostri arrivano a Milano per l’unica data italiana di questo tour da headliner.

La risposta del pubblico fa già capire molto: il Magnolia, di cui viene utilizzato il palco più grande, quello sotto il tendone, è bello pieno, decisamente di più di quanto accaduto per gli Still Corners la settimana prima. Siamo un paese poco attento alle novità, lo sappiamo: il fatto che per sentire un gruppo al primo disco sia arrivata così tanta gente è già di per sé una certificazione di successo.

 

Ad aprire c’è Maria Somerville, irlandese del Connemara, un disco autoprodotto (All My People, del 2019), un altro in arrivo per 4AD. Coi Dry Cleaning sono molto amici tanto che più tardi, ringraziandola dal palco, Florence Shaw ha scherzato dicendo che le avrebbero spesso chiesto di unirsi alla band ma che lei avrebbe rifiutato.

La sua è una proposta decisamente ostica: voce soffusa, impalpabile, canzoni eteree sostenute da accordi leggeri di chitarra e, a tratti, da un tappeto fumoso di elettronica. La melodia è ridotta all’osso, quasi assente, i brani iniziano e finiscono senza dare mai l’impressione di lasciarsi afferrare. Suona una mezz’oretta scarsa e fa capire che c’è parecchia sostanza dietro. Dovrei comunque sentirla su disco e dedicarci più tempo per poter dare un giudizio esaustivo.

 

Il set dei Dry Cleaning dura poco più di un’ora ed è fantastico. I quattro impiegano giusto lo spazio di un brano (“Leafy”) per mettere le cose in chiaro. Sezione ritmica martellante e quadrata, col drumming implacabile di Nick Buxton e il pulsare del basso di Lewis Maynard, solide fondamenta su cui si innesta la chitarra di Tom Dowse. Il suo strumento è senza dubbio il vero fulcro della musica del gruppo: che siano fraseggi melodici o accordi robusti, c’è una vera e propria narrazione musicale che viene portata avanti, suggestioni che mutano spesso anche all’interno del singolo brano e che costituiscono il territorio dentro il quale si muove Florence Shaw con i suoi testi. La ragazza, dal canto suo, ci sa fare: personalità magnetica, il tono asettico con cui declama le parole crea un singolare contrasto con l’espressività del suo viso a sottolineare i vari momenti. Al di là della bravura con cui scrive (i suoi racconti vivono di dettagli minuziosi e di scorci apparentemente insignificanti di vita quotidiana, esprimono una certa visione ironica della vita ma sanno anche toccare in profondità il dramma dell’esistenza) è evidente che quando le hanno chiesto di ricoprire il ruolo di frontwoman non si sono sbagliati. Parla pochissimo e nelle poche volte che lo fa si dimostra allineata al suo universo poetico, come quando chiede ai presenti di stare attenti a non calpestare qualche bruco, visto che poche ore prima, passeggiando nel parco che circonda il locale, ne ha avvistati parecchi.

 

 

Sul palco non si guardano praticamente mai, sono concentrati su ciò che fanno, sembrano ognuno nel proprio mondo ma l’effetto d’insieme è dirompente. La setlist non è lunghissima ma è ben dosata, tocca i momenti salienti di New Long Leg (grandiose la title track e “Scratchard Lanyard” ma anche gli altri episodi non sono da meno, tra cui una “More Big Birds” con uno splendido finale strumentale) e non si dimentica degli esordi, andando a pescare senza problemi da entrambi gli EP: “Magic of Meghan”, coi suoi riff rocciosi e il ritmo incalzante della sezione ritmica, è indubbiamente una delle migliori, si capisce bene il perché siano stati notati per la prima volta proprio grazie ad essa.

Nel finale arriva anche “Tony Speaks!”, uno dei due singoli pubblicati quest’estate, tenuta su da un terremontante basso distorto di Maynard. Il bis è solo uno ed è la vecchia “Conversation”, uno dei pochi episodi un po’ veloci che hanno in repertorio, visto che la loro musica vive di ritmi cadenzati e strutture quadrate.

 

 

Alla seconda volta che li vedo dal vivo, penso di poterlo dire: i Dry Cleaning sono una certezza e non meritano di essere inseriti automaticamente nel novero delle pur ottime band della loro generazione, è evidente che possiedano una marcia in più ed un’individualità spiccata.

Per il proseguimento di carriera dipenderà tantissimo da quanto riusciranno a variare la formula strumentale, perché la voce della Shaw, per quanto dica cose interessanti, alla lunga risulta per forza di cose prevedibile. Con un chitarrista come Tom Dowse però, siamo certi che qualcosa sapranno inventarsi.

 

 

Photo courtesy: Lino Brunetti