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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
13/06/2022
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Maurizio Vaiani (RosGos)
Maurizio Vaiani, in arte RosGos, il pettirosso punk dall’animo sensibile, cupo e colorato allo stesso tempo, ha pubblicato da poco il suo ultimo disco intitolato CIRCLES. Ne parliamo con lui per conoscere il suo punto di vista.

Maurizio Vaiani, in arte RosGos, il pettirosso punk dall’animo sensibile, cupo e colorato allo stesso tempo, ha pubblicato da poco il suo ultimo disco intitolato CIRCLES. 9 tracce, una per ciascuno dei 9 cerchi che compongono l’Inferno di Dante. Un Inferno moderno, fatto di sonorità sporche, dense e ipnotiche, ma allo stesso tempo eleganti e raffinate, in cui i tormenti umani e le paure più recondite prendono vita.

Il contenuto del disco è riassunto in modo estremamente efficace dall’immagine di copertina, che fa pensare a un paesaggio lunare, in cui a dominare è il blu notte, interrotto, a tratti, dal baluginare delle stelle. E lì, nel centro, una coppia. Esseri umani o “alieni”? I protagonisti della “storia”. Protagonisti che, in realtà, potremmo essere tutti noi, con le nostre vite che si muovono all’interno di questo mondo sempre più simile all’inferno, sempre più inospitale. Un mondo che, in alcuni momenti, sembra incapace di offrirci una tregua, salvo, poi, sorprenderci con pennellate di rara bellezza.

Quello di RosGos è un disco che sa parlare a chi ascolta, che coinvolge e che crea una sorta di dipendenza. Un labirinto di emozioni, belle e dannate allo stesso tempo. Un inferno da cui, masochisticamente, non si vorrebbe più uscire, perché starci dentro procura, allo stesso tempo, inquietudine e piacere.

Ma ora, lasciamo che sia Maurizio Vaiani a parlarcene e a raccontarci Circles dal suo punto di vista.

 

 

Maurizio, innanzitutto grazie per la tua disponibilità. Per me è un vero piacere poter scambiare quattro chiacchiere con te e svelare ai lettori di Loudd qualcosa in più sul tuo ultimo splendido lavoro, sull’artista, ma anche sull’uomo.

Grazie a te Mary per questa intervista, per l’opportunità gradita di parlare del mio ultimo lavoro discografico.

 

Mi racconti com’è nato Circles? I testi, le musiche e il lavoro di assemblaggio…

Circles ha iniziato a prendere forma due anni fa, nel 2020. Mentre promuovevo il precedente album, Lost In The Desert, continuavo nella scrittura di nuove canzoni. Le ammucchiavo tutte in un contenitore che chiamavo bozze. Quando le bozze sono lievitate ne ho passate circa una ventina a Toria che oltre ad essere un mio carissimo amico, è a tutti gli effetti il produttore di RosGos. A quel punto, insieme, abbiamo dovuto fare una doppia scelta, scartando quelle che non ci convincevano e quelle che sembravano avere un mood troppo distante dal resto. Ne sono rimaste nove sulle quali abbiamo poi lavorato.

Ho spinto Toria in una direzione per me e anche per lui assolutamente nuova, ossia affiancare alle nostre amate chitarre anche dei suoni sintetici, dei tappeti e dei beat elettronici.

A Toria sembrava un’idea alquanto strampalata, ma fortunatamente mi ha dato retta e con il passare del tempo, e mentre le canzoni prendevano forma, abbiamo capito entrambi che è stata la scelta giusta, seppure indubbiamente azzardata.

Abbiamo lavorato sulle strutture, sui suoni, sul missaggio da gennaio a luglio 2021. Un periodo lungo che ci ha permesso di entrare sempre di più nelle canzoni, di capirle, di farle nostre. Scritti i testi di getto e registrate le voci, a ottobre 2021 siamo riusciti a fare il mastering e a quel punto il disco era praticamente pronto. Poi dopo due mesi di relax mentale mi sono dedicato a tutto ciò che ruota intorno alla promozione, dai video all’ufficio stampa, alle playlist, all’etichetta discografica, alla Siae, alle sincronizzazioni, all’artwork, alla stampa del supporto fisico. Qualcuno pensa che un cd lo fai in due mesi ma in realtà alle spalle c’è spesso un lavoro molto lungo, complesso, e di coordinazione.

