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THE BOOKSTORECARTA CANTA
Fratelli (e tutta l’opera narrativa)
Carmelo Samonà
2002  (Mondadori)
LIBRI E ALTRE STORIE
all THE BOOKSTORE
04/06/2018
Carmelo Samonà
Fratelli (e tutta l’opera narrativa)
C’è una casa, un vecchio appartamento in città, con “un’aria da trasloco imminente”. Ci abitano due uomini. Sono due fratelli. Uno è malato, e l’altro, il narratore, se ne prende cura.

C’è una casa, un vecchio appartamento in città, con “un’aria da trasloco imminente”. Ci abitano due uomini. Sono due fratelli. Uno è malato, e l’altro, il narratore, se ne prende cura.

Da questi pochi elementi essenziali si dipana il racconto non tanto di una storia, quanto di una difficile esperienza di comunicazione con l’altro fatta di silenzi, interpretazioni, malintesi, fatica. Questo è il primo dei tre romanzi che costituiscono l’opera narrativa di Carmelo Samonà (1926-1990), noto ispanista che, dopo una serie di saggi, ha cominciato a scrivere romanzi relativamente tardi. Fratelli è stato edito nel 1978 ed è senza dubbio un romanzo bellissimo in cui normalità e malattia cercano una conciliazione e una convivenza minata continuamente dall’esterno.

Non sappiamo dove si trovi la casa. Non sappiamo di che malattia soffra “il fratello”. Non conosciamo nemmeno i nomi dei protagonisti (e non potremo quindi designare il fratello “sano” e distinguerlo da quello “malato”). Non è importante. Al centro del libro c’è il rapporto fra i due, e lo sforzo di comprendere la malattia intesa come mondo a sé, dimensione intima, struttura mentale diversa che ha una sua logica impenetrabile e che la creazione di un’attenta routine di gesti (lavarsi, vestirsi, pranzare, uscire per fare delle passeggiate, chiamate “Piccoli o Grandi viaggi”) e l’utilizzo di oggetti di uso comune come strumenti di gioco e dialogo, cercano di palesare.

Il secondo romanzo, Il custode, pubblicato nel 1982, è anch’esso incentrato sull’incomunicabilità, stavolta dovuta alla prigionia. Qui l’atmosfera è kafkiana, e ancora una volta il centro è un ambiente chiuso e totalmente isolato dall’esterno. Un romanzo claustrofobico che lascia tuttavia sempre pensare ad una porta in fondo in fondo che prima o poi si spalancherà, dovrà spalancarsi. La parola non è più di alcuna utilità e sfugge il limine fra lucidità e follia.

Un uomo (stavolta il nome lo sappiamo perché lui stesso lo ripete ad alta voce, per rivendicare la propria esistenza) si ritrova prigioniero in una stanza, vuota, completamente. Avverte la presenza di un “custode” (o forse sono più d’uno) all’esterno, ne vede l’ombra, ma a nulla valgono i tentativi di comunicazione, almeno fino a quando non riesce a trovare un minimo punto di contatto lui. Tutto si gioca sull’immaginazione e il ricordo: in un mondo in cui si è soli completamente, in cui non ci sono oggetti cui aggrapparsi (situazione incomprensibile per noi che viviamo circondati da oggetti di cui non sapremmo più fare a meno) l’unica cosa da fare è parlarsi, guardarsi dentro, ricordare, immaginare. Anche qui il tema è la comunicazione o il tentativo di creare una comunicazione, prima con l’esterno, poi con se stessi, ripensando in maniera nuova ad ogni elemento della vita, quella vissuta che sembra mescolarsi con quella immaginata, ad ogni oggetto comune. E di nuovo diventa preponderante l’ascolto dell’altro. Se in Fratelli il narratore cerca di penetrare nel mondo del fratello osservandolo, studiandone movimenti e sguardi, qui il prigioniero deve accontentarsi di pochi fuggevoli gesti delle mani del custode e, per il resto, rimane in ascolto e costruisce una narrazione intorno ad ogni minimo suono percepito (o forse solo intuito e immaginato).

In Casa Landau, terzo romanzo pubblicato postumo, invece, cambia la prospettiva e il contesto. La voce narrante è quella di un ragazzino che regolarmente viene accompagnato dalla sorella a fare ripetizioni di matematica da un vecchio professore, in una villa solitaria fuori città. Samonà è meno criptico quanto alla definizione di spazio, tempo e caratteristiche dei personaggi. Per esempio, sappiamo che la storia si svolge nell’inverno del 1939 e conosciamo il nome del professore, Landau, un uomo vedovo, burbero, che incute timore, strano nei modi e, per questo, a suo modo affascinante. L’ingresso nella casa del professore è l’ingresso in una dimensione totalmente nuova: la villa, trascurata, polverosa, fredda, fa tutt’uno con il suo proprietario, ed entrarci è come penetrare in un deserto desolato.

Ad un certo punto, però, la routine delle lezioni pomeridiane si spezza: l’allievo, dall’ingresso, vede un’ombra dietro una finestra e gli sembra trattarsi di una donna. Comincia allora una ricerca, il tentativo di svelare il mistero. Si convince (lui che vive con una madre perennemente affranta per l’abbandono del marito, il Grande Assente, e che sente la mancanza della figura paterna), di essere l’unico cui è concesso vedere quell’apparizione “Per vedere un’ombra che somiglia a un corpo ma che era diversa da questo per materia e per sostanza, bisognava essere […] diversi dalla maggior parte dei propri simili”. Solo a lui è data questa esperienza eccezionale, perché solo lui è diverso, speciale, in tal senso. E per svelare il mistero, ecco che vengono in suo aiuto i romanzi dei suoi autori preferiti, che gli danno la chiave di lettura per comprendere chi o cosa sia quella donna dietro i vetri della finestra del primo piano.

Sembrerebbe un romanzo molto diverso dai due precedenti, e invece no: finalmente il professor Landau svela la natura di quella presenza. Si tratta della figlia, Miranda, una ragazzina malata. Samonà torna dunque sul tema della malattia e dell’isolamento. E poi della comunicazione: infatti, Landau chiede al suo allievo di diventare il compagno di giochi della figlia, di farla sentire “normale”, uguale a tutte le ragazzine della sua età. E lui accetta: “Varcata quella soglia entravo, dunque, nei meandri della follia”. Ancora una volta, l’importanza di comprendere il diverso, entrare in contatto con ciò che solo all’apparenza non ci tocca: “Ho imparato che bisogna fingere di accettare la malattia come qualcosa che ci integra e ci appartiene alla stregua di un prolungamento insano dei nostri corpi”.

Torna il tema mirabilmente sviluppato in Fratelli perché in fondo quei due fratelli, il prigioniero, il custode, l’ombra dietro la finestra, potremmo essere anzi siamo noi, nello sforzo quotidiano di rapportarci all’altro, nel modo in cui viviamo la malattia e la diversità, che sia nostra o di chi ci è vicino, nell’incomunicabilità dei nostri modi di essere.