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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
28/10/2019
Lykke Li
I Never Learn
"I Never Learn" riflette un momento buio, una parentesi di vita che tutti, nel personale microcosmo emotivo, hanno vissuto, ma che nelle mani di un'artista può rendere la tragedia personale in parole e suoni che si fanno messaggio universale, percorso di salvezza, sublimazione.

L'arte, soprattutto nella sua accezione più sincera, nasce spesso dal dolore e dal tormento. Succede così che Lykke Li, giovane e talentuosa cantautrice svedese, abbandoni la strada del pop, che l'aveva portata alla ribalta con la saga adolescenziale dei vampiri di Twilight (Possibility del 2009) e a riempire il dancefloor con I Follow The Rivers (2011), remixata poi dai Magician, per cercare nuove strade. Un diverso modo espressivo, quindi, che le consentisse di mettersi a nudo e di rielaborare la sofferenza per una storia d'amore finita male, di confrontarsi e convivere con la perdita, il senso dell'abbandono, la sofferenza.

I Never Learn riflette un momento buio, una parentesi di vita che tutti, nel personale microcosmo emotivo, hanno vissuto, ma che nelle mani di un'artista può rendere la tragedia personale in parole e suoni che si fanno messaggio universale, percorso di salvezza, sublimazione. La bellissima cover del disco rappresenta alla perfezione lo stato d'animo di Lykke e suggestiona l'osservatore sui contenuti del disco: madonna addolorata, vedova inconsolabile, occhi persi in una plaga di buio in cui tutto è amarezza e rabbia, l'espressione di chi è prossima, o in balia, di un naufragio interiore. La totale assenza di colori, la vita che sembra sprofondare in un inverno senza fine e la percezione di inadeguatezza al mondo sono armi a doppio taglio, possono essere fonte di grande ispirazione ma possono finire per caricare di enfasi il messaggio, renderlo melodrammatico, privarlo di incisività. I Never Learn, invece, suona come un disco maturo ed equilibrato e in questo risiede la sua vera forza.

Una misura che si percepisce fin dalla contenuta lunghezza del disco (poco più di mezz'ora), come se Lykke volesse porre un argine a un dolore sempre a rischio di esondazione. In tal senso devono essere considerati anche gli arrangiamenti, non scarni ma certamente essenziali, volti all'esaltazione di un suono acustico a detrimento delle (poche) scorie elettroniche presenti. Un suono che scava l'intima essenza della melodia, puntando sulla voce della cantante, contenendo la ritmica all'indispensabile, azzerando beat e diluendo il pop in favore di una nuova natura decisamente e amaramente folk.

Non tutto è centrato e talvolta il songwriting perde fascinazione in favore di un linguaggio banalmente mainstream (Just Like A Dream). Trattasi però di piccole incertezze, la cui mediocrità è accentuata dall'essere accostate in scaletta ad autentiche gemme. Quando infatti Lykke riesce a dominare la materia, la scrittura si fa sincera, autentica, tradendo un disincanto e una disillusione che lasciano il segno: il folk arreso della title track, il goth pop di No Rest For The Wicked (all’altezza della migliore Lana Del Rey), la ruvida disperazione di Love Me Like I'm Not Of Stone, la miglior canzone del disco e una delle migliori ballad del 2014, sono di un livello qualitativo assoluto. Una volta tornato il sereno, Lykke Li riemergerà dall'abisso e imboccherà altre strade, con meno ispirazione, a dir la verità (So Sad So Sexy del 2018). Ma questa è un’altra storia.

A tutt’oggi, I Never Learn rappresenta l'episodio più riuscito della discografia della giovane cantante svedese: un'opera intensa, sofferta, colonna sonora perfetta per tutti coloro che vivono in balia dei propri tormenti interiori. The dark side of love.


TAGS: alternative | indie | INeverLearn | loudd | LykkeLi | NicolaChinellato | pop | recensione