 

Il tuo disco mi ha stregata. In realtà, pare che abbia stregato tutti quelli che conosco e che lo hanno ascoltato. È un disco penetrante, che crea una sorta di dipendenza. La sensazione che si prova è quella di sentirsi come risucchiati all’interno di un vortice che non lascia scampo. Si entra piano, in punta di piedi e ci si ritrova nel Limbo e poi, traccia dopo traccia, quasi in apnea, si attraversano tutti i 9 cerchi (Circles, appunto) dell’inferno Dantesco. Si affoga, si riemerge a fatica, si galleggia e ci si ritrova, solo alla fine, sulle note dolcissime e rasserenanti di "Treachery", con la sensazione di un sole flebile che accarezza la faccia, come in attesa di un miracolo. Ecco, mi chiedevo come e quando hai pensato proprio all’Inferno dantesco come “traccia” per il tuo disco.

Durante i mesi di missaggio delle parti strumentali ho cercato di buttare giù dei testi che però non mi convincevano. Poi, una sera, durante una trasmissione televisiva dedicata alla Divina Commedia, mi è venuta l’idea di dedicare il disco ai nove gironi infernali. Mi sembrava un’idea alquanto strampalata e azzardata, esattamente come l’idea di un maggior uso dell’elettronica. Mi sono confrontato con Toria che subito mi ha spinto in quella direzione, convincendomi con un messaggio breve ma d’effetto: “vai che è una figata”. Ho cercato di dare un senso attuale e moderno all’inferno dipinto da Dante. Non so se ci sono riuscito, ma sicuramente ho dato una mia lettura e una mia interpretazione di quelle pene e di quelle colpe.

 

Ho ascoltato il tuo disco un numero imprecisato di volte. Le sonorità sono magnetiche, ipnotizzano. Il fatto è che ancora oggi, dopo un numero imprecisato di ascolti, non ho una canzone preferita. Credo che lo siano tutte, ciascuna per un motivo diverso. Forse dipende dal modo in cui mi fanno sentire quando le ascolto. Come se fossero capaci di solleticare più parti di me. E così, sono curiosa di sapere se tu, invece, ne hai una a cui sei più affezionato e perché.

Non sei la prima a dirmi che non trovi una canzone che prevale nettamente sulle altre. Da una parte, in qualità di artista, potrebbe essere un segno negativo, a significare che probabilmente non siamo riusciti a tirare fuori dal mazzo un vero e proprio singolo, ma è anche vero che ciò significa che l’album è coeso e che forse la sua forza sta proprio nella compattezza di tutte le canzoni. Io sono estremamente contento di questo risultato, di questo pugno di canzoni che nel loro piccolo creano un mondo sonoro in cui addentrarsi e perché no, perdersi e ritrovarsi. Le canzoni che amo particolarmente sono due, per due motivi diversi. Se devo scegliere la carezza vado su "Lust", che ha un incedere e una melodia che conquistano fin dal primo ascolto. Nella parte finale diventa quasi epica e molto emotiva. Non nascondo che la prima volta che l’ho sentita finita, mentre guidavo nel traffico, mi sono letteralmente messo a piangere per quanto forti e dirompenti sono state le emozioni che mi ha fatto scatenare. Se invece devo scegliere lo schiaffo vado indubbiamente su "Violence", che in quei quattro minuti nasconde tutta la mia natura musicale, fatta di silenzi e con poche note delicate fino ad esplodere in muri sonori al limite del rumore. E poi Violence ha avuto una nascita difficilissima. Più volte ha rischiato di finire nel cestino perché non ci convinceva fin quando è arrivata l’illuminazione per il giusto arrangiamento. E da lì è stato amore totale.

 

Amo i tuoi testi, perché sono immediati, diretti e molto efficaci. Le sonorità sono fatte di contrasti netti e duri. C’è tormento. Quel tormento “bello” in cui le anime sensibili spesso si ritrovano a crogiolarsi nel tentativo di riuscire a (ri)trovare la pace, una sorta di via d’uscita dalla sofferenza, perché spesso è necessario toccare il fondo per potersi dare la giusta spinta per risalire. Anche se non tutti sono così fortunati da riuscirci. Non ti nascondo che durante l’ascolto sentivo nei tuoi confronti una forte sintonia emotiva. Mi sentivo presa per mano e trascinata nelle tue masturbazioni mentali e nei tuoi deliri, che però erano anche i miei. Maurizio, rimanendo in tema dantesco, chi è stato il tuo “Virgilio”, quello che ti ha fatto da guida e ti ha accompagnato in questo viaggio? Quali sono i tuoi tormenti e che cos’è che riesce a salvarti?

