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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
19/11/2017
Eddie Hazel
I once had a life…
A oltre sessant’anni dalla sua nascita, la storia dell’unico solista afroamericano che poteva rivaleggiare con Hendrix; Eddie Hazel, figura mitologica della chitarra elettrica, è oggi un eroe dimenticato di un tempo eroico per la Black-Music.

“Cerca… cerca di suonare come se tua madre fosse appena morta… suona così”

Poi il chitarrista si piega sullo strumento, socchiude gli occhi; attorno a lui solo un mormorio blues in lontananza. E il fruscio elettrico della tastiera; in dissolvenza. Non servono parole.

Il modo in cui George Clinton cercò di tirare fuori il meglio dal suo solista – immaginare la madre morta – oggi è solo un aneddoto sulla genesi dell’epica “Maggot Brain”.

Ma durante quelle sedute d’incisione, da qualche parte, nella Detroit dei primissimi anni ’70, Eddie Hazel fu il miglior chitarrista rock del mondo.

E lo fu, per fortuna di chi lo ascolta, proprio mentre il jack era inserito e le spie accese.

Tutt’intorno ci sono i neon tubolari, il fracasso della General Motors; vapori urbani e pioggia leggera.

La storia di Eddie Hazel inizia il 10 aprile 1059 a Brooklyn; da bambino canta nel coro, inizia presto a suonare la chitarra. Ad appena 12 anni conosce un bassista in erba di nome Billy Nelson, di un anno più giovane; con lui forma i primi complessi. Cinque anni più tardi sarà lo stesso Nelson ad introdurlo a George Clinton, pittoresco guru della nuova funky music in cerca di un gruppo che lo suppportasse in tour. Hazel e Nelson arrivano giusto in tempo per la prima hit, “(I Wanna) Testify”, R’n’B robusto pur senza troppa originalità: sarà comunque nella Top 20. L’inizio appare promettente e il giovanissimo Hazel si imbarca nell’affare: da allora la sua vicenda artistica sarà, nel bene e nel male, inscindibile (e spesso offuscata) da quella del grande personaggio George Clinton.

Al successo di “(I Wanna) Testify” seguono altri 4 singoli per la Revilot Record, ma nessuno entrerà in classifica; i Parliaments perdono rapidamente quota, anche perché la musica, sul finire del decennio, appare in rapido cambiamento: non è più epoca di quartetti vocali e doo-woop da sala da ballo, ma piuttosto da ballata acida per sit-in universitari; nel frattempo Eddie sviluppa uno stile ispirato tanto a Jimmy Nolen (allora chitarrista di James Brown) quanto alla nascente scena psichedelica.

La prima svolta arriva nel 1969, quando il gruppo si consolida attorno al nuovo progetto Funkadelic. Clinton ne è produttore, regista e autore: il focus musicale passa dalle armonie vocali ad essere tutto sulle spalle degli strumentisti che, liberi da ogni struttura-canzone di 3 minuti e senza l’assillo della hit necessaria, possono improvvisare liberamente su jam di psycho-blues incandescenti. La band firma per la Westbound e trasloca a Detroit, una delle scene più eccitanti d’America per il rock più puro e rabbioso. Hazel dominerà la prima “trilogia” del gruppo: Funkadelic, Free Your Mind… And Your Ass Will Follow e Maggot Brain.

Ma nel frattempo Clinton, in una fase di acuta schizofrenia, resuscita i Parliament: non sono certo più il gruppo vocale di qualche anno prima, ma rappresentano la parte R’n’B del leader.

Tra la fine del 1970 e il settembre 1971, i Parliament (che mantengono la stessa line-up dei Funkadelic) incidono 5 singoli e un album per la Invictus. “I Call My Baby Pussycat” (dicembre 1970), firmata anche da Eddie, sembra l’inno della band e la sua chitarra hard-funk può spaziare tra Beck ed Hendrix fino a trovare un suo stile. Intanto è entrato in gruppo anche il preparatissimo tastierista Bernie Worrel: con lui la chitarra di Eddie incrocerà le lame in duelli al limite del rock. Il secondo singolo, “Red Hot Mama” (febbraio 1971), è aperto da un collasso di feedback del chitarrista, che poi infila il riff più pesante della sua carriera: metallico, grezzo, a volume spropositato; la canzone diventa un po’ la “Whole Lotta Love” del gruppo, ma il successo ancora non arriva. L’album del luglio 1971, Osmium, contiene tra l’altro il funk tiratissimo di “Breakdown”, in cui Hazel conduce al galoppo tutti quanti, e l’epica spaziale “Livin’ The Life”. Eddie raggiunge l’apice della prima parentesi con i Parliament con “Come In Out Of The Rain” (settembre 1971), ballata politica in crescendo à la “Hey Joe” in cui il chitarrista è fluido, immacolato, perfetto; la canzone suona come una traccia dei Volunteers dei Jefferson con Hendrix al posto di Jorma Kaukonen.

Nel 1995 la Fantasy ristampa in CD Osmium col titolo First Thangs aggiungendo B-side e inediti come “Fantasy Is Reality”, soffice brano corale in cui il chitarrista ricama un lungo assolo pieno di effetti, colori sonori e fragili distorsioni, fondendo ed esasperando gli stili di Beck ed Hendrix.

Hazel è ancora più protagonista con il ritorno: il free rock lisergico di Free Your Mind… And Your Ass Will Follow raccoglie il testimone di MC5 e Stooges ed è trascinato in orbita dagli scontri esplosivi tra le tastiere di Worrel e la Stratocaster di Eddie, che marchiano a fuoco brani come “Funky Dollar Bill” e “I Wanna Know If It’s Good To You?”. Alla lezione psichedelica di Kaukonen e Arthur Lee, a quella dell’hard inglese, Hazel aggiunge una devozione che diventa quasi studio per il sound di Hendrix, mirabolante negli effetti ma appassionato e coerente nella melodia.

Il 1971 si chiude in gloria con l’opus magnum Maggot Brain, testimonianza dell’oramai matura concezione del funk-rock di Clinton. L’album passa alla storia per la traccia d’apertura: 10 minuti di commemorazione elettrica dai toni trasognati e drammatici; “Maggot Brain” è un soliloquio improvvisato di lucida dipendenza da stupefacente; dolente e introspettiva, sta al Rock come la disperata “Lover Man” di Charlie Parker stava al bebop. Ad un anno esatto dalla morte di Hendrix, Hazel sembra qualcosa di più di un erede designato: il suo plettro continua sulla strada tracciata dal maestro di Seattle, lo fa in modo personale, travolgente; una reincarnazione fulminante.

Cappello floscio a falde larghe, colli di pelliccia, vestiti variopinti: in piena “blaxploitation”, Hazel entra nel personaggio e il prepotente assolo finale di “Super Stupid” rimbomba come una raffica del mitra di Shaft. Come John Gilmore per Sun Ra nell’Astro Infinity Arkestra, Eddie è per Clinton una colonna sonora di fantasia cosmica e spiraliforme genialità. Maggot Brain entra nelle chart R&B e i Funkadelic, con Sly Stone e Isaac Hayes, sono i campioni rock del nuovo black power.

Quale fosse la potenza del gruppo dal vivo in questo momento lo dimostra un live pubblicato nel 2005 dalla Westbound: Live-Meadowbrook, Rochester, Michigan 12th September 1971. La performance di Hazel è stellare e “Maggot Brain” suona ancora più devastante che in studio. Stupefacente.

Ma a proposito di stupefacenti, il gruppo non faceva certo mