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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
13/04/2022
Live Report
Giallorenzo, 09/04/2022, Circolo Arci Biko, Milano
Uno stile comunicativo che sembra uscito da una striscia di Scottecs, i titoli strampalati dei brani, l’interazione col pubblico spontanea ed affettuosa, un non prendersi mai troppo sul serio, un locale pieno e un nuovo disco fuori. I Giallorenzo sono tornati e ci si sente di nuovo a casa.

Ci sono due momenti che hanno fotografato bene quel che accaduto l’altra sera al Biko. Il primo è stato quando è partita “Megapugno” e il pubblico nelle prime posizioni si è lasciato andare ad un pogo di quelli belli, tipicamente vecchia scuola. Il secondo è stato poco dopo, quando a causa di un piccolo problema al cavo della chitarra di Giovanni Pedersini, il gruppo si è dovuto fermare per qualche istante. Breve scambio di sguardi e poi: “Raga, ci siamo appena sciolti, arrivederci!”.

I Giallorenzo sono tornati. Super Soft Reset ha preso di sorpresa un po’ tutti, sicuramente il sottoscritto, che tra una cosa e l’altra non si era minimamente accorto che sarebbe stato pubblicato in tempo per la prima data da quasi un anno a questa parte. Per la verità i tempi sono stretti: venerdì il disco è fuori, sabato c’è il concerto, il tempo per assimilare i brani non è molto, tuttalpiù che al primo ascolto il materiale appare piuttosto diverso rispetto a quanto fatto in passato.

Vedere la gente pogare e saltare all’unisono al ritmo dei vari brani è stata una gioia; al di là di tutta la retorica che abbiamo utilizzato in questi anni, quella dialettica tra la tristezza dei locali chiusi e il calore delle prime, timide, ripartenze, essere pigiati all’interno di un club, faticare a vedere i musicisti sul palco troppo basso, sorprendersi ad ascoltare il singalong dei fan, sono tutte sensazioni che oggettivamente mancavano; la musica alla fine è questa roba qui, potranno anche uscire cento dischi al giorno su Spotify ma senza i live c’è solo un pallido surrogato, nulla di più.

E poi i Giallorenzo sono dei bei cazzoni. Il loro stile comunicativo che sembra uscito da una striscia di Scottecs, i titoli strampalati dei brani, l’interazione col pubblico spontanea ed affettuosa, un non prendersi mai troppo sul serio che è in singolare contrasto con l’urgenza con la quale trasmettono la loro visione del mondo. Questo e altro li rendono una band preziosa e indispensabile, indipendentemente da qualunque considerazione si possa fare su quanto sia up to date il genere che suonano.

L’ultima volta che li ho visti (che poi è rimasta anche l’unica) era il 2019, Milano posto di merda era appena uscito e ci aveva già folgorati, loro aprivano Le Capre a Sonagli al Serraglio, di lì a breve sarebbe iniziata la pandemia e quel concerto sarebbe rimasto in qualche modo a marcare il territorio.

Proprio per questo adesso, col locale pieno e il nuovo disco fuori, ho provato una fortissima sensazione di ritorno a casa.

L’apertura dei Garda 1990 è stato un altro bel regalo. La band bolognese ha esordito con l’ep Venti lo scorso anno, per cui non avevo ancora avuto occasione di vederla dal vivo. Se in studio non mi avevano convinto del tutto, in sede live risultano decisamente più incisivi. Dimessi nel look e rilassati nell’atteggiamento, il trio si produce in un set dove le canzoni di Venti si alternano con alcuni inediti. Intrecci strumentali di pregio, una malinconia emocore a metà tra Gazebo Penguins e American Football. Molto bravo il nuovo batterista, che dà ai vari episodi un tiro e una dinamica mica da ridere; c’è da migliorare un po’ a livello vocale e in generale l’impressione è che le singole canzoni, pur avendo momenti di pregio, non riescano mai a decollare del tutto. Sono comunque una realtà da tenere presente, anche perché di band che fanno quello che fanno loro in Italia non ce ne sono molte.

Il set dei Giallorenzo è incentrato sui brani del disco nuovo (che verrà suonato per intero) e comincia proprio col trittico iniziale “Any%”, “Corolla” e “Provarci”, che essendo uscita qualche settimana prima come singolo è anche quella più partecipata, coi presenti che già ne conoscono a memoria le parole. Personalmente ritrovo i quattro così come me li ricordavo: sporchi ma precisi, efficaci nell’interazione e quasi perfetti nella dinamica, con una sezione ritmica (Fabio Copeta al basso e Marco Zambetti alla batteria) che spinge da maledetti. Come a dire, per quanto l’etichetta Lo Fi continui (anche giustamente) ad essere usata per definire il loro approccio sonoro, quando stanno sul palco non mancano certo di precisione e sono tutt’altro che approssimativi. Il nuovo disco li ha aperti a nuove suggestioni, i brani sono più cupi, ci sono un po’ meno melodie nei ritornelli (anche se le cose memorabili non mancano) ed è stato fatto un uso maggiore delle chitarre distorte, oltretutto ribassate di un tono, come lo stesso Pietro Raimondi ha fatto notare verso la fine del set. È un po’ presto per tirare delle somme ma per quel che abbiamo potuto ascoltare in sede live e a giudicare dalla reazione del pubblico, si tratta di un capitolo che conferma la bravura di questa band nel costruire canzoni credibili dalla personalità marcata.

Poi ci sono i pezzi vecchi, suonati con quell’abnegazione che meritano e accolti con entusiasmo dai fan, che si divertono saltando e pogando, con qualche spericolato che osa addirittura uno stage diving. Considerate le dimensioni del locale e il fatto che non c’erano protezioni tra il gruppo e le prime file, è già un miracolo che non sia crollato tutto.

Resta che le canzoni di Milano posto di merda rimangono sempre entusiasmanti, e che ce ne sono alcune, tipo “Rasta che fa le foto” e “Condizioni meteo critiche”, che sono ormai dei classici minori della discografia indipendente italiana, oltre a rappresentare dei quadri a forte impatto di una Milano tenebrosa eppure in qualche modo stranamente accogliente.

I bis con “Il metodo Perindani”, “Bonti”, “Esselunga Stabbing” (col ritornello urlato da far crollare il soffitto) ed una conclusiva e terremotante “Rhydon”, rappresentano l’apice di una serata straordinariamente riuscita, degno inizio di una nuova fase per quello che, oggi come oggi, è un gruppo di cui non possiamo fare a meno.