Hai detto bene, nelle mie musiche c’è spesso tormento. E sono proprio quei piani alternati ai forti che ne sono viva testimonianza. Così come la mia vita non è fortunatamente un piatto di serenità o di sofferenza ma una continua loro alternanza, così è anche la musica che compongo. In questi viaggi sonori mi sono fatto accompagnare da Marco Torriani, per gli amici unicamente Toria. Ci conosciamo da molto tempo e entrambi abbiamo una grande rispetto l’un l’altro, a partire da un grande affetto umano. Toria ormai sa quello che voglio e sa come raggiungerlo. A volte ci basta un’occhiata per capirci. E ormai ci sono chiare e illuminanti anche le cose che non ci diciamo. In questo disco abbiamo voluto sperimentare suoni per noi nuovi e ci siamo letteralmente presi per mano, non ci siamo mai lasciati, e quando uno dei due entrava in difficoltà, l’altro era subito presente con soluzioni, proposte o semplicemente con una pacca sulla spalla.

La vita è così ricca di tormenti e sofferenze che non ne uscirei vivo se non avessi una valvola di sfogo. E lo sfogo è sicuramente la musica e la lettura. Mi trasportano in mondi paralleli, mi acquietano, mi donano carezze, mi cullano. E quando torno a casa dopo una lunga giornata nulla è più rasserenante di uno splendido sorriso che mi regalano Federica e Sara, mia moglie e mia figlia. Con loro mi sento amato e in loro spesso mi rifugio.

 

In Circles ci sono tanti riferimenti all’amore, come se fosse il filo conduttore dell’intera esistenza. In "Lust" canti: "When you love, when you love, all is bright...". L’amore in senso lato: quello per una donna, per la vita, per tutte le persone che ci stanno a cuore e per le passioni che ci dominano e ci danno un senso. L’amore visto anche come castigo, perché è innegabile che più si ama (e non mi riferisco solo all’amore per qualcuno) e più ci si espone alla sofferenza, perché è facile ritrovarsi delusi, disillusi, soli, feriti e smarriti. Quanto c’è di te in questo disco? Del tuo percorso di vita, delle tue esperienze passate e presenti e di questa realtà sempre più folle e sconclusionata?

Vorrei dire che non c’è nulla di autobiografico in questi testi, ma sarei poco credibile, soprattutto con me stesso. È innegabile che anche involontariamente una parte di noi fluisce nei testi, nei pensieri, nei flussi di parole che spesso di getto butto su carta o su computer. Ultimamente ho fatto un esperimento per scrivere i testi. Non ho cercato subito la metrica perfetta o il giusto suono ma ho lasciato totale libertà ai miei pensieri diventare parole scritte. Come se fossi da uno psicologo con lo scopo di dare vita a un continuo flusso di emozioni, di paranoie, di paure, di sofferenze, di amori. Ho lasciato scorrere tutto indistintamente per poi catturare ciò che mi sembrava rappresentare il meglio.

 

La tua ispirazione da cosa nasce? Come si muove il tuo processo creativo. Qual è il senso che ti domina di più? La vista, l’udito, il gusto…

La mia ispirazione nasce dalla vita che vivo quotidianamente. Da chi incontro, dalle emozioni e dalle paure, da un sorriso che mi regala felicità. Tutto influisce e confluisce poi nei testi e nei colori delle mie canzoni. Pensandoci, credo che il senso che utilizzo maggiormente sia la vista. Semplicemente osservando mi creo mondi e personaggi ai quali dare una voce, un’emozione, un amore. Non ho bisogno di ascoltare una persona, anzi, spesso mi interrompe il sogno. Preferisco guardarla e costruire intorno a lei un vero e proprio mondo parallelo. Un mondo certamente fatto di sogni e ipotesi ma nei quali inevitabilmente confluisce la mia quotidianità.

