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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
11/04/2024
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Bobby Joe Long’s Friendship Party
"L’arte per me è questo, fare cose oggi che stanno dentro al domani". Quale dichiarazione migliore per decidere di entrare a capofitto nella lettura dell'intervista a Bobby Joe Long’s Friendship Party? E se non vi basta, nel mese di aprile lo troverete di nuovo in tour.

Loudd segue da tempo il percorso musicale di Bobby Joe Long’s Friendship Party, Luca Franceschini ha già in precedenza avuto modo di parlare di e con Harry Bowers (dietro cui si cela il cantante e la mente pensante del gruppo) quindi, stavolta, tocca al sottoscritto.

Chi segue la nostra webzine sa bene della diversità di ascolti tra il sottoscritto e Luca, ma BJLFP è uno dei pochi condivisi e questo dovrebbe illuminare sulla platea di ascoltatori dell’oscura combo romana.

L’occasione di riallacciare il filo del discorso si è posta così a cavallo tra l’uscita dell’ultimo singolo del gruppo, "Giovan Maria Catalan Belmonte", e l'intenso tour Solo gricie ad Agarthi, che partirà proprio da Milano il 12 aprile.

 

 

Ciao, questa volta tocca al sottoscritto condurre l’intervista, dando per acquisito quanto già narrato dal nostro Luca, direi comunque di partire dall’inizio, ovvero Roma Est. Un disco che alla sua uscita mi stupì molto, in quanto l’amalgama tra un suono di chiara matrice wave anni Ottanta e la “declamazione” di testi intrisi di romanità si poneva sul filo del rasoio tra il considerare il tutto come un sapiente e originale crossover, ovvero il declassare la vostra proposta a quasi una sorta di tabarin capitolino (in ogni caso per me “Vortice di totip” e “Quintilliani Next Stop” sono due perle assolute). Quale è il tuo pensiero al riguardo?

A distanza di anni lo trovo un disco sempre più riuscito. Anche il concetto di non produzione da un punto di vista tecnico che sta dietro a quel disco (come già detto in altre interviste è un disco di demo, fatto cotto e magnato come se dice a Roma, e senza budget e mezzi). Lo dimostra il fatto che chi lo ascolta per la prima volta oggi lo trova avanti, lo dimostrano i contenuti e lo dimostra la forma in cui i contenuti vengono espressi. La musica dei BJLFP (come la musica che amano i BJLFP) non è quella cosa adatta a persone che per attitudine hanno l’ascolto superficiale o di intrattenimento, che sono poi quelli che vanno a scrivere simpatici sotto un pezzo del 2000 o del 1980 (bello o brutto che sia): “chi qui ancora oggi nel 2024?”. Tenendo conto di come sono stati tirati su i fruitori di musica negli ultimi anni e di come è regredito un po’ tutto, è un disco che più passa il tempo e più si rivela necessario dal mio modo di intendere le cose. 

 

Col secondo album, viene rimarcata una vostra caratteristica, ovvero quella di un citazionismo sia cinematografico sia verso alcune figure di serial killer su cui viene innestato un calembour linguistico peculiare (già nell’utilizzo del moniker scelto, Bobby Joe Long, Tedd Bundy, da cui il giorno di parole del titolo del secondo album Bundytismo che richiama all’italico banditismo). C’è una ragione particolare o tale effetto risulta essere una sorta di épater le bourgeois(es), considerato il tuo più volte manifestato interesse al mondo femminile, sapientemente utilizzato ad esempio da molte band dell’area industrial (dai Throbbing Gristle, per passare a NON, Laibach, etc.)?

Per chi conosce un po’ di retaggio musicale i nomi che hai fatto, non da un punto di vista sonoro o compositivo, ma per osmosi e attitudine, sono dentro al nostro secondo disco Bundytismo (ma direi in tutta la nostra produzione, perché ciò che è avanguardia fa parte della mia formazione), che poi io lo considero più una integrazione audace e volutamente spiazzante di Roma Est. Sai, all’epoca potevo starmene buono, perché Roma Est aveva degli ottimi riscontri, mi chiedevano già concerti e potevo guardarmi attorno, mettere su una band, cercare una etichetta (cosa che non ho proprio mai fatto nella vita, perché credo nell’ autodeterminazione artistica), invece io da buon futurista punk ho deciso di spiazzare e sovvertire in parte ciò che piaceva in Roma Est, con un lavoro particolare (sempre cotto e magnato e senza budget) dove poi i giochi di parole, l’eccessività ma anche le cose apparentemente ironiche e nonsense come il titolo dell’album Bundytismo non vanno spiegate a fondo, ma servono a suscitare ed evocare e non a creare un effetto sensazionalistico da due scudi efficace sul momento ma poi datato il giorno dopo. L’arte per me è questo, fare cose oggi che stanno dentro al domani.

