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REVIEWSLE RECENSIONI
14/09/2019
Deadbeat Beat
How Far
In poco più di mezz'ora compilano una sorta di vademecum del genere, un compendio di melodie frizzanti e spensierate, tutte rigorosamente cantabili già dal primo ascolto.

Grosse Pointe è in Michigan, sulle rive dell'omonimo lago, a poca distanza da Detroit. Dovrebbe avere all'incirca 6mila abitanti ma non ho trovato dati troppo recenti, quindi il numero potrebbe anche essere cambiato. Non so come sia, ho guardato qualche foto a caso ma senza troppo impegno. È indubbiamente il classico posto come ce ne sono a migliaia negli Stati Uniti: periferia, provincialismo, anonimato, qualche probabile bellezza naturale. Posti sconosciuti agli stessi americani, a meno che non abitino nei paraggi. 

Per quanto mi riguarda, la conosco perché da lì vengono i Deadbeat Beat che, tra parentesi, ci hanno sempre tenuto ad essere precisi, nei loro riferimenti toponomastici. Detroit, probabilmente, sarebbe risultata troppo generica e troppo inflazionata, forse. E ci tengono anche a far sapere che stanno insieme dal 2004, un'eternità, ormai, conosciutisi quando ancora frequentavano le scuole superiori. Nella loro high school, anche questo lo ribadiscono con un po’ di orgoglio, non erano affatto popolari. Strano, diresti: suonare in un gruppo rock non era mica l'occasione migliore per circondarsi di tipi fighi e rimorchiare alle feste? Fino agli anni ‘90, è possibile. Il nuovo millennio ha portato altri modelli di status symbol, si è incominciato a parlare di Indie ed un certo tipo di musica è stata irrimediabilmente associata ad un modo un po’ nerd e solitario di vivere l'adolescenza. 

Comunque non lo so, magari semplicemente la loro musica faceva schifo a tutti o c’era una squadra di football fortissima o cose così. D’altronde, a chi può importare qualcosa? Probabilmente neanche a loro, visto che oggi Alex Glendening (voce e chitarra), Maria Nuccilli (batteria) e Zak Frieling (basso) le scuole le hanno finite e hanno raggiunto traguardi piuttosto rispettabili come musicisti. I tempi dei The Decks, la band dell'adolescenza, sono finiti, hanno messo in piedi di Deadbeat Beat e con “How Far” arrivano al terzo album (alcuni definiscono “Only Time Will Tell” un ep ma considerando che dura come molti dischi usciti negli ultimi anni, non saprei). 

Prodotto da Jeff Else, anche lui della zona e amico di lunga data del terzetto, “How Far” rappresenta indubbiamente la prova della maturità per i giovani americani. 

Più ruvidi e spigolosi agli esordi, pur se con una certa vena melodica a far capolino nelle canzoni (Matthew Smith, che gli aveva prodotto “When I Talk to You”, due anni fa, li aveva definiti una sorta di incrocio tra i Wire e Jan & Dean), Glendening e compagni hanno ormai abbandonato la vena Surf e la cupezza di certi passaggi, per approdare ad un Jangle Pop cristallino, dove solo la ruvidezza di alcune chitarre funge da richiamo a quel che erano fino al disco precedente.

In poco più di mezz'ora compilano una sorta di vademecum del genere, un compendio di melodie frizzanti e spensierate, tutte rigorosamente cantabili già dal primo ascolto. 

Che sia l'irresistibile feeling danzante del singolo “You Lift Me Up” (perfetta per le grigliate di Ferragosto, se solo qualcuno si fosse accorto della sua esistenza), l'apertura senza indugi di “Baphomet”, i coretti anni ‘60 di “From What I Can Tell “ e “The Box” (suggestivo il video di quest'ultima, che mostra la band alle prese con un live in uno scantinato, con tanto di riprese rigorosamente amatoriali), passando per una “Fair” che sa molto di California e a brani come “The Return” o “I'll Wait” dove non mancano richiami agli Ash, questo è un lavoro che non ha un minimo cedimento e che assicura godimento per l'intera sua durata. Con, addirittura, la ciliegina sulla torta di “Tree, Grass & Stone”, che si stacca dalla formula tradizionale per dilungarsi per otto minuti, la maggior parte dei quali sono occupati da ripetute schitarrate dal sapore lisergico, un po’ come si divertono ancora oggi a fare dal vivo i Wedding Present, un'altra band la cui influenza aleggia piuttosto evidentemente in queste canzoni. 

Insomma, non so dove andranno a finire, anche perché suonano un genere che non è mai stato così di nicchia come in questi ultimi anni, eppure i Deadbeat Beat sono un gruppo maturo, con una proposta priva di punti di novità ma declinata alla perfezione. 

Da approfondire, anche perché qui da noi sembra non essersene accorto nessuno. 


TAGS: alternative | DeadbeatBeat | HowFar | indie | loudd | lucafranceschini | recensione