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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
27/05/2022
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con... Vieri Cervelli Montel
Di Vieri Cervelli Montel avevo già scritto la scorsa estate: folgorato sulla via di Damasco da due concerti in apertura a Iosonouncane. Niente programmi, niente piani a tavolino: solo la più autentica urgenza espressiva, nella volontà di raccontare una parte decisiva della sua vita. Ho raggiunto Vieri al telefono pochi giorni prima dell’uscita del disco e questo è quello che è venuto fuori.

Di Vieri Cervelli Montel avevo già scritto la scorsa estate: folgorato sulla via di Damasco da due concerti in apertura a Iosonouncane, a Ferrara e a Genova, avevo appreso, parlandoci brevemente in quest’ultima occasione, che aveva un album in uscita prodotto proprio da Jacopo Incani. Ci ha messo più del previsto (in teoria sarebbe dovuto uscire a settembre) ma alla fine ne è valsa la pena. I, prima uscita di Tanca Records, il nuovo progetto discografico messo in piedi da Jacopo con l’intento di promuovere band con la sua stessa visione artistica, è uno di quei lavori destinati a lasciare il segno. Opera che vive di incroci musicali e culturali, in questo rispecchiando la vita del suo autore, che è di Firenze ma ha radici in Sardegna e Normandia, studia Jazz a Siena (nel momento in cui sto scrivendo queste righe dovrebbe anzi essersi diplomato) ma è cresciuto coi cantautori appassionandosi in seguito anche alla musica elettronica. E ha di conseguenza fatto un disco così, che unisce la forma canzone all’improvvisazione più radicale, senza minimamente preoccuparsi di mettere paletti o confini di sorta. Niente programmi, niente piani a tavolino: solo la più autentica urgenza espressiva, nella volontà, oltretutto, di raccontare una parte decisiva della sua vita, con la perdita del padre a soli sette anni e la conseguente marcia forzata verso la vita adulta. Un tema difficile, a tratti spigoloso, soprattutto in un paese come il nostro, dominato da Hip Hop e It Pop, due generi che hanno veicolato una narrativa piuttosto superficiale, per tematiche e linguaggio utilizzato.

Non è un lavoro immediatamente fruibile, richiede pazienza e motivazione, ma per chi accetta la sfida la bellezza che saprà rivelare vale tutta la fatica.

Ho raggiunto Vieri al telefono pochi giorni prima dell’uscita del disco e questo è quello che è venuto fuori.

 

 

Avendoti visto due volte dal vivo, l’ascolto dei brani in versione studio mi ha riservato diverse sorprese, il lavoro sugli arrangiamenti in particolare è molto diverso, c’è molta più elettronica, ad esempio. Siccome ho letto che ci stai lavorando da tanto tempo, ho pensato che queste modifiche potessero dipendere da quello.

Quest’estate le canzoni le abbiamo fatte così per necessità ma anche perché ci piaceva. Poi la versione del disco, nonostante in genere si tenda a considerarla come quella “ufficiale”, è anch’essa la manifestazione del processo con cui abbiamo messo in piedi quel live specifico, diverso rispetto a quello che porteremo in giro adesso. In pratica ci sono delle canzoni e succede poi che queste vengano lavorate tramite improvvisazioni sulla base delle persone che vi suonano e degli strumenti a disposizione. Ad ogni modo i brani sono quelli, le intenzioni sono quelle, però è vero che si è trattato di un processo lunghissimo, durante il quale ho imparato un sacco di cose, anche su me stesso, è vero che è un disco personale, tramite il quale ho metabolizzato alcuni aspetti della mia storia.

 

È bella questa cosa che il disco sia solo una delle versioni possibili. Mi pare contraddica un po’ l’idea della modernità che ha voluto vedere nella fedeltà all’album quasi l’unico senso delle esibizioni live.

Paradossalmente la stessa definizione di musica comprende approcci alla creazione anche radicalmente diversi fra loro, per cui può accadere che il tuo fare musica sia creare in maniera iper prodotta, iper controllata, in cui sai che la batteria da quella cosa, il piano quell’altra… in quel caso certo, è la tua versione del brano e non riesci a concepirne un’altra. Eppure, nonostante la cura maniacale che c’è stata in questo disco, non mi sento di dire che il brano è così in quanto arrangiato in quel modo. Pe me il brano sono la melodia, gli accordi e le parole. Tutto quello che succede sopra, sotto o dentro è una manifestazione del brano stesso, ma gli scenari possibili sono vasti, vari, eterogenei.

 

Nel lavoro in studio si sente anche tanta improvvisazione: è una cosa un po’ particolare perché normalmente si tratta di un concetto che associamo alla dimensione live.

