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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
08/06/2023
Live Report
Forged in Doom, 27/05/2023, Spirano (BG)
La prima edizione del Forged in Doom ha dimostrato che anche nel nostro paese si possono mettere in piedi line up di tutto rispetto senza far pagare un occhio della testa, con un'organizzazione impeccabile e rispettando la dignità e i bisogni primari dei convenuti. Un doom metal festival riuscitissimo che ha visto susseguisi Temple, Cardinals Folly, Epitaph e Lord Vicar, per un appuntamento primaverile che si spera possa ripetersi anche il prossimo anno.

Adesso sarebbe fin troppo facile tirare in ballo retorica e frasi fatte, la solita trita contrapposizione tra eventi a prezzi inaccessibili volti solo a lucrare sulla passione del pubblico, ed iniziative a misura d’uomo, sostenibili ed organizzati con una passione e una qualità che si fa fatica a ritrovare in produzioni più blasonate e dotate di mezzi.

Sarebbe fin troppo facile, appunto, ma è esattamente quello che farò. Perché la prima (e speriamo non sia l’ultima) edizione del Forged in Doom, ha dimostrato che anche nel nostro paese si possono mettere in piedi line up di tutto rispetto senza far pagare un occhio della testa e soprattutto rispettando la dignità e i bisogni primari dei convenuti. Lo sapevamo già, perché ogni anno qualcosa del genere salta fuori e se proprio non si è fossilizzati sui soliti Iron Maiden e Metallica, ci si può godere dell’ottima musica dal vivo senza per forza dover lasciare giù un mese di stipendio.

Lo sapevamo già ma ogni volta che accade è una sorpresa ed è giusto ribadirlo.

 

Spirano è un piccolo paese in provincia di Bergamo, non lontano da Capriate, e il Palaspirà, che più che un palazzetto è una semplice struttura coperta, è una location improbabile che nel momento in cui ci metto piede mi ha evocato scenari di qualità sonora abominevole, un po’ come quando alle feste del liceo si facevano suonare i gruppi in palestra, oppure (e questa i milanesi se la ricordano bene, temo) quando il Palasesto e il Palalido erano venue ultra gettonate per parecchi gruppi stranieri. Non mi sono mai sbagliato così tanto in vita mia ma ci arriverò a breve.

Il Forged in Doom nasce con l’idea di portare anche in Italia band che sono tra gli esponenti più interessanti di questo genere ma che per una ragione o per l’altra da noi sono decisamente difficili da vedere. L’organizzazione è tutta locale, il prezzo del biglietto contenuto al di là di ogni immaginazione e l’intero ricavato sarà devoluto all’Associazione Nazionale Alpini, per la costruzione del loro ospedale da campo. In effetti il posto è pieno di Alpini: li incontri nell’area esterna, comodamente attrezzata con tavoloni di legno, a prendere le ordinazioni e a servire birra e panini con la salamella; li trovi all’ingresso a fare i biglietti e a consegnare i pass alle persone in lista accrediti; li trovi all’interno, impegnati in mansioni curiose che vanno dal vendere il merchandising dei Cardinals Folly (la band era arrivata solo pochi minuti prima da Monaco di Baviera e doveva sistemarsi) a fungere da factotum su e giù dal palco, per esempio rifornendo di birra i Lord Vicar durante il loro concerto. Sono scene bellissime, perché dubito che queste persone avessero mai avuto a che fare con questo tipo di musica, per cui vederli muoversi con questo entusiasmo non è scontato, neppure quando si tratta di un evento di cui sono parte integrante.

 

Per tutto il tempo si è respirata passione e dedizione, sia negli annunci dell’organizzazione che avvisava il pubblico quando il gruppo di turno stava per salire sul palco (all’interno faceva abbastanza caldo, per cui la maggior parte dei presenti, tra un set e l’altro si riversava fuori a prendere aria), sia nella comparsa sul palco, a metà serata, del sindaco di Spirano, che ha detto due parole sull’importanza della musica dal vivo, anche quella che non muove propriamente le masse.