 

Mi piace il modo in cui canti, con un piglio decisamente british. Risulti vero, sincero e spontaneo. Sei credibile e non è affatto scontato. Ci sono tantissimi artisti italiani che con il cantato in inglese perdono tutto il loro appeal, tu, invece, sembri proprio a tuo agio. È la tua dimensione. A tal riguardo, vorrei chiederti se questa abilità è il frutto di studi particolari o se è un’attitudine tutta tua, innata.

Ti ringrazio di cuore per le considerazioni e per i complimenti. In realtà non c’è alcuno studio o particolari volontà alle spalle. È tutto molto naturale e spontaneo. Credo sia dovuto semplicemente al fatto che da sempre ascolto moltissima musica che nasce in Inghilterra e probabilmente quello incide sul mio essere british, come dici tu.

 

Vorrei sapere qualcosa di più del Maurizio adolescente. Mi chiedevo, ad esempio, se sei stato uno di quei ragazzini che si blindavano nella loro cameretta intenti a imitare i loro idoli.

Il Maurizio adolescente era un tipo alquanto vispo. E non si chiudeva affatto nella sua cameretta a cantare o a suonare con il manico della scopa. Avevo un certo interesse per la musica che viaggiava di pari passo con lo sport, il calcio in particolare. Il tempo era sempre troppo poco dato che allora abitavo in un cascinale, e come puoi immaginarti le faccende domestiche non avevano mai una vera fine. Quando la passione per il calcio giocato è venuta meno, sostituita da quella per la tequila e il Jack Daniel’s, è letteralmente esploso in forma devastante l’interesse per la musica. Non è edificante sostenerlo, ma credo che la grande passione per la musica sia nata, o comunque si è decisamente amplificata, in concomitanza con l’amore per l’alcol da meditazione.

 

Quando e come hai iniziato a fare musica? Parlo proprio delle origini. Quando è scoccata la scintilla e soprattutto quali sono stati i tuoi riferimenti musicali, quelli che hanno nutrito e alimentato la tua passione?

La scintilla è scoccata intorno ai 18 anni, quando con alcuni amici abbiamo iniziato a strimpellare nelle cantine dando vita a un gruppo che proponeva solo e soltanto le canzoni dei mitici Ramones. Siamo intorno a metà – fine anni Ottanta e i Ramones non erano ancora un oggetto figo sulle stampe delle magliette. Era solo un gruppo cazzaro-punk, come lo eravamo noi. Per circa 5 anni quella è stata la mia musica suonata, anche se in realtà io mi infiltravo in molte altre cose che non fossero solo riconducibili al punk. Impazzivo per l’avanzare della wave, con i primissimi U2 di Boy e October, ma anche Love dei Cult è stato un album che ho, e mi ha, consumato fino ad arrivare al mio primo grande maestro, Nick Cave. In Italia abbracciavo i Litfiba e i CCCP. Man Mano che passavano gli anni scoprivo sempre musiche nuove che mi facevano viaggiare in mondi lontanissimi. Gli Alice In Chains e Mark Lanegan furono sicuramente tra coloro che quotidianamente nuotavano nel mio cuore. Fino ad approdare ai primi anni 2000 con 16 Horsepower e i miei amatissimi Blonde Redhead. Ogni gruppo mi ha dato qualcosa e quel qualcosa è poi confluito nella mia di musica, anche se involontariamente.

 

C’è una canzone, non tua, che più di qualunque altra ti rappresenta e che senti particolarmente?

Una domanda a cui dare una risposta è molto difficile. A seconda dell’umore, la canzone favorita può cambiare, anche radicalmente. Ma ad essere sincero ce n’è una che è sempre lì nella mia testa, che mi sembra così perfetta per il testo e per la musica che è un’alternanza di piani e di forti, quelle dinamiche a me tanto care. È una canzone degli Alice In Chains, dal disco Facelift del 1990, e si intitola "Love Hate Love".

 

Non hai mai pensato di mollare tutto, intendo il tuo lavoro “vero” e dedicarti unicamente alla musica?

Assolutamente no. Non ci sono mai state le condizioni per poterlo fare. Anche quando nei primi anni 2000 giravo molto con il precedente progetto, Jenny’s Joke, in realtà il ricavato ci serviva unicamente per pagare le prove in saletta e lo studio di registrazione. Non poca cosa ovviamente, ma di certo non sufficiente per viverci. Credo che al giorno d’oggi la situazione sia drasticamente più complicata. Vivono, e alla grande, quelli che veramente fanno il botto, ma tutti gli altri sono in un limbo che li costringe a fare anche altri lavori pur di vivere decentemente.