È un approccio alla base del mio fare musica. Sono profondamente attaccato alla canzone, alla genuinità dello scrivere, legata a tradizioni popolari semplici, però ciò che mi affascina tantissimo in questa fase della mia vita è provare a prendere del materiale molto semplice ed elaborarlo attraverso un’improvvisazione anche radicale, che significa che gli strumenti possono uscire dal tracciato che gli suggerirebbe il ruolo consono da ricoprire. Per cui la batteria non deve per forza suonare il groove, il pianoforte suonare gli accordi, la voce non è obbligata a cantare le melodie e le parole. In questo senso l’approccio “improvvisativo” è parte integrante della creazione della musica e della nascita del disco stesso, è ciò che fa sì che le canzoni smettano di essere tali e divengano una sorta di piccoli movimenti, se mi passi il termine.

 

Che poi è anche il modo in cui è organizzato il disco, come un’unica suite da quaranta minuti. Tanto è vero che nella versione promozionale che mi hanno dato ci sono le pause tra una traccia e l’altra e questa cosa mi ha molto infastidito…

Cavolo, no! Veramente (ride NDA)? Conosco bene quella sensazione, in effetti! Il disco è pensato come movimento unico, sia musicalmente, sia dal punto di vista narrativo, tanto che mi è quasi dispiaciuto dover estrarre un singolo: per quanto sia legato a quel brano (“Risveglio" NDA), il disco è il disco, è un movimento unico che parla in varie fasi di varie cose. È però voluto anche che i brani possano essere ascoltati singolarmente, perché mi piace che ci sia anche la canzone come unità.

 

Alle registrazioni hanno partecipato Luca Sguera e Nicholas Remondino, che erano con te sul palco quest’estate, ma poi ci sono molti altri musicisti coinvolti. È un lavoro che esce a tuo nome ma di fatto dietro di te c’è un vero e proprio ensemble. Quanto conta questo aspetto in quello che fai?

Ci sono due dimensioni parallele: la prima è quella monomaniacale in cui per due anni ho scritto i brani e li ho prodotti avendo in testa l’idea di fare un disco elettronico. Sono nati piano e voce, poi ho levato chitarra e voce e ho fatto un lungo periodo in cui li ho prodotti elettronicamente. Poi invece mi sono guardato intorno: al Siena Jazz ero circondato da musicisti fantastici, con cui spesso ci si trovava anche a improvvisare, prima o dopo le lezioni. E mi sono detto: “Sono immerso in questo humus incredibile e mi sto trovando a fare le cose da solo?” E lì è arrivata la fase in cui ho deciso di improvvisare con le persone. Che sono non solo Nicholas e Luca, con cui ho avuto il piacere di suonare quest’estate, ma anche Alessandro Mazzieri al basso elettrico ed elettronica varia, che oltretutto ha prodotto il disco con me e Iosonouncane. Sono amici, persone che stimo in maniera incredibile e musicisti allucinanti. Accanto a loro, a quello che io chiamo “il quartetto”, ci sono altrettanti musicisti che stimo, che sono stati chiamati per suonare parti specifiche. Francesca Gaza ad esempio, che ha condiviso con me il percorso a Siena ed è, oltre che violinista, un’arrangiatrice bravissima, ha prestato la sua voce ma ha anche arrangiato la sezione fiati in “Scale”. Nicola Manzan ha poi suonato la viola ma ha anche arrangiato la sezione archi da me scritta per “Primo”.

 

A proposito di Iosonouncane: qual è stato l’apporto di Jacopo a questo disco? In alcuni punti, come ad esempio in “” la sua impronta si sente parecchio.

Sì, quella è frutto di un’improvvisazione fatta in studio. Direi che è stato fondamentale. Non in senso strutturale, perché è arrivato in un momento in cui i brani erano già composti: melodia, armonia e parole sono collegate, normalmente niente esce dalla mia stanza se non è del tutto pronto sotto questo aspetto. Nonostante questo, nonostante avessi già iniziato a montarli e smontarli con la band tramite l’improvvisazione, Jacopo ha avuto un’importanza indicibile perché ha una visione d’insieme miracolosa, una grande padronanza del brano, riesce ad individuare quel singolo elemento che se rimosso o alterato fa cambiare completamente la lettura del brano. Alcune volte è capitato che, conoscendo i pezzi e avendoli discussi più volte, mi dicesse: “Ma questa sezione qua, che ha una dinamica fortissima e vuole essere catartica, violenta, hai mai pensato che potresti farla pianissimo, solo con la voce…” All’inizio la sensazione era di spaesamento, poi però la provavi e vedevi che funzionava! È successo più volte e sempre dopo mesi di lavoro, quando conosceva perfettamente come dovevano essere le cose eppure, improvvisamente cambiava e ci azzeccava. Faceva come il grandissimo giocatore di scacchi che trova quella mossa che sembra suicida e che invece ribalta completamente la partita.

 

Non mi stupisce sentirtelo dire. Dopotutto basta vedere il percorso che ha fatto come autore: non so quanti, almeno qui in Italia, potrebbero permettersi di uscire ogni cinque anni con un disco, sempre diverso dal precedente e sempre alzando tantissimo l’asticella qualitativa…

È un grandissimo musicista, proprio come idea e concezione della musica. Ed è una persona estremamente curiosa e sensibile, è nata una simbiosi grandissima che si è tradotta in un contributo incredibile al disco.

