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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
30/01/2023
Blues Traveler
Four
"Four" esce nel 1994 e scaraventa nel mainstream i Blues Traveler. Forse non è il loro album migliore, ma sicuramente rappresenta in maniera esaustiva il loro modo di fare musica, un intreccio di generi e vocazioni, collegamenti e pulsioni ad ampio spettro, che li colloca di diritto nel novero delle jam band.

Blues rock, folk rock, alternative rock e southern rock sono solo alcuni tentativi di racchiudere in uno steccato di generi i Blues Traveler. In realtà è molto difficile, a parte la certezza che il rock sia una parte integrante del loro modo di declinare musica, catalogare l’operato della band capitanata dal grande, in tutti i sensi, armonicista John Popper.

I “ragazzi” del New Jersey risultano prorompenti, efficaci, convinti e convincenti in questo Four, quarto episodio, come si evince dal titolo, della loro lunga carriera iniziata nel 1987. E quattro è anche il numero dei componenti presenti nella formazione originaria, che hanno iniziato a suonare insieme quando ancora frequentavano le scuole superiori a Princeton. John Popper a quei tempi è un polistrumentista che aspira a diventare uno stand up comedian, ma trova la sua vocazione nell'armonica dopo un'esibizione solista in classe. Il chitarrista Chan Kinchla è un promettente giocatore di football che si dedica alla musica dopo un infortunio al ginocchio. Completano il quartetto il compianto bassista Bobby Sheehan e il batterista Brendan Hill.

Il “combo” si chiamava inizialmente Blues Band, ma cambia nome in Blues Traveler quando i membri si trasferiscono a Brooklyn, dopo il diploma collettivo. Mentre si trovano a New York, i Blues Traveler iniziano a fare concerti e a condividere le risorse con gli Spin Doctors, all’epoca chiamati Trucking Company, un altro gruppo originariamente fondato da Popper. Alla fine del decennio, il “sodalizio” firma con la A&M Records e pubblica il debutto autoprodotto nel 1990. Seguono Travelers and Thieves, un EP live tributo a Bill Graham intitolato On Tour Forever e il terzo album Save His Soul, acclamato dalla critica. Ora i Blues Traveler hanno ottenuto una certa visibilità a livello nazionale grazie alle loro apparizioni al David Letterman Show e alla loro iniziativa di fondare il festival H.O.R.D.E. (Horizons of Rock Developing Everywhere) nel 1992.

 

In four (scritto in questo modo nella simpatica copertina dell’album) si mantiene il team di produzione del lavoro precedente, ossia i veterani Michael Barbiero e Steve Thompson e, con il beneficio della casa discografica, la menzionata A&M Records, finalmente accondiscendente, il primo singolo "Run-Around", ingentilito dalle morbide percussioni di Bashiri Johnson, ottiene un vasto airplay alle radio e soprattutto anche su MTV, grazie a un video azzeccato. In realtà si tratta del brano più pop e forse meno rappresentativo, ma è ciò che serve per farsi conoscere ed è senza dubbio orecchiabile, divertente, e colto (si cita pure The Raven di Edgar Allan Poe, in una lunga storia che traccia le problematiche di un amore non corrisposto), anche se non si allontana mai dai suoi quattro accordi.

Scorrono i brividi lungo la schiena già con la seconda traccia in scaletta, "Stand", innovativo funk rap che ospita le morbide tastiere di Paul Shaffer, si distingue per un intermezzo indiano con tambora e shruti box in evidenza per merito di Peter Malcolm Kavacavich, e presenta chitarra e armonica in sincronia, con il primo grande assolo di quest’ultima sull’LP. L’appellativo di Jimi Hendrix dell’armonica, appioppato a John Popper da critica e fan, è indovinato, considerando l’enorme stima provata da lui per il chitarrista di Seattle e il fatto che abbia davvero influenzato anche il suo modo di suonare.

 

La bellezza del disco giace nella sua imprevedibilità e nei cambi di ritmo. "Look Around" è infatti una ballata soft rock accarezzata dal piano di Chuck Leavell, tastierista dal tocco blues che nei decenni ha illuminato la musica di Allman Brothers Band, Rolling Stones ed Eric Clapton. Sono notevoli anche i contributi di Kinchla, che improvvisamente abbandona i suoi fraseggi delicati per un “solo” emozionante, affiancato da un sorprendente Popper alla chitarra 12 corde, e Hill, il quale si distingue per un originale utilizzo dei tom della batteria. "Fallible" colpisce invece per un groove rock alimentato da un wah wah, un’armonica sull’orlo della pazzia e affronta, nel testo, quanto sia importante “oliare i propri ingranaggi della vita” senza subire condizionamenti dalla società e lasciare affiorare il nostro vero io, togliendo le maschere che ci vengono affibbiate: “Con aria indignata sorride una faccia di porcellana dipinta. E noi dovremmo fidarci di questo? Il decoro ha il suo posto, ma io e te siamo al di là di quello, e con una domanda che potrei fare (non sai) quanto improvvisamente quel sorriso si incrinerebbe, (ecco ciò che accade) quando sfuggiamo alla maschera.”

