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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
10/10/2022
Le interviste di Loudd
Due chiacchiere con...I Le Lucertole
Questa non è una semplice intervista, è la narrazione di un dialogo, di un incontro, di una bevuta tra I Le Lucertole e me. Per cui sarà anzitutto una trasposizione della musica, dei testi, delle storie e dei pezzi di vita che I Le Lucertole mi hanno condiviso nell’arco di una serata. Se prima di leggere avrete già ascoltato il disco, “I Ragazzi Coi Gomiti Sui Tavoli”, allora capirete al volo tutti i retroscena dei nostri discorsi; se invece non l’avete ancora fatto, troverete dei link ai brani più importanti man mano che procederete nella lettura. Sarà come prendere parte alla serata assieme a noi.

Ragazzi, prima di qualsiasi cosa vi devo assolutamente dire che siete fantastici, incredibili. A me personalmente siete piaciuti un casino. Quando vi ho conosciuti a Bologna ad una serata con Marta Tenaglia mi avete fatto impazzire per la vostra energia e mi avete ricordato tutta la scena indie della Rimini di qualche anno fa, stupendo. Per questo quando è uscito il primo singolo, “Apollo 11”, l’ho ascoltato immediatamente e l’ho trovato molto interessante, ma è stato con l’uscita del disco I Ragazzi Coi Gomiti Sui Tavoli (Costello’s), che mi avete conquistato. Ci ho messo un po’ di ascolti ad innamorarmi, ma ora è da quasi tre mesi che lo ascolto.

Scusa se ti interrompo, ma qual è la tua preferita del disco? Oltre a “Mangiasogni” che me l’avevi detta prima. Forse “I Ragazzi Coi Gomiti Sui Tavoli”?

 

No non è quella, anche se è molto significativa a livello di percorso. L’altra mia preferita, così di pancia, è “Apollo 11”. Mi ha colpito molto l’idea che da una parte sia un pezzo che spinge tantissimo e dall’altro un brano acustico, è incredibile.

Pensa che tra l’altro nacque con l’ukulele questo brano, nella versione originale. Ma il ritornello non ci convinceva, per cui decidemmo di riscriverlo. L’occasione è stata un Capodanno in cui Giro stava passando un periodo buio (si stava lasciando con la tipa) e noi, da buoni riminesi, gli abbiamo detto di riscrivere il ritornello cercando di buttare giù i sentimenti che stava provando. Facendo varie jam e prove è venuto fuori il verso “ma lei non sa che la realtà è soltanto questa” (tra l’altro nel brano è un verso che canta proprio Giro) e da quella vacanza di Capodanno abbiamo deciso di risistemare tutto il pezzo: da lo-fi che era, è diventato quello che è oggi. Samma ha scritto la prima linea vocale e immediatamente abbiamo capito che si poteva spingere con il falsetto; da lì poi è nata la parte delle voci che si può sentire nel disco.

 

Ascolta "APOLLO 11" 

 

Ecco, spiegatemi bene, perché ascoltando il brano si sente che ci sono vari cantanti, tre se non sbaglio.

Si esatto, nel ritornello il primo a cantare è Samma e poi c’è Bizzo. Dopo c’è Giro e di nuovo Samma e Bizzo. Però, più che l’elenco di chi suona e canta, ci teniamo a specificare che sebbene la storia che abbiamo raccontato prima sia vera, ovviamente, quella “lei” di cui cantiamo in realtà non esiste, è la nostra parte interiore femminile. Quindi in realtà parliamo a noi stessi. Questo non lo abbiamo mai raccontato, è la prima volta, ma quando diciamo “lei” non deve essere una vera lei, siamo semplicemente noi ma con il gender cambiato.    

 

È davvero interessante questa cosa perché si comprende come l’arte viva di una doppia visione: quella di chi scrive e quella di chi usufruisce.

Esattamente e lo si percepisce nel modo in cui scriviamo, è diverso a seconda di chi scrive. Bizzo quando scrive è molto introverso, tende ad essere più criptico e a lasciare più spazio all’interpretazione, mentre Samma è più dritto, è una persona semplice e scrive nel modo in cui gli piacerebbe comprendere quello che vive.

In tutto questo la cosa bella è quando scriviamo un brano: non ci mettiamo mai d’accordo, ma ci conosciamo talmente bene che siamo subito in sintonia. Spesso i testi nascono a più mani, ma quando uno di noi legge la strofa scritta da un altro per poterla continuare, non ha la necessità di sapere cosa pensava quando scriveva quelle parole. Questo perché ci conosciamo molto, siamo innanzitutto amici, ci vogliamo bene e se non fosse così non potremmo fare musica insieme. Per suonare insieme abbiamo bisogno di conoscerci, perché la musica è l’unica cosa in cui siamo veri e sinceri fino in fondo, in cui non abbiamo delle maschere, è una cosa intima e non la possiamo fare con qualcuno che non conosciamo.

 

Infatti questo legame che avete si sente moltissimo sia a livello di scrittura sia nella resa dei brani.

I Le Lucertole sono innanzitutto un progetto umano, non volevamo fare un gruppo all’inizio, ma è stata una conseguenza inevitabile. Non c’è mai stata la pretesa che questo progetto potesse essere niente di più che vivere e condividere esperienze con i propri amici. Se non fosse per ognuno di noi, nessuno degli altri suonerebbe qui. Prima ancora della musica c’è l’amicizia e va coltivata quella. La musica respira di conseguenza.

 

Ascolta "SEI DEL MATTINO"

 

(improvvisamente, a metà della chiacchierata, arriva un loro amico, Marco, nome d’arte KKKK)
Marco, anzi KKKK, cosa pensi de I Le Lucertole?

KKKK: Beh, da quando hanno dichiarato di voler salvare il pop italiano io ci ho riflettuto molto e mi sono chiesto se ce la potevano fare veramente. Poi li ho visti live e ho capito che ce l’avrebbero fatta, anzi, ce la stavano facendo, proprio in quel momento, perché la canzone che stavano cantando parlava di noi, di me e la mia ragazza, e questo è quello che fa il pop. Il pop, anche se è bistrattato da tutti, ha il grande potere di trasmettere emozioni universali che ti arrivano anche se non conosci il significato della canzone.

 

A questo punto la domanda sorge spontanea. Nell vostra bio scrivete che la vostra mission è salvare il pop italiano. La mia domanda è: da cosa?

Quella è una cosa che è nata un po’ come meme ma se dobbiamo spiegarla diremmo che dobbiamo salvare il pop italiano da sé stesso. Ci rendiamo sempre più conto che il pop si sta un po’ scordando il valore delle emozioni; non è una questione di stili musicali, sotto quel punto di vista è una figata quello che c’è ora, ma non si deve scordare di donare emozioni vere e non parole di plastica. Il pop in fondo viene da popolare, è la voce del popolo e quindi è un genere che deve parlare con le persone.

(parla Samma) Però ora voglio fare una domanda io a te e questa la metti nell’intervista: secondo te che cos’è un ragazzo coi gomiti sui tavoli?

 

Per me i ragazzi con i gomiti sui tavoli sono tutti quei ragazzi che provano ad entrare nel mondo, nella realtà ma lo fanno nel modo sbagliato e questa cosa, questo errore, viene subito messo in evidenza da chi invece è “giusto”. Il problema poi è che non viene detto qual è il modo corretto. Io spesso mi sono sentito un ragazzo con i gomiti sui tavoli, perché ho sempre cercato di muovermi nella maniera più corretta secondo me, ma spesso e volentieri sbagliavo e non sempre si creava un dialogo costruttivo.

Quindi sei un ragazzo coi gomiti sui tavoli?

 

Alla grande!

È interessante perché questa tua chiave di lettura rappresenta molto quello che volevamo comunicare. Questo disco in fondo nasce con l’idea di rappresentare la nostra generazione e chi la vive realmente. I ragazzi coi gomiti sui tavoli sono i ragazzi fuori posto ed ogni elemento dell’album che abbiamo scritto è a libera interpretazione. È molto bello sentire che uno si identifica come “ragazzo coi gomiti sul tavolo” perché quello che volevamo trasmettere, ed è altrettanto interessante sentire l’interpretazione che hai dato, perché è la tua personale, non è la nostra, sono molto simili ma è la tua ed è bello che sia così.

Quello che noi abbiamo voluto trasmettere all’interno di questo album è essere fuori posto e non stare a certe dinamiche sociali. Noi non vogliamo rispettare le cosiddette “leggi non scritte”, non lo abbiamo mai fatto e per questo abbiamo anche pagato, diverse volte. Questo non ci ha mai fermati e mai ci fermerà, qualsiasi sia il punto a cui arriveremo. Non abbiamo velleità di alcun tipo, quello che facciamo lo facciamo con il cuore e non ci interessa avere successo, anche perché ci sembra inverosimile che quello che raccontiamo possa davvero interessare a tanta gente. So che può sembrare una paraculata ma è così. Noi non pensiamo che sfonderemo in alcun modo, e va bene, è bello questo perché noi lo stiamo facendo per noi stessi e basta.

 

Questa è una cosa molto bella perché anche io da musicista non penso che l’arte vada fatta per il successo. Poi se arriva ben venga, ma non può essere l’obiettivo.

Esatto, pensiamo che fare la musica come lavoro ti tolga una serie di esperienze musicali che tu puoi avere solo se la musica non la vivi come attività principale. Paradossalmente se ti imponi di vivere la musica come lavoro automaticamente vivi per questo e non vivi le esperienze della vita di tutti i giorni, che poi sono quelle che meritano di essere raccontate. Sinceramente siamo ad un punto della vita in cui vogliamo continuare a fare musica ma facciamo fatica a trovare la quadra, il tempo per fare musica, le cose che vogliamo dire e tutto questo perché abbiamo bisogno di vivere e se ci imponessimo di fare solo musica non ce la faremmo mai. Abbiamo bisogno di poter vivere, di poter fare altro, per poi arrivare fra un po’ a tornare in studio come I Le Lucertole e raccontare quello che abbiamo vissuto.

È fondamentale la conoscenza e stare a contatto con le persone. Noi siamo stati molto in mezzo alle persone, in mezzo alla piazza a fare conoscenza, mai a sponsorizzare il nostro gruppo. Ci hanno dato dei coglioni perché quando le cose hanno cominciato a girare il nostro primo obiettivo era quello di conoscere persone e unirle. Rimini è una periferia musicale ma sono tutti slegati, nessuno pesta i piedi all’altro, ma sono tutti uno da una parte e uno dall’altra. Noi li volevamo unire e ci davano degli scemi perché non sembrava un obiettivo valido per diventare “qualcuno”, ma il nostro obiettivo era conoscere gente e divertirci con loro e così abbiamo fatto.

Quello che di conseguenza è successo (e non era il nostro obiettivo) è che le persone hanno capito che non potevi conoscere la nostra musica senza conoscere noi. Siamo sempre stati in giro a cercare l’umanità nelle persone perché molto spesso è veramente difficile trovarla. Noi volevamo unire, volevamo parlare e capire le persone, e infatti stiamo cercando di parlare alle persone. È dedicato alla gioventù bruciata il nostro album.

 

Ascolta "SUPERCOPPA"

 

Volevo fare una piccola zoommata sui brani. Li ho ascoltati e riascoltati e secondo me quello che avete raccontato nel disco è qualcosa di davvero trasversale, qualcosa che secondo me tocca tanti. A me ha toccato, sebbene sia di una generazione diversa. Però parliamo un attimo dei brani. Se si percorre il filo rosso del disco, dal primo brano, “Supercoppa”, ponete sul tavolo il dramma che sarà un po’ da tema per tutto il disco: l’inadeguatezza rispetto alla realtà, i continui fallimenti. “Mi sento come se fossi ad una cena elegante e nonostante tutto non riesco ancora a sedermi composto”, oppure “siamo la finale della supercoppa, a nessuno frega niente, ma a me e a te ci importa”. Da qui si apre la questione di tutto il disco e tutti i brani successivi raccontano, per come li ho visti io, degli aspetti di questo tema introdotto.

Infatti Supercoppa è un intro, deve rappresentare quello.

 

Ascolta "MANGIASOGNI"

 

Mi colpisce che spesso e volentieri raccontate di una profonda drammaticità della vita e questo secondo me raggiunge il suo apice con “Mangiasogni”. In questo brano il ritornello da un lato è un’esplosione di energia, dall’altro quello che racconta spezza le gambe, non lascia uno spiraglio di speranza alla realtà: “Mangiasogni per lasciarli a metà, non so più come si fa ad amare senza voltare le spalle, pagine che strapperò per scordare un altro incubo”. Nella mia esperienza l’amore non può essere questo, però se lo raccontate è quello che avete vissuto, e avete solo vent’anni.

Si è così, “Mangiasogni” è probabilmente il brano più drammatico e depresso che abbiamo scritto, ma profondamente consapevole. Probabilmente in questo brano c’è una delle strofe più pesanti che Bizzo ha mai scritto. Ma anche Samma ha scritto una roba davvero sensibile.

 

Ascolta "I RAGAZZI COI GOMITI SUI TAVOLI"

 

La cosa che mi ha fatto impazzire però viene dopo. Se con “Supercoppa” si pone il livello del dramma, brano dopo brano il discorso continua approfondendosi in differenti aspetti fino ad arrivare a “Mangiasogni”, dove se prima la situazione descritta era di totale inadeguatezza della realtà, poi viene aggravata da una totale assenza di guida da parte degli adulti, che al massimo sono in grado di criticare e dare etichette. Però si arriva ad un certo punto, inspiegabilmente, quasi positivo. In “I Ragazzi Coi Gomiti Sui Tavoli” tirate fuori il tema dello sbaglio quasi come dinamica positiva, di crescita.