 

In effetti non è indifferente che ti abbia chiesto di aprire i suoi concerti e che il disco esca per la sua etichetta. Credo che sia ciò che serve alla musica, che ci siano artisti con una visione condivisa.

È verissimo, sì. E poi è nata un’amicizia, derivata anche dal fatto che non abbiamo tanti ascolti in comune che ci piacciono, ed è un dato che a volte unisce di più. Abbiamo poi in comune la Sardegna, seppur in maniera diversa, perché lui ci è proprio nato, invece nel mio caso ci è nata mia mamma. Personalmente sono legatissimo alla Sardegna e sin da “La Macarena su Roma” sentivo nei suoi brani descrizioni di quei luoghi, non per forza dal punto di vista letterale, ma proprio a livello di suggestioni. Quindi a parte l’amicizia che si è creata e di cui all’inizio non riuscivo a capacitarmi perché era un po’ il mio idolo, c’è anche una condivisione d’intenti, seppur con le dovute proporzioni dal punto di vista artistico, e c’è una condivisione di visioni, per cui mi ha proposto di aprire le date del tour della scorsa estate, due date del tour nei teatri di quest’anno e il disco sarà il primo ad uscire per Tanca Records, la sua etichetta personale. Questo mi inorgoglisce, mi onora e mi rasserena anche un po’, mi fa stare molto meglio, in un momento così particolare per l’arte e la cultura in generale, vedere delle persone con così tanta capacità e determinazione di fare ciò che veramente sentono, di esprimersi senza limitazioni, che non hanno paura di sfidare le convenzioni. Quindi sono grato che ci sia il progetto Tanca, è una cosa davvero insostituibile.

 

La tua proposta è fortemente debitrice al cantautorato classico degli anni Settanta (non a caso la prima cosa da te pubblicata ufficialmente è stata una cover di “Almeno tu nell’universo”), che in Italia è un po’ un passaggio obbligato per molti, in tanti casi tiene in ostaggio artisti, critici e ascoltatori, costituisce un retaggio importante ma che spesso risulta anche scomodo. Trovo però che abbia trovato un modo molto intelligente per utilizzarlo, nel senso che nel tuo caso costituisce solo un punto di partenza, in realtà poi le tue canzoni seguono tutt’altro sviluppo e spesso parlano il linguaggio della musica elettronica. Ecco, credo che oggi sia l’unica formula possibile per mettere in campo la tradizione, se proprio si ha voglia di farlo.

Sono visceralmente legato ad un certo cantautorato, sono stato svezzato da esso, anche se in seguito non l’ho rinnegato, non l’ho mai messo in un cassetto. Anche se poi musicalmente succedono diverse cose e lo spettro delle tue influenze si allarga, quel nocciolo è sempre lì e non so bene perché abbia funzionato, questa unione tra cantautorato e improvvisazione, sperimentazione, che sono tutte parole un po’ altisonanti… ho fatto solo quello che mi andava di fare, che mi emozionava.

 

Quanto è stato difficile, impegnativo, lavorare su questi testi così personali? Trovo che tu abbia fatto una cosa inusuale per l’Italia, dove si tende ad essere un po’ superficiali, soprattutto negli ultimi anni. Tu invece hai scritto un disco dove ti metti a nudo raccontando la tua storia, tocchi livelli molto intimi e privati ma, facendo così, paradossalmente riesci ad arrivare a tutti.

Che arrivi o meno è un dato soggettivo, se arriva sono contento ma se non arriva è lo stesso perché quello che conta è che per me è stato proprio necessario: definirlo un “tassello” sarebbe sminuirlo, si è trattata proprio della risoluzione di un’intera fase della mia vita, di metabolizzare aspetti della mia storia che poi sono comuni a tanti, perché molte persone hanno perso il padre o qualcuno a loro caro. Forse proprio per questo, per il fatto che, pur essendo molto personale, intimo, parla di esperienze che molti hanno vissuto e che potenzialmente possono essere di tutti, ha gli elementi necessari per poter arrivare. Per me è stato necessario passare delle notti a scrivere, a tirare fuori esperienze, a scavare in certi ricordi, anche di altri (perché certe cose le avevo rimosse e me le sono fatte raccontare). Mi sento molto cambiato, quello che ero prima di scrivere questo disco non è quello che sono adesso.

 

Da ultimo, domanda scontata ma doverosa: cosa succederà adesso?

Presenteremo il disco a Firenze il 5 maggio, esattamente il giorno prima dell’uscita. Oltretutto è andata sold out, quindi siamo molto contenti! Poi faremo ovviamente un tour ma al momento non ti posso dare grandi notizie. Sicuramente ci saranno formazioni diverse a seconda delle date: ci sarà il quartetto e diversi assetti del trio, ad esempio mercoledì ci sarà Nicholas Remondino alla batteria preparata ma al posto di Luca ci sarà Francesco Panconesi al piano, che ha suonato anche nel disco. Suonerò tanto, spero, e lo farò con formazioni diverse perché mi diverte molto giocare coi brani, portarli altrove, pur mantenendo intatto quel che volevano dire.