 

Col terzo album, Semo solo scemi, venite ad incidere per una etichetta storica della new wave italica come Contempo (tra gli altri ricordo la cover di "Yassassin" dei Litfiba, "Pankow", il bellissimo Folk II dei Militia e poi, per tornare a Roma, il disco dei Petali del Cariglione, Capitolo IV). Quali sono state le ragioni di tale scelta? La volontà di riconnettersi ad un “glorioso” passato, una semplice occasione che si è creata, la possibilità di raggiungere nuovi ascoltatori, o altro?

Semplicemente la casualità. Sono stato cercato da loro dopo che capitai nel loro negozio durante una vacanza d’inverno a Firenze. Una esperienza che nel bene e nel male mi ha fatto maturare ulteriormente. 

 

Anche in questo album ci sono degli elementi “conturbanti”, ad esempio la scelta del sample del famoso discorso di Bettino Craxi (la cui maglietta, unitamente a quella con Anna Magnani, ritengo possa essere considerata quale top del vostro merch) al Parlamento dopo l’esplosione di “Mani Pulite” (abitudine che avete ripetuto nel dance hit “Potenza di Fuoco” con il campionamento del discorso del leader dei 5 Stelle, Conte). Ecco proprio la sfrontatezza di affrontare con testi non banali la politica la ritengo apprezzabile, penso difatti che proprio un deficit di cultura politica ci abbia condotto ad un impoverimento della stessa, e quindi, di conseguenza, un impoverimento dell’intera società. Che ne pensi?

Se non trovassi la società odierna impazzita e fuori rotta non avrei fatto un disco simile. Impazzita da un imbarbarimento perpetrato dalla politica attuale sempre più vuota e subdola. Se una rotta deve esserci, io penso che debba essere determinata da valori morali verso il prossimo prima di tutto. È un disco che tocca dei temi importanti e mette dei dubbi o tenta di farlo, ma solo per chi vuol capire appieno e a fondo. Le parole stanno lì e il bello dei dischi è che ti accompagnano una volta che ti prendono (perché quando un disco s’impossessa di una persona torna e ritorna nel tempo), perciò magari uno lo sente oggi e ci trova delle cose, fa esperienza  di vita, immagazzina cose, e poi anni dopo riascoltando il disco ci trova altro o altre sfumature dentro le stesse parole; è anche sotto quest’ottica che concepisco i dischi. 

 

Vi ho visto l’anno scorso live all’Arci Bellezza nel tour seguente alla pubblicazione del vostro ultimo album AHO e vi ho trovato molto più “duri” rispetto al disco, con un’attitudine quasi punk. Questo è dovuto al settaggio del live, ovvero è una scelta volontaria? E poi, per quale motivo il resto della band indossa delle maschere?

Oscura Combo Romana è una identificazione che va onorata, la maschera serve a questo. In più io sono il progetto BJLFP, i musicisti possono anche variare, fermo restando che mi piace lavorare con le persone con cui sto lavorando da un po’ ad oggi. Ma è stato quasi spontaneo concepire i live così. Il nostro suono è quello anche perché io sono punk di attitudine, perciò va bene rispettare le trame dei pezzi ma il live deve tirare fuori altro. Detesto i dischi che suonano paro paro dal vivo. In più mi piace pure che i musicisti che m’accompagnano ci mettano il loro talento e si esprimono. E comunque piace questa chiamiamola "durezza" in più dal vivo, stando a chi è venuto ai live dei BJLFP. 

