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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
04/12/2023
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Hilary Woods
Con l’occasione di un minitour di 4 date (Bronson a Ravenna il 7/12, Circolo Gagarin di Busto Arsizio 8/12, Tipoteca Italiana a Cornuda 9/12, Circolo Dev a Bologna il 10/12) dove risulta essere opener di Jozef Van Wissem, abbiamo realizzato una breve ma intensa intervista a Hillary Woods.

Con l’occasione di un minitour di 4 date (Bronson a Ravenna il 7/12, Circolo Gagarin di Busto Arsizio 8/12, Tipoteca Italiana a Cornuda 9/12, Circolo Dev a Bologna il 10/12) dove risulta essere opener di Jozef Van Wissem, abbiamo realizzato una breve intervista a Hillary Woods (qui la recensione dell’ultimo album).

Come potrete leggere, sperando di aver reso una buona traduzione (grazie anche alla mia amica Letizia, esperta di “irlandese”) la musicista svela il processo creativo che l’ha portata alla pubblicazione del suo ultimo lavoro Acts of Light.

Nell’intervista, breve ma densa, spero risulti sempre affascinante scoprire i meccanismi compositivi e i sentimenti dell’artista che, direi anche per fortuna, non è scontato che corrispondano alla sensazione che la musica suscita nel singolo fruitore.

 

Mi permetto di segnalare un particolare dell’intervista dove Hillary afferma: “Per rispondere rispetto al mood di quest'ultimo album: direi che è un disco ponderato sia dal punto di vista sonoro che emotivo, ma c'è una luce presente lì che scintilla da qualche parte”.

Tale frase, per le strane associazioni mentali che talvolta sorprendono noi stessi, mi ha fatto tornare alla mente il ritornello di “Anthem”, una canzone di Leonard Cohen (di certo non musicalmente prossimo al drone-ambient della Woods) di cui riporto il testo: “Ring the bells that still can ring, forget your perfect offering, there is a crack in everyting that’s how the light gets in”.

“Suonate le campane che possono ancora suonare” – e qui nell’album ci sono i campionamenti delle campane di Santiago di Compostela e di Séipéal Muire – dimenticate la vostra offerta perfetta, c’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce”.

 

 

***

 

Rispetto ai precedenti album Colt e Birthmarks, in Acts of Light non canti in nessuna canzone, ci spieghi il perché di questa scelta? È frutto di una scelta volontaria, c'è un motivo particolare?

Grazie per la domanda. Questo disco è stata una creatura molto diversa dai miei precedenti LP Colt e Birthmarks, che sono entrambi composti da canzoni, nel senso di parole musicate, mentre Acts of Light non lo è. In molti modi, qui, ho dato a diversi strumenti linee vocali o linee che avevo scoperto vocalmente. Volevo cambiare le cose, lavorare in modo diverso e, anche se ci sono voci come sepolte in profondità nel mix, in Acts of Light (alcune anche molto evidenti) non si tratta di parole cantate quanto di suoni e intonazioni “annunciati”.

 

Ascoltando l'album mi sembra che tu abbia utilizzato una strumentazione più ampia o quantomeno più estesa rispetto al passato, con l'innesto di parti corali, field recording, strumentazione "classica". È una mia impressione o è il risultato di un viaggio musicale?

Sì, penso che il percorso musicale rifletta la mia vita al di fuori della mia vita di musicista, così come lo è anche l’aspetto della mia vita che si è evoluta sia come sound recordist sia come produzione. Non c'è un modo diretto con cui potrei spiegare l'espansione della gamma della strumentazione sonora, se non che stavo cercando dei dettagli, dei nuovi percorsi da forgiare all'interno del significato sottinteso delle canzoni, per viaggiare in un luogo sonoro in qualche modo più primordiale ma che fosse ugualmente espressivo. Un luogo dove il suono stesso possa creare un'impronta di sentimento.

 

Il suono di questo album sembra più "grumoso" rispetto ai lavori precedenti, come se il suono fosse coperto da una patina, da un rivestimento del tempo passato; è una mia sensazione? Puoi aiutarci a capire meglio il mood del sound del tuo ultimo album?

Mi rendo conto che l’atto di ascoltare, di ricevere musica è un processo creativo in sé ed è del tutto soggettivo; quindi, anche se io potrei descrivertelo in modo ancora diverso, penso che questo lavoro sia molto più stratificato di quanto possa apparire e realizzato con più field recording rispetto ai miei dischi precedenti. Ci sono anche molti livelli sonori sovrapposti che conferiscono e insinuano la sensazione di diverse linee temporali.

Non solo, questo disco è composto da molti drone e il drone stesso cambia il ritmo con cui sentiamo la musica, rallenta tutto, e mi pare di poter dire che ti porta indietro nel tempo.

Per rispondere rispetto al mood del sound di quest'ultimo album: direi che è un disco ponderato, sia dal punto di vista sonoro che emotivo, ma c'è una luce presente lì che scintilla da qualche parte.

 

A dicembre sarai in Italia come guest star di Jozef Van Wissem, spero di poter venire ad uno dei concerti, presenterai anche qualche tua nuova canzone?

Sì, certo! E non vedo l'ora!