E quindi l’organizzazione è impeccabile e il contorno perfettamente godibile. Manca solo la musica, a togliere ogni dubbio sul fatto che si tratti di un evento memorabile, da ripetere il prima possibile. Sulla bontà delle band non si discute, l’interrogativo era semmai se fossero state messe nelle condizioni di esibirsi al meglio.

 

 

Il palco, occorre dirlo, non è granché: si tratta più che altro di una pedana rialzata, sembrerebbe già esistente all’interno della struttura, a cui sono state aggiunte delle luci e una macchina del fumo. Poca roba, ma immagino che il budget fosse limitato e poi è anche vero che ci sono locali che in fatto di stage sono messi pure peggio.

Se dal punto di vista visivo dunque le cose sono quelle che sono, sul fronte resa sonora, al contrario, mi sono dovuto immediatamente ricredere. Lo dico subito a scanso di equivoci e lo dico adesso per non ripeterlo più: non so come sia stato possibile in un posto così, ma tutte e quattro le band hanno goduto di suoni pazzeschi, al limite della perfezione. Volumi normali, mai sparati troppo in alto, strumenti che uscivano fuori il giusto e allo stesso tempo erano ben amalgamati tra loro. Qualche problemino tecnico c’è stato, perché soprattutto Epitaph e Lord Vicar hanno avuto un po’ di cose da far aggiustare nel corso del loro set, ma dal punto di vista di noi ascoltatori è stato tutto magnifico, in una maniera che quasi mai si verifica nelle venue più blasonate.

Aggiungiamo, da ultimo, che gli orari sono stati rispettati quasi al secondo, e avrete il quadro di una serata che in tanti dovranno rimpiangere di aver perso (e infatti, unico neo in cotanta perfezione, l’affluenza avrebbe potuto essere molto ma molto più alta).

 

I primi ad esibirsi sono i Temple, da Salonicco, che arrivano per la prima volta in Italia forti di un disco, Of Solitude Triumphant (il loro secondo) di bellezza e intensità rara. Le note del canto polifonico “Me To Lichno Tou Astrou” che sfumano rapidamente nell’opener “The Foundations”, ci introducono ad un set dove eleganza e solennità la fanno da padrone, unitamente ad una certa atmosfera sacrale ben presente nei brani del loro repertorio. Il loro Doom, fortemente debitore ad un act storico come i Candlemass è lento ma non pesante, mai oppressivo ed anzi pieno di slanci melodici. Il cantante e bassista Father Alex conduce le danze con piglio sicuro, la voce tenorile potente ed espressiva, coadiuvato perfettamente dal drumming di Paolos e dalle chitarre di Felipe e Stefanos, il cui intreccio spesso armonizzato è uno dei maggiori punti di forza del sound dei greci. Il nuovo disco c’è quasi tutto, con le meravigliose “A White Flame for the Fear of Death” e “The Lord of Light” a fare la parte del leone. Solo un brano, l’ugualmente ottima “The Blessing”, dall’esordio Forevermourn, a testimoniare comunque un grande valore compositivo già nei primi tempi.

 

Decisamente più heavy i Cardinals Folly, più apertamente sabbathiani e dotati di un approccio sonoro ruvido, grazie anche alla formazione a tre che rende il tutto più diretto. Hanno da poco finito di registrare il nuovo disco, che si intitolerà Live by the Sword e la cui data di uscita non è stata ancora definita. Ne anticipano un brano (se non erro si tratta proprio della title track) e il feedback è positivo, in linea con un repertorio che si è sempre attestato su ottimi livelli nel corso degli anni.

