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REVIEWSLE RECENSIONI
28/09/2019
M83
DSVII
Un disco che parla molto di Anthony Gonzalez e della sua ritrovata libertà sonora. Ci vuole coraggio per fare un disco del genere, un disco per se stessi, una dichiarazione d’amore verso ciò che ti ispira e ti stupisce.

Nel catalogo astronomico di oggetti celesti diversi dalle stelle, compilato dall’astronomo francese Charles Messier, con la sigla M83 viene identificata la Galassia Girandola del Sud, una delle galassie a spirale più vicine e luminose.

Da qui nasce l’ispirazione per il nome della formazione francese in attivo dal 1999 dove l’unica costante resta oggi Anthony Gonzalez, fondatore del gruppo (nato dall’unione di Gonzalez e di Nicolas Fromageau). Rappresentanti del neo-shoegaze, termine quasi impronunciabile per descrivere un’ondata alt rock sviluppatasi in UK alla fine degli Ottanta e caratterizzata da suoni distorti, tastiere e la quasi totale assenza di cantato. Nel 2005, dopo l’uscita dal gruppo di Nicolas Fromageau, Gonzalez realizza il terzo album della band, Before The Dawn Heals Us, praticamente da solo.

La vera svolta arriva con l’uscita di Saturdays = Youth di chiara ispirazione pop e fortemente influenzato dalla musica, dall’intera cultura anni Ottanta. I campionamenti vocali lasciano spazio al cantato: voci sempre in linea con lo stile sognante della band. Saturdays = Youth è come una commedia romantica di John Hughes o di Cameron Crowe, 16 Candles e Say Anything in tutto il loro fascino eighties. Basi elettroniche, riverberi e leggerezza.

Ma è con Hurry Up, We’re Dreaming e la nomination ai Grammy Awards che la band esce dallo status di culto e dalla nicchia. Il singolo Midnight City entra al primo posto nella classifica di Pitchfork, i brani Intro, Outro, My Tears Are Becoming A Sea e Wait vengono utilizzati nelle colonne sonore di Hunger Games, Premonitions, Colpa delle Stelle, Divergent, Warm Bodies e Cloud Atlas. La collaborazione tra Anthony Gonzalez e Justin Meldal-Johnsen (Nine Inch Nails, Beck) è vincente.

Il duo compone la soundtrack di Oblivion e di Suburra.

Gli M83 con il loro pop sognante diventano la movie soundtrack band per eccellenza.

Nel 2016 arriva Junk. Massacrato dalla critica per la sfacciataggine commerciale in un minestrone per niente eterogeneo di pop, techno e persino soul. Gonzalez è un vero prodigio dell’elettronica, ma rasenta l’imperdonabile. E lo sa. Tanto che un ritorno alle origini dopo tre anni di silenzio è quello che troverete al primo ascolto di questo nuovo album.

Non il solito album pop, dice Gonzalez, che per realizzarlo è tornato a casa a Cap d’Antibes. Aveva bisogno di fare un disco per sé stesso, tornare a ciò che amava: una sorta di camera di decompressione dopo l’enorme successo di Hurry Up, We’re Dreaming e il flop di Junk. Così nasce DSVII (Digital Shades vol. 2), a dodici anni di distanza dal primo volume.

Un ritorno alle origini sì, perché il cantato scompare di nuovo lasciando il passo ad un album interamente strumentale – se si escludono i pochi campionamenti - ed intimista; Gonzalez dice di essersi ispirato ai videogiochi e ai film di fantascienza dei primi anni Ottanta.

La dimensione cinematografica, cifra stilistica degli M83, ritorna prepotentemente e in ogni traccia di DSVII le ispirazioni sono riconoscibili. Il primo pezzo e l’ultimo fanno da sipario: sono la tracce più lunghe, la prima sfiora i sette minuti, l’ultima li supera; un’introduzione vigorosa e un addio struggente.

Ma partiamo dall’inizio…

Hell Riders       

Fruscio di synth, riverbero che amplifica il suono fino a farlo diventare denso in un intro degno del miglior Nicolas Windn Refn, finché al minuto 2’20” entra la chitarra portando aria di Messico e chiudendo con un coro dal respiro epico, che ci proietta in un film di Sergio Leone.

A Bit of Sweetness       

Passiamo ad una dimensione più eterea, tastiera (o diamonica), voci duplicate, triplicate. Her di Spike Jonze.

Goodbye Captain Lee

Blade Runner. Le tastiere e un synth che distorce il suono in una melodia da sassofono artificiale.

Colonies

La psichedelia e le infinite distese desertiche di Star Wars.

Meet the friends

Pezzo dove l’elettronica cede il passo al piano, in una dolcissima melodia che ricorda gli intermezzi del videogioco FinalFantasy X.

Feelings

Clavicembalo e fiati su romantiche melodie felliniane alla Nino Rota, in un crescendo sempre più epico ed elettronico in stile Dune.

A Word of Wisdom

Humming distorto e felice come una passeggiata in Central Park a giugno in Harry ti presento Sally. Un motivetto che entra in testa e non ti lascia più andare.

Lune de fiel

Finalmente le percussioni! Abbandoniamo la melodia per gettarci in atmosfere più cupe, a tratti minacciose come gli inseguimenti in Mad Max – Interceptor.

Jeux D’enfants

Piano struggente che riecheggia come un ricordo lontano. Your Name di Makoto Shinkai.

A taste of the dusk

Nonostante la spinta del sintetizzatore e le contaminazioni sonore, la melodia e la voce che entra in un bisbiglio evocano ricordi di cinema francese dei primi anni Ottanta tra balli lenti, Sophie Marceau e Pierre Cosso.

Lunar Son

Echi lontani, riverberi, una base al piano e una melodia affidata ai fiati. L’ultimo duello di Oren Ishii in Kill Bill.

Oh Yes you’re there, everyday

Ricorda Les rencontres d’après minuit o una commedia americana con Barbra Straisand tipo “Ma papà ti manda sola?”

Mirage

Onde elettroniche che si infrangono e il cui suono riecheggia, svanisce, ritorna…  Mission di Roland Joffé.

Taifun Glory

Ancora il Giappone delle moderne animazioni con melodie al piano in stile Yiruma.

Temple of Sorrow         

Il Gladiatore. Di solito un’overture è un brano d’apertura. Nei concerti di musica classica si esegue a sipario chiuso e serve ad introdurre un’opera. In questo caso la chiude, magistralmente. Cori sussurrati e ritmica bassa e costante con un crescendo al centro del brano di cori e sintetizzatore che si smorzano poi chiudendo con poche note di pianoforte. Un brano etereo che probabilmente rappresenta al meglio, con i suoi 7 minuti e 5 secondi, lo spirito dell’intero disco.

Un disco che parla molto di Anthony Gonzalez e della sua ritrovata libertà sonora. Ci vuole coraggio per fare un disco del genere, un disco per se stessi, una dichiarazione d’amore verso ciò che ti ispira e ti stupisce.

Digital Shades vol.2 è un viaggio per immagini che conferma la capacità innata di Gonzalez di dipingere interi mondi con una tastiera e un sintetizzatore.

Ben tornata luminosa galassia!


TAGS: alternative | DSVII | elettronica | indie | loudd | M83 | Mute | pop | recensione | SaraPillitu