Esatto, non puoi togliermi lo sbaglio è ormai l’unica cosa che mi permette di imparare. Io ho bisogno di sbagliare.

 

Avete ragione, e in questi barlumi di speranza che ogni tanto si vedono compare anche la richiesta di essere ascoltati, considerati.

In fondo il nostro album è un grido di aiuto e abbiamo bisogno che più persone possibile lo ascoltino.

Anche perché normalmente noi che siamo di Rimini viviamo una dinamica di quartiere, per cui la gente pensa di avere già capito chi siamo. Quindi “se puoi farlo ascoltaci” è una richiesta. Cavolo, siamo diversi da quello che vedi, non pensiamo di essere tanto di più, ma siamo diversi, per cui se puoi farlo, fai uno sforzo, vai oltre l’apparenza e dacci un ascolto.

 

Concludendo il percorso, io ho sentito da un lato questa drammaticità, il disagio, il desiderio non soddisfatto di essere ascoltati, il grido, dall’altro la consapevolezza che la vita non è tutta merda, c’è qualche sprazzo positivo.

Come dicevamo in un’altra intervista, nella nostra malinconia c’è una grande ricerca della positività.

 

Ascolta "ORBO"

 

Esatto, e in tutto questo arriva “Orbo”. Mi ha spiazzato, ero stordito dopo che l’ho sentita, non capivo. Se mi avete sempre parlato della realtà in modo drammatico, come fate a raccontare della morte in questo modo positivo, come fosse una compagna?

Qual è la tua idea di morte?

 

Per me la morte è un passaggio e sinceramente in questa canzone ci vedo una profonda speranza, perché se riesci a vedere la morte in questo modo, la vita non può essere una merda fino in fondo. Non dimentichiamoci però che siamo passati per “Mangiasogni” e per “Mostro”, per citare due esempi, dove lo fate capire bene che la vita è pesante. Come fate quindi a parlare così della morte?

“Orbo” è l’unica canzone su cui ci siamo fermati un attimo e abbiamo riflettuto. Passa per tre fasi: la prima dove il vecchio sta morendo ed è felice che muore, ma non capisci perché. Te lo spiega Samma con la strofa che ha scritto: il vecchio è felice perché ha fatto la sua vita. L’ultima strofa invece l’ha scritta Giro e lì si parla della vita, di come ti fa incazzare perché ti fa lanciare i sassi alle nuvole. Questa canzone è tutta un flashback, va tutta all’indietro.

“Orbo” è una canzone che parla della morte, è vero, ma è positiva e sinceramente noi vogliamo diventare così, come quel vecchio che arriva al bar, vede la morte, la riconosce (perché l’ha già vista in faccia) e la abbraccia orgoglioso perché sa di avere fatto tutto quello che doveva e voleva fare. Nel mentre gli scrocca due minutini, chiaro, perché comunque deve salutare tutti. Poi però paga il conto e se ne va con lei a braccetto.

 

Questo mi colpisce moltissimo, e penso che sia la cosa più preziosa de I Le Lucertole. Se vi foste fermati a raccontare di come la vita è una faticosa e drammatica avreste detto qualcosa di vero, di interessante, ma che hanno già detto tanti. La cosa che stupisce è che non vi fermate qui, c’è una positività, una ricerca di speranza e infatti come finisce il disco è epico, con voi che fate una schitarrata come foste in spiaggia, belli spensierati. “Ma non ho un sorriso ma un cuore gigante”: è questa la cosa più bella di voi, che chiedete tantissimo, gridate, ve ne sbattete che la vita è una merda e non vi arrendete, perché siete convinti che non può essere tutto qui. Sbaglio?

Cavolo, grazie mille! È vero quello che dici, questo pezzo è un bel flusso di coscienza, ci abbiamo messo davvero tanto a farla, ma una volta conclusa ci siamo seduti e abbiamo detto “bella”, ma bella non la canzone, bensì il fatto che siamo riusciti a concludere quel concetto lì. Era molto difficile da esprimere perché riuscire a mettere in quella canzone tutti noi, le persone, i volti che volevamo raccontare non era banale. Per cui siamo contenti perché è nostra, nostra di chi se la sente. È il brano che uno non dedica alla ragazza, ma dice “questo è mio”.