 

Come riesci a conciliare in modo pratico i tuoi doveri quotidiani, lavoro, famiglia e incombenze varie, con questa tua grande passione? Cosa sei costretto a sacrificare? Quando trovi il tempo? Immagino che realizzare un disco ne richieda parecchio…

Realizzare un disco richiede molto tempo. Come dicevo in precedenza tra le prime bozze di canzoni e la stampa del cd finito passano tranquillamente parecchi mesi. Nel mio caso ne sono passati diciotto. Ovviamente, io non devo fare le cose di corsa e quindi si procede di pari passo con il tempo libero. E quello da trovare non è mai facile. La famiglia non deve mai venir meno, per me ha la priorità assoluta. Generalmente i testi li scrivo all’alba. Sono un mattiniero, alle 5.30 girovago per casa, e quello è il momento ideale per concentrarmi sulle mie cose. A quell’ora, poi, c’è un silenzio quasi assoluto e riesco quindi a concentrami meglio e a calarmi, e restare, nel mood della canzone senza troppi problemi. Dal punto di vista strumentale, invece, non c’è un momento particolare. A volte passano mesi senza scrivere una nota. A volte, come mi è successo recentemente, in tre giorni mi escono dal cilindro sei nuove bozze. È tutta ispirazione e momento giusto, senza alcuna pianificazione. Se poi in terrazza viene a trovarmi il mio amico pettirosso le cose si semplificano. Per me lui è fonte di grande ispirazione.

 

So che hai una figlia di 8 anni, cosa pensa del Maurizio artista, di RosGos, riesce già ad apprezzare il tuo lavoro o alle sue orecchie risulta ancora un po’ ostico?

La mia carissima Sara ama la musica, ma non la mia, ahimè. In realtà non ha un genere ben definito. Fino a 2-3 anni fa la sentivo canticchiare il cosiddetto indie italiano che ha spopolato negli ultimi tempi. Ora, invece, ha riscoperto i super classici, da Raffaella Carrà a Battiato, da Renato Zero agli Abba, e in particolare la musica danzereccia e godereccia degli anni Ottanta. Sinceramente va bene così. Non vorrei che con la mia musica si deprimesse già da così piccola (ahahah). Con lei parlo tantissimo, ma pochissimo della mia passione. Sa che faccio musica, ma non nutre un interesse o una curiosità particolare. Quindi preferisco concentrarmi sui suoi di interessi. Però tra qualche anno mi aspetto che rivaluti ciò che sto seminando. La mia è una timida speranza.

 

Prima di salutarti e ringraziarti per la pazienza che hai avuto nel rispondere a tutte le mie domande, vorrei chiederti un’ultima cosa. Se potessi esprimere un desiderio, un desiderio per te solo, per Maurizio, e non mi riferisco a cose del tipo la pace nel mondo o simili, quale sarebbe?

Risposta facile e immediata: vorrei semplicemente stare bene.

 

Caro Maurizio, in bocca al lupo per tutto o come dicono in Spagna, MUCHA MIERDA!

Grazie mille Mary per l’intervista, per lo spazio che hai dedicato al mio progetto, alla mia musica. Ne sono felice e orgoglioso. Sono proprio contento che l’album stia avendo particolare attenzione e spero sia fonte di stimolo per me per imbarcarmi nel prossimo album, nelle prossime manciate di canzoni dedicate alla trilogia del viaggio, per scoprire dove ci porteranno.

Prima di chiudere vorrei con tutto il cuore ringraziare quattro persone: Andrea Liuzza, capo di Beautiful Losers, per credere fortemente in questo progetto. Toria, per l’amicizia e la professionalità nel produrre i miei scarabocchi e trasformarli in poesie. Federica e Sara, mia luce.

 

 

 

Il cd di RosGos è acquistabile presso RosGos, Maurizio Vaiani o attraverso il canale di Beautiful Losers, ai seguenti link:

https://www.instagram.com/rosgosmusic

https://www.facebook.com/RosGosMusic

https://www.facebook.com/beautifullosersrecords

 

RosGos si può ascoltare anche su Spotify:

https://sptfy.com/6cpq