 

Anche in questo disco ci sono dei pezzi assolutamente interessanti, da "Mortacciloro", a "Notte de Varpurga" per passare a "Vatewave" (un pezzo molto smithiano). Questo mi permette di mettere in evidenza un’altra caratteristica del vostro musicare, ovvero una voluta dicotomia tra alto e basso, tra testi che occhieggiano alla filosofia (penso ad un altro singolo: "Obbligo, prassi e filosofia") e passaggi da “bassa macelleria”, se mi è permesso esprimermi così, essendo un amante della trippa alla romana (ovvero con la mentuccia), o ancora l’estetica da “Supertifo”, in molti passaggi legati al mondo del calcio. Talvolta penso che il vostro sound possa rimanere in un guado tra l’essere troppo “alti” per un certo tipo di pubblico e, al contrario, di essere troppo “bassi” per un'altra tipologia di ascoltatore. Questa, ritengo consapevole, scelta non potrebbe essere controproducente?

Assolutamente no. È questa la forza dei BJLFP, la bassa macelleria sta non solo nei migliori film horror, ma nei miglior film di Fellini, nei migliori romanzi, nella migliore arte, e nella vita stessa. Tutto ciò che è privo di basso e di alto è una specie de arte mozza, o peggio ancora un sofisma borghese. Non può esistere qualcosa di alto senza contenere qualcosa di basso. Se parliamo di arte moderna e contemporanea (con l’illusione della libertà) e non di pittura e scultura rinascimentale, bellissima si, ma fatta su commissione del potere e per compiacere il potere. Io penso che sia proprio difficile invece fare quello che faccio io, far convivere cose impossibili nei testi, renderle fruibili e tutto il resto. Un po’ di concerti li ho fatti, il riscontro c’è sempre stato, e soprattutto abbiamo un pubblico che va dagli appena maggiorenni fino ai cinquantenni che se so’ visti tutto e de più dal vivo. Confido nel fatto che la gente non sia priva di intelligenza come tanti che fanno musica pensano.  Prendono e assecondano il sedicenne attuale scrivendo cose da sedicenne a trenta o quarant’anni. Noi facciamo avanguardia, controcultura, non cerchiamo di inserirci in discorsi mainstream. Chi vuole sminuire i BJLFP mettendo in luce passaggi da bassa macelleria è perché lo vuole fare, ma è per lo più un detrattore e un disonesto, se non uno che proprio non ci arriva e non comprende o intuisce tutto il testo che c’è dentro.

 

Parliamo dell’ultimo vostro singolo, “Giovan Maria Catalan Belmonte”, già dal titolo (è il nome di un personaggio impersonificato dal grande Alberto Sordi ne I Nuovi Mostri) risulta essere un omaggio alla vostra visione musicale, che risulta fortemente modellata da un gusto cinematografico (penso ad Harry Angel ed Alain Delon in Bundytismo). Il ritornello nella sua goliardia, nasconde anche in questo caso, immagino per te, una verità indefettibile, mi pare tuttavia che dal punto di vista musicale si configuri come una spinta ad essere più pop, questo, non lo ritengo, a differenza di molti, esecrabile, ma volevo chiederti se questa impressione risulti corretta.

Qualche pezzo più pop serviva, ma non è la nostra deriva musicale, tantomeno obiettivo. Questo singolo fa parte di una serie di singoli estemporanei e sperimentali di cui fa parte per esempio la cover di "Luciano Serra Pilota", che è violenta e punk, o "Billy The Kid" che è una traccia atipica, con base da poliziottesco e un testo riottoso. Pop proprio no direi. 

 

Ultima domanda, sarete tra poco impegnati in un tour che tocca Milano, Torino Firenze Bologna e Roma, tutto quanto ci siamo detti mi pare emerga ancora una volta nel titolo del tour, ovvero Solo gricie ad Agarthi; al netto che ritengo la gricia il migliore in assoluto primo piatto romano, anche qui come è nato l’accostamento culinario con l’immagine di Agarthi che, ricordo, per alcune correnti di pensiero esoteriche risulta essere una città leggendaria al centro della Terra governata da "il Re del Mondo" (grande pezzo di Battiato)?

Da tante cose, la lettura di René Guénon Il Re del Mondo, una gricia dar Carrettiere a Trastevere… I BJLFP non spiegheranno mai i BJLFP, non ha senso spiegare in maniera didascalica il perché di una cosa, altrimenti non farei quello che faccio. Sono convinto però che ad Agarthi si mangiano solo gricie. E per ritornare alla risposta di prima, l’alto si lega col basso sempre e la bassa macelleria ce piace ed è imprescindibile.