 

Le dodici tracce portano principalmente la firma di Popper, in solitaria o con la collaborazione di Kinchla, come nella sopracitata "Fallible", nell’energica jam carica di riff uncinanti "Crash Burn" e nella sottovalutata "Price to Pay", ove il cantato del leader e la sua epica french harp "Honer Special 20" raggiungono armonie lussureggianti, mentre la trama sonora pilotata da ritmi rock-funk non lascia respirare nemmeno per un secondo.

Sheeham si ritaglia però uno spazio importante nella stesura della musica della potente invettiva contro razzismo, ingiustizia e sfruttamento intitolata "Freedom", che ricorda, pur mantenendo la sua originalità grazie a un’armonica pirotecnica, alcune sonorità alla Red Hot Chili Peppers e, soprattutto, in "The Mountains Win Again", dalla calma melodia acustica con linee di basso riprese armonicamente nell’interpretazione vocale. Il blues affiora nelle note di chitarra cesellata dall’illustre ospite Warren Haynes e nelle liriche traspare la metafora delle emozioni, viste come una montagna: il protagonista cerca di nasconderle, ma non ci riesce, “Ooh non provi la stessa cosa, ooh devi amare il dolore, ooh sembra che piova ancora, sì, sento che sta arrivando, le montagne vincono di nuovo.”

Un testo profondo per un autore e formidabile bassista dal cuore e animo tormentato, sempre in bilico tra eccessi e voglia di redenzione, purtroppo sconfitto dalle droghe nel 1999: un'overdose gli è fatale a New Orleans, e lascia un vuoto incolmabile in una band che con molta fatica e non poca sofferenza riesce a proseguire il cammino, sostituendolo nella formazione con Tad, fratello di Chan Kinkla, e aggiungendo in seguito Ben Wilson alle tastiere. Suo è anche un contributo alle liriche della conclusiva, toccante Brother John, un southern gospel arricchito dalla voce dell’amico songwriter Jono Manson, ove Sheehan si nota pure per un feroce riff di basso.

 

“Gregg Allman mi ha sempre colpito per quel canto sincero, quella voce che non inganna come quella di Billie Holiday, poi le cosiddette jam band tipo Phish, Widespread Panic e Dave Matthews Band sono state di grande ispirazione, ma non voglio nemmeno dimenticare Ziggy Marley, unico nell’approccio con il pubblico e fantastico nell’arrangiamento delle percussioni”. (John Popper)

 

La famosa "Hook", dal ritornello irresistibile, il vivace e a tratti bizzarro strumentale "The Good, The Bad, And The Ugly", infine il folk dalle liriche ricolme di speranza e di incoraggiamento di "Just Wait" incarnano perfettamente le influenze citate dal leader, il cui entusiasmo e piglio nel vivere un’esistenza in musica ne contraddistinguono l’incisiva personalità: una vita burrascosa, traboccante di interessi e passioni, ovviamente dalle armoniche (ne possiede un numero infinito e spesso ne utilizza parecchie in una sola canzone) alle moto (nel 1992 ebbe un grave incidente che rischiò di comprometterne la carriera), alle armi e alla politica; una vita ulteriormente tormentata dalla battaglia contro l’obesità e da alcuni problemi con la giustizia per possesso di marijuana.

"Hook" merita una riflessione più ampia perché ottiene un meritato riscontro commerciale, arrivando fino al ventitreesimo posto della Billboard Hot 100 con un testo che fa satira sulle canzoni di successo, descritte come vacue e banali, ma furbescamente dotate di un “gancio” (l’hook del titolo perlappunto), ossia un'idea melodica, spesso un breve riff, un passaggio o una frase, che viene utilizzata nella musica popolare per rendere una brano accattivante e per catturare l'orecchio dell'ascoltatore.

 

Il percorso artistico dei Blues Traveler prosegue a corrente alternata dopo il notevole riscontro commerciale con Four. Gli alti e bassi si allacciano all’ego un poco soffocante di Popper, sempre alla ricerca di nuovi stimoli, tra progetti solisti, collaborazioni con altri artisti e velleità cinematografiche, e, purtroppo, alla tremenda scomparsa di Sheehan; in effetti solo un profondo rispetto provato dal frontman per i membri della band ha consentito al gruppo di sopravvivere fino ad oggi, consentendo a ognuno di loro di poter evidenziare le proprie attitudini. L’intrigante Cover Yourself (2007), il solido Suzie Cracks the Whips (2012) sono da ricordare, insieme all’ultimo Traveler’s Blues di un paio di anni fa, interessante progetto di cover di blues classici infarcito di ospiti del calibro di John Scofield, Mickey Raphael, Keb’ Mo’ e Warren Haynes.

Volendo fare un bilancio riassuntivo, i Blues Traveler hanno attraversato gioie e illusioni, vittorie e sconfitte, mantenendo determinazione, rimanendo pungenti e mai scontati, imbucandosi in un sentiero fertile che li ha condotti, senza compromessi e ispirati, in direzione di una musica genuina, ruspante e comunicativa, con un occhio al passato, ma lo sguardo rivolto al presente e a un futuro in parte ancora da costruire, con la consapevolezza e l’esperienza dei traguardi già raggiunti.