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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
22/11/2021
David Sanborn
Here & Gone
Here & Gone è un album molto importante per David Sanborn, perché rappresenta la consapevolezza di aver fatto un percorso musicale intenso senza aver mai tradito i propri riferimenti, che affiorano a mano a mano che si ascolta questo lavoro, ricco di intrecci e ospiti azzeccati.

Nella lingua anglo-americana l’espressione to clean (someone’s) clock, tradotto letteralmente “pulire l’orologio di qualcuno”, descrive un soggetto che ha sconfitto alla grande un altro.

David Sanborn ha piacere di usarla quando, sorridendo, racconta cosa in gioventù lo ha smosso e fatto crescere, fino a venire considerato il più importante sassofonista contralto degli anni settanta e ottanta, capace poi di proseguire senza sbavature una carriera colma di successi e collaborazioni fino ai giorni nostri.

“L’incontro e annessa jam con il grande Sonny Stitt (sassofonista contralto e tenore statunitense molto famoso nei sixties ndr) sono stati decisivi. Mi ha letteralmente pulito l’orologio facendomi capire quale ora fosse quella giusta: era l’ora di ritornare a scuola -di musica- e riconsiderare tutte le mie certezze nel suono dello strumento. La lezione più importante insegnatami da lui riguarda il riuscire a essere fluido in ogni tonalità”.

Ascoltare una simile professione d’umiltà da un artista che rappresenta l’eccellenza dello smooth jazz, anche se relegare Sanborn in quest'unico genere è un crimine contro l’umanità, non fa che amplificare la stazza di quest’uomo, che in sei decadi di attività vanta nel suo curriculum ventiquattro album, sei Grammy Awards e partecipazioni a svariati progetti, molti davvero sorprendenti, rendendolo simbolo del più scatenato crossover si possa pensare. La militanza nella Paul Butterfield Blues Band, le strepitose comparsate in dischi storici per David Bowie, George Benson e gli Eagles sono solo la punta dell’iceberg di un’incessante attività che l’ha portato pure a essere conduttore di una pregiata trasmissione televisiva e guest star in alcune mitiche serie, su tutte Magnum P.I.

Con una tale versatilità non poteva mancare la sua presenza nelle colonne sonore, ad esempio nei vari capitoli di Arma Letale, e nei supergruppi, vedasi i Legends, con Joe Sample, Steve Gadd, Marcus Miller ed Eric Clapton.

Proprio questi ultimi tre personaggi contribuiscono alla realizzazione di Here & Gone, pregevole lavoro del 2008, caratterizzato da un sound cristallino, studiato a tavolino insieme al produttore Phil Ramone, impreziosito dallo straordinario basso di “Force of nature” Christian McBride e dagli arrangiamenti gagliardi di Gil Goldstein, mago delle tastiere, impeccabile al Fender Rhodes, Wurlitzer electric piano e Hammond B3 in buona parte della raccolta.

Raffinatezza ed eleganza emergono già nell’opener "St. Louis Blues", ancestrale standard senza tempo contornato da una sezione fiati da brivido, fra cui il mitico Lou Marini -sì proprio lui, il sassofonista del Saturday Night Live e dei due epici film Blues Brothers- e il mago del clarinetto basso Charles Pillow. Il piatto forte è la maestria di Sanborn, nato a Tampa, ma cresciuto a Kirkwood, proprio nella periferia di St. Louis, che fa emettere al suo fido Selmer profumate note di classe, ma merita attenzione anche il breve, intenso, suadente “solo” di tromba da parte di Wallace Roney, una dolce carezza all’interno di una melodia trascinante, resa ammaliante dalle brillanti interazioni fra i musicisti.

