Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
REVIEWSLE RECENSIONI
11/11/2019
The Menzingers
Hello Exile
Giunti al sesto album in studio, con “Hello Exile” i The Menzingers ripartono da “After the Party”, continuando a riflettere sulla perdita dell’innocenza, in un precario equilibrio tra nostalgia e resilienza.

Come i The Gaslight Anthem prima di loro, i The Menzingers sono quel classico gruppo che potrebbe indifferentemente condividere il palco sia con Bruce Springsteen sia con i Bad Religion, facendo felici i fan di entrambi. Ma differenza della band di Brian Fallon, che è implosa all’indomani del passaggio in major (con tanto di album prodotto da Brendan O’Brien), i The Menzingers hanno capito che per loro è molto meglio restarsene protetti sotto le ali di un’etichetta indipendente come la Epitaph (che comunque può garantire loro un’esposizione internazionale) piuttosto che avventurarsi dove l’acqua è alta e gli squali regnano incontrastati.

Nato come gruppo Ska-Punk una quindicina di anni fa, il quartetto della Pennsylvania con il tempo ha introdotto sempre più nel suo sound elementi di matrice Classic Rock, per una proposta musicale che è – in buona sostanza – un ottimo Punk operaio fatto di grandi melodie e tanta energia. Dopo essersi fatti le ossa nel circuito di Philadelphia, i The Menzingers hanno fatto il salto dopo aver pubblicato l’acclamato On the Impossible Past nel 2012, prodotto da Matt Allison (Alkaline Trio, The Lawrence Arms), un album che è stato in cima a molte classifiche di fine anno e che ha saputo coniugare l’urgenza del Punk con l’emotività e il senso di nostalgia del Rock. Nei lavori successivi i The Menzingers hanno perfezionato questo suono, adottando un approccio ancora più introspettivo (ma non per questo meno potente), in special modo in After the Party (2017), un disco nel quale la band racconta alla perfezione cosa voglia dire crescere e che cosa si provi durante quel delicato passaggio nel corso del quale un ragazzo si trasforma in un adulto.

Giunti al sesto album in studio, con Hello Exile i The Menzingers ripartono esattamente da lì, richiamando alla produzione Will Yip (Turnover, Title Fight, The Bouncing Souls, Quicksand) e continuando a riflettere sulla perdita dell’innocenza, in un precario equilibrio tra nostalgia e resilienza. Ma a differenza di After the Party, in Hello Exile vengono esplorate anche le ansie e le turbolenze politiche del presente – dopotutto, tre anni abbondanti di amministrazione Trump non sono passati invano. La ricetta proposta dai chitarristi e cantanti Greg Barnett e Tom May, dal bassista Eric Keen e dal batterista Joe Godino non si discosta di molto da quella dell’ultima manciata di dischi, ovvero canzoni con riff di chitarra croccanti, grandi melodie e tanto sentimento, ma il risultato non è un senso di déjà vu, ma anzi, è la continuazione di un preciso percorso artistico. Insomma, è come se in un universo parallelo Brian Baker e Mike Dimkitch dei Bad Religion si fossero uniti alla E Street Band al posto di Steven Van Zandt e Nils Lofgren obbligando Bruce Springsteen a scrivere canzoni con un bpm più elevato. Sulla carta sembra un’idea balzana, ma poi quando ci si imbatte in un disco dei The Menzingers, con quel mix di Punk, Americana, Roots e Rock infarcito di malinconia da cuore spezzato e onestà tipiche dalla Rust Belt, beh, per un bel pezzo non si vorrà ascoltare nient’altro.


TAGS: epitaph | HelloExile | JacopoBozzer | loudd | punk | recensione | rock | TheMenzingers