La prova della band finlandese è ottima, eccezion fatta per qualche sbavatura vocale da parte di Mikko Kääriainen, ma nulla di particolarmente grave. Con un songwriting che non disdegna l’up tempo, garantiscono anche un coinvolgimento maggiore da parte del pubblico, il resto lo fanno le varie “Her Twins of Evil”, “Last House on the Left”, “Secret of the Runes” e ovviamente il brano manifesto “Deranged Pagan Sons”, cartucce pesanti che i finlandesi, anche loro per la prima volta in Italia, sono ben lieti di sparare.

 

Gli Epitaph giocano in casa, hanno da poco cambiato cantante e hanno un disco nuovo già pronto, anche se ancora non sappiamo quando verrà pubblicato. Senza nulla togliere ad Emiliano Cioffì, bisogna dire che la prova del nuovo entrato Ricky Dal Pane è stata pazzesca: voce potente, carisma e intensità da vendere, perfettamente a suo agio col vecchio repertorio (le ottime “Beyond the Mirror”, “Sizigia” e la vecchissima “Necronomicon”, con cui hanno chiuso, sono state le cose a mio parere migliori), tiene in mano il pubblico e conduce la band attraverso un set magnifico, che ha visto anche l’esecuzione di tre anticipazioni dall’album: “Nameless Demon”, “Embraced by Morms” (che Ricky, originario di Faenza, ha dedicato alle vittime del recente alluvione) e “Fall From Grace” mettono le cose in chiaro sul fatto che in cantiere la band di Verona ha davvero un mezzo capolavoro. Non hanno fatto molti concerti ultimamente ma la potenza e l’amalgama tra i quattro è assolutamente invidiabile, coi membri storici Mauro “Tolly” Tollini (batteria) e Nico Murari (basso) a condurre le danze assieme al nuovo innesto Lorenzo “Loah” Loatelli alla chitarra.

Lo show degli Epitaph, arricchito anche da semplici ma efficaci orpelli scenografici (il vestito da prete di Murari, il teschio con gli occhi illuminati di rosso che campeggiava a centro stage) è stato quanto più possibile lontano dalla nostalgia celebrativa, per abbracciare una dimensione totalmente contemporanea.

 

Chiusura in bellezza coi Lord Vicar, col cantante Christian “Chritus” Linderson che scende in platea a chiamare a gran voce il pubblico, esortandolo a radunarsi nelle prime file. Basta la prima canzone, l’epica cavalcata in territorio Cathedral di “Pillars Under Water”, a farci capire come mai la band di Turku, Finlandia, è stata piazzata nel ruolo di headliner: Kimi Kärki, Gareth Millsted e Rich Jones sono un’autentica macchina da guerra, tiro impressionante quando spingono sull’acceleratore, ieratica pesantezza e fascino oscuro quando rallentano i ritmi, vantano un frontman di prim’ordine che oltre a cantare con un’intensità da brividi, è dotato anche di una straordinaria teatralità, che porta in vita le varie canzoni davanti allo sguardo del pubblico, così che per un’ora il palco appare dominato da satiri e figure demoniache. Il repertorio di livello assoluto fa il resto, con una scaletta che pesca un po’ da tutti e quattro i dischi, inanellando, tra le altre, perle come “Sign of Osiris Slain”, “Born of a Jackal”, “Birth of Wine”, “Leper Leper” e una pazzesca e lunghissima “The Funeral Pyre” nel finale. Canzoni che sono la quintessenza del Doom, in tutte le sue sfaccettature, e che incollano l’ascoltatore nonostante le strutture poco canoniche e il più delle volte intricate.

 

 

Cala così il sipario su una serata meravigliosa, che speriamo davvero di poter rivivere il prossimo anno. Chi volesse continuare a spendere cifre folli per ammassarsi su un prato a vedere vecchie glorie da un chilometro di distanza faccia pure; per quanto mi riguarda, la musica dal vivo è questa roba qui. Complimenti agli organizzatori e speriamo davvero che il Forged in Doom diventi un appuntamento fisso.

 

 

Photo courtesy: Stephanie Mostosi