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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
18/09/2017
Burt Bacharach
Futures
Concludendo la recensione, mi sono accorto di avere usato molte iperboli per descrivere Futures. Poco male, ne sarebbero occorse anche di più.

Futures è il primo album di Burt Bacharach pubblicato dopo la fine del rapporto artistico con il paroliere Hal David, (anche se qui sono comunque presenti due brani della premiata ditta) ma è anche il primo disco in cui il compositore americano si lascia indietro la voce di Dionne Warwick e i successi che lo avevano caratterizzato nel decennio precedente per giungere ad un nuovo linguaggio, più interiore e più maturo.

Poco conosciuto, Futures è davvero uno sguardo in avanti rispetto all'anno di uscita, si parla del 1977, non orecchiabilissimo ad un primo ascolto, il che è dovuto in massima parte agli arrangiamenti complessi e sofisticati che ne costellano il viaggio, ma se prestiamo l'attenzione che merita possiamo già da subito riconoscerne quei tratti che saranno poi sviluppati nel decennio successivo, come ad esempio in "Sometimes Late At Night" dell'allora moglie di Bacharach, Carole Bayer Sager, per concludersi compiutamente negli anni novanta con "Painted From Memories", un ennesimo capolavoro scritto insieme ad Elvis Costello. 

La musica di Bacharach, anche quella più riconoscibile e di successo, ha comunque una vena malinconica di fondo, penso a brani come "Alfie" e "A House Is Not A Home"; in Futures, però,  si va in direzione della disillusione e dell'introspezione, come se l'artista volesse renderci partecipi del proprio "mal di vivere".

Ad ogni nuovo ascolto veniamo sorpresi dalle soluzioni adottate da Bacharach per raccontare il suo mondo: dalla voce soulful dolce e arrabbiata di Joshie Armstead nell'iniziale "I Took My Strenght From You" o la strabiliante "Us" sempre con Jo Armstead alla voce, che la rende ancora più rancorosa; un brano, quest’ultimo, che anticipa di venti anni buoni le canzoni del bellissimo Painted From Memories, che ha la sua continuazione nella successiva "Where Are You", aperto e chiuso da un fenomenale assolo di sax per opera di David Sanborn, quasi come fosse una canzone unica divisa in due parti.

Le strazianti parole di James Kavanough in "We Should Met Sooner" sono giusto mitigate dall'accompagnamento e dalla melodia ideata da Bacharach, laddove il ritornello è costruito come per dare un briciolo di speranza al testo cantato da Jamie Anders.

"No One Remembers My Name", con il testo di Hal David, sembra invece appartenere al songbook di Carole Bayer Sager e all'album citato all'inizio del post, ma lo precede di quattro anni, e le voci qui impiegate sono quelle delle coriste di Burt: Sally Stevens, Melissa Mackay e Marti Mc Call.

Da segnalare infine due composizioni strumentali che non fanno che confermare la grandezza di Bacharach, la title track "Futures", brano dalle sfumature funk, e "Another Spring Will Rise", un capolavoro coronato da un memorabile fraseggio al pianoforte, summa di tutta l'arte del compositore di Kansas City.

Concludendo la recensione, mi sono accorto di avere usato molte iperboli per descrivere Futures. Poco male, ne sarebbero occorse anche di più.