Le radici di David attingono direttamente dal blues e ne è riprova il fatto che, appena quattordicenne, si esibì con Albert King e Little Milton. L’influenza di questo genere ha pervaso la sua produzione e affiora in modo chiaro nella stuzzicante "Brother Ray", composizione di Marcus Miller con un piacevole groove funky, ripescata per l’occasione dall’album Inside, del 1999. Il brano riceve un nuovo arrangiamento ed è impreziosito dall’ineffabile slide di Derek Trucks, special guest del disco come l’amico Eric Clapton, cui tocca invece "I’m Gonna Move To The Outskirts Of Town". Una canzone straordinaria, interpretata negli anni da decine di grandi artisti, qui resa magistralmente, nel suo incedere a metà strada tra jazz e musica del diavolo. Siamo abituati a stupirci per le pennellate di chitarra da parte del maestro Slowhand, tuttavia in questo caso lascia a bocca aperta la sua prestazione canora.

Un punto di forza di Here & Gone è Steve Gadd, perfettamente a suo agio dietro alle pelli in tutte le tracce; è difficile trovare aggettivi che non siano mai stati spesi per questo formidabile batterista, sicuramente la forte simbiosi tra doti tecniche e gusto raffinato lo rende unico, capace di adattarsi a qualsiasi ritmo mantenendo uno stile riconoscibile e nello stesso tempo originale. L’accattivante "Basin Street Blues", tratta dal repertorio di Luis Armstrong, sottolinea quanto scritto, evidenziando il tocco morbido di Gadd, in un motivo che è tutto un brillar di ottoni, capitanati da un padrone di casa in forma stratosferica.

Un’altra ispirazione importante nella vita di Sanborn è Hank Crawford, che viene ringraziato nelle note di copertina e omaggiato riprendendo la sua "Stoney Lonesome", in aggiunta ad altri due pezzi da lui interpretati in carriera, "What Will I Tell My Heart" e "Please Send Me Someone To Love", classico dei classici dell’incredibile Percy Mayfield.

Crawford fu pure direttore musicale di Ray Charles e quindi non a caso è riproposta "I Believe To My Soul" di quest’ultimo, dove Joss Stone ci ricorda meravigliosamente quanto amasse Janis Joplin e fa emergere il lato femminile in una canzone scritta da un punto di vista maschile. Il potere eterno e universale della musica si evidenzia proprio in tali dettagli ed è una delle ragioni che hanno spinto Sanborn a pubblicare Here & Gone che, pur essendo uno dei tanti incisi dall’artista, ha caratteristiche particolari e soprattutto mantiene intatta nel tempo la sua atmosfera nostalgica, quel desiderio di riappropriarsi del passato, di quei ricordi belli che ci rimangono nel cuore ed erano sintomo di felicità.

A terminare l’opera giunge "I’ve Got News For You", che chiude il cerchio e la rievocazione di epoche andate grazie a un altro brano registrato da The Genius, con la potente voce di Sam Moore. Un fiorire di fiati riporta alle Big Band in stile Duke Ellington e in questo modo il viaggio di David termina beatamente. Il tutto, come accennato sopra, ha un sapore malinconico, però vuole essere anche una ripartenza per il musicista americano che, in un dolce tuffo nel materiale da cui ogni cosa era partita, ha trovato una nuova energia, confluita nei successivi progetti e live acts. Time and the River del 2015 ne è la dimostrazione, con un duetto da brividi insieme a Randy Crawford in "Windmills of Your Mind", e le date di un tour americano nel 2022 la conferma, per un sassofonista che, nonostante alcuni recenti acciacchi fisici, ha ancora molto da dire e da dare. E pensare che, neanche undicenne, scelse quel particolare strumento a fiato come terapia per guarire da una malattia, consigliato dal medico di famiglia.

“A quell’epoca il rock and roll era tutto un'accozzaglia di assoli di sax, vedi Bill Haley, Fats Domino, Ray Charles e Little Richards, altro che la chitarra…e per me scoccò la scintilla: dannazione, datemi un sassofono! Scelsi il contralto semplicemente perché era più piccolo e pratico…”