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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
19/12/2018
Johnny Casini
e con Phil Manzanera si va…
Devo essere sincero e mi pento di non averglielo chiesto: se non avessi letto il nome di Phil Manzanera tra i crediti di questo disco non so se io e la redazione avremmo fermato il tempo su Johnny Casini. E questo non per mancanza di stima o di merito. Anzi. Tutt’altro. Proprio perché di dischi siamo sommersi e non c’è sempre tempo per tutti.

Ed è così che quel nome gigante della produzione discografica fa strabuzzare il bulbo oculare e metto in play questo “Port Luis” che devo dire non tradisce le aspettative di una produzione così di livello e anzi, mi fa scoprire quanto siamo tutti vittime delle apparenze. Scopro un italiano che suonando, scrivendo in inglese per schermarsi dalle vergogne e per ripararsi dalla luce dei giudizi, incontra i giganti del suono del pop rock e rivoluziona ogni cosa di sé, vita privata e orizzonti possibili. “Port Luis” è un Ep di varia natura, dal surf al brit pop, da quella ruggine pseudo Soul che un poco ricorda George Micheal a quel certo mood alla Kasabian (scoprendo poi che li cita anche lui come punti fermi). Insomma, sono 5 inediti che, forse ancora in cerca di una personalità definita, sfornano fantasia e insicurezze, bellezza d’animo e grinta di personalità evolute. I suoni… che belli i suoni di questo piccolo disco.

Vorrei iniziare dall’inizio di questa grande rivoluzione di cui tanto si fa cenno. La vita che cambia, la vita come arte dell’incontro. Quanto è vera questa frase? Uno come te può testimoniarlo…

Si cresce con delle convinzioni dovute all’ambiente in cui si vive e in cui ci si confronta giornalmente. Continuando il cammino della vita si sviluppano occasioni per conoscere altre persone, altre realtà, altre culture che ci formano caratterialmente. S’incontrano anche i primi amori, quelli veri, senza le paure di farsi male. Il risultato è che si mettono in discussione le nostre convinzioni primitive radicate. Come dice Vinicius De Moraes “la vita è l’arte dell’incontro, malgrado ci siano tanti disaccordi nella vita”. Io penso che questi disaccordi che nascono da questi incontri diano linfa alla nostra esistenza, carattere ai nostri cuori, forza e determinazione per superare gli ostacoli lungo il percorso della vita. In conclusione, affermo e posso testimoniare dalla mia pur breve esperienza che è proprio vera la frase che “la vita cambia, la vita come arte dell’incontro”. Cerco di trasmettere questo pensiero anche attraverso le mie composizioni Artistiche.

Lasciare l’Italia per approdare al mondo grande, America e Inghilterra in primis. La prima grande differenza nel concepire il suono prima ancora che la forma canzone?

Tutte le mie canzoni in generale sono nate da una semplice chitarra acustica e dalla mia voce. Trascrivevo tutte le mie sensazioni e stati d’animo in musica e parole con l’obiettivo di ottenere in certi casi una medicina che potesse aiutarmi a livello morale e psicologico in altri per esaltare una mia positività. Per ogni canzone ricordo perfettamente quando, dove e perché è nata. Successivamente è iniziata una ricerca dettagliata e più approfondita del suono e degli arrangiamenti cercando di comunicare al meglio le emozioni espresse nei brani. Questa ricerca è stata effettuata con la supervisione artistica del grande Phil Manzanera e la stretta collaborazione di musicisti di altissimo livello.

E restando su questo tema, le tue abitudini di scrittura e di lavoro in studio? Grandi rivoluzioni anche in questo?

Certamente per me è stata una grande e nuova esperienza. Prima di questa avventura scrivevo e registravo in modo amatoriale: prendendo spunto e ispirazione da ciò che mi circondava. Scrivendo e registrando in “Home Studio” tutto “DIY”. Con il lavoro effettuato insieme a dei grandissimi professionisti a Londra in studi d’avanguardia pieni di strumenti analogici c’è stata per me una grandissima rivoluzione professionale. In quell’occasione ho perfezionato e affinato le mie capacità compositive osservando, analizzando, studiando e assorbendo il più possibile dall’esperienza di questi grandi professionisti del settore.

