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REVIEWSLE RECENSIONI
30/03/2020
Morrissey
I Am Not a Dog on a Chain
A tre anni dall’ultimo album di inediti, Morrissey torna con “I Am Not a Dog on a Chain”, senza dubbio il suo miglior lavoro degli ultimi dieci anni.

Diciamolo subito: non se ne può davvero più di leggere recensioni agli album di Morrissey che, invece di parlare del suo lavoro in termini strettamente musicali, preferiscono soffermarsi sulle sue esternazioni ­(con relativo sdegno); come se il diritto di espressione dovesse essere concesso soltanto a chi la pensa in un certo modo. Come ha scritto perfettamente Nick Cave sul suo sito The Red Hand Files, musica e politica sono due cose separate e forse «è meglio lasciare che Morrissey abbia i suoi punti di vista, sfidarli quando e dove è possibile, ma permettere alla sua musica di vivere, tenendo presente che siamo tutti individui in conflitto – disordinati, imperfetti e inclini a essere lunatici». Per cui, citando la recente “Spent the Day in Bed”, molto meglio starsene a oziare piuttosto che leggere certa stampa; un sentimento che l’ex Smiths riprende anche nella nuova “I Am Not a Dog on a Chain” («I do not read newspapers, they are troublemakers»), title track del suo tredicesimo album solista, primo di inediti dopo tre anni di silenzio.

Registrato in Francia assieme all’ormai fidato Joe Chiccarelli (al fianco di Morrissey da World Peace Is None of Your Business), che finalmente sistema certe scelte produttive infelici che piagavano gli album realizzati sotto la sua gestione, I Am Not a Dog on a Chain in termini musicali è forse uno degli album più avventurosi dell’ex Smiths e senza dubbio uno dei migliori della sua recente discografia. Costruito sulle fondamenta di Low in High School, dove al classico sound à la Smiths era stato aggiunto un tocco di Progressive e Glam, in I Am Not a Dog on a Chain Morrissey va ancora più in là, sperimentando anche con l’Elettronica e la Disco, e inserendo pure qualche loop di batteria e un inatteso tocco di Jazz.

Quella di mischiare le carte in tavola è un’intenzione che si riscontra fin dalle prime note del disco, dal momento che “Jim Jim Falls” si apre in odor di Jungle, con un insistente tappeto di tastiere, basso e batteria come mai si era sentito in un album di Morrissey. Ma non finisce qui, perché “Once I Saw the River Clean” sembra presa di peso dal catalogo dei Pet Shop Boys, mentre in “Bobby, Don’t You Think They Know?” Morrissey duetta con la regina della Disco Thelma Houston. E se in “Knockabout World” qualcuno ci ha sentito un tributo al Pop sintetico degli Yazoo, la lunga ed elaborata “The Secret of Music” sembra presa di peso da For Your Pleasure dei Roxy Music.

Scritto in gran parte assieme al chitarrista Jesse Tobias e registrato con la band che lo accompagna abitualmente in tournée ­– Gustavo Manzur (tastiere), Mando Lopez (basso), Matt Walker (batteria) e Booz Boorer (chitarra), più un manipolo di turnisti di lusso come Victor Indrizzo, Sean Hurley e Roger Joseph Manning Jr. – in I Am Not a Dog on a Chain ovviamente non mancano pezzi più vicini al sound che hanno reso celebre l’ex Smiths. La title track, “What Kind of People Live in These Houses?” e “My Hurling Days Are Gone”, al netto della produzione, sembrano infatti uscite dritte dal catalogo della band di Manchester, ma è proprio la loro presenza a far capire all’ascoltatore quanto Morrissey si sia allontanato dalla propria comfort zone durante la lavorazione di questo album.

A trentadue anni esatti dal primo album solista (Viva Hate), Morrissey ha vissuto tante vite, artisticamente parlando: i flop (Kill Uncle), i capolavori indiscussi (Your Arsenal e Vauxhall and I), gli anni interlocutori (Southpaw Grammar e Maladjusted), l’esilio a Los Angeles, il grande ritorno (You Are the Quarry, Ringleader of the Tormentors e Years of Refusal), un secondo esilio e un secondo grande ritorno (World Peace Is None of Your Business, con tanto di immediato litigio con la propria casa discografica). Ora, dopo l’ottimo Low in High School, in I Am Not a Dog on a Chain l’ex Smiths mostra ancora una volta – come se ce ne fosse ancora bisogno – quanto si senta a proprio agio nei panni del ribelle controcorrente. E se le polemiche lo portano ogni volta a pubblicare un album di questo livello – vivo, coraggioso, intelligente –, be’, meglio così. Tanto di guadagnato per tutti.


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