Un Ep ma ricco di tante sfumature. Giocando con le etichette mi verrebbe da citare il rock, ma anche un certo tipo di quel pop-surf che dal singolo di lancio arriva alla  beatlesiana “This is the place”. Ma quindi America o Inghilterra? Beatles o Beach Boys?

Non ho mai pensato di realizzare “Port Louis” con delle etichette particolari. Quello che ne è uscito è il frutto di una serie di fattori. La sinergia d’influenze di ciò che ascolto, che penso e che elaboro vivendo. L’inghilterra è la mia più grande influenza artistica a livello musicale. Sono un fan di tutto il Britpop, dai Beatles passando per tutti i decenni successivi fino a band recenti come Arctic Monkeys e Kasabian. In parte ciò deriva anche dalle mie origini famigliari.

Mentre dell’America ho sempre avuto un’immagine molto suggestiva che mi ha anch’essa condizionato nelle mie composizioni. Vivendo in Emilia Romagna in cui vi è il fiume più lungo d’Italia che è il Po e una via storica come la Via Emilia, immaginavo di essere in una dimensione ridotta del Sud degli Stati uniti. La mia fantasia mi portava a vedere la via Emilia come la Route 66 e il Po come il Mississipi. Lungo queste vie di comunicazione sia in America sia in Italia s’incontrano realtà Artistiche e Culturali che confermano questa mia immagine. Ultima ma non ultima l’Italia. In effetti, le mie esperienze di vita, il mio cuore e la mia formazione culturale è avvenuta in Italia.

Questi 3 elementi descritti e mescolati tra di loro hanno determinato, influenzato fortemente la mia composizione Artistica.

Perché fermarsi solo ad un Ep? Perché non un disco intero?

L’EP “Port Louis” è l’anteprima dell’LP che uscirà prossimamente. Da Italiano quando vado al ristorante, prima della portata principale mi degusto l’antipasto. Considero quindi questo EP un assaggio.

Inevitabile parlare di crescita personale. Ma in sincerità, c’è qualcosa del passato (da italiano) che vorresti conservare o che addirittura rimpiangi (musicalmente parlando)? Che poi in fondo ho la sensazione che tu “italiano” in tal senso non lo sia mai stato…

Paradossalmente non ho mai iniziato a scrivere in Italiano non solo perché mi piaceva l’idea di scrivere in Inglese ma anche perché ne ero terrorizzato e spiego il motivo. Avevo timore e vergogna di esprimere direttamente e pubblicamente le mie emozioni, i miei sentimenti e le mie debolezze. In pratica mi nascondevo dietro alla lingua che fungeva da scudo contro queste paure di esternare i sentimenti che effettivamente stavo provando. È tutto iniziato in questo modo. In seguito con la crescita culturale, musicale, artistica mi sono abituato ed è diventato per me naturale comporre e scrivere in lingua Inglese. Questo perché i miei principali ascolti musicali sono in lingua inglese e ho capito che attraverso questa lingua posso comunicare i messaggi che voglio esprimere con la musica e le composizioni a tutto il mondo senza barriere culturali, sociali e linguistiche. In conclusione, è tutto nato come uno scudo che si è trasformato nella mia spada.

A chiudere per gli amici di Loudd: qualche curiosità, un aneddoto che colora l’incontro tra te e Phil Manzanera?

Aneddoti e storie del periodo in cui ho lavorato con Phil Manzanera ne ho tantissime. Una in particolare vorrei condividerla con voi. Durante una delle tante sessioni di registrazione Phil mi ha proposto di suonare un passaggio di un brano con una sua chitarra. Mi ha indicato quale delle sue utilizzare. Alla fine della sessione commentando il lavoro fatto ho scoperto che la chitarra che ho suonato era quella usata da Phil Manzanera per registrare la cover di John Lennon “Jealous Guy” con i Roxy Music:


 

P.s. Non hai paura che questo nome gigante della produzione metta in ombra Johnny Casini?

No, assolutamente! Avere il mio nome comunque affiancato a una rock star del calibro di Phil Manzanera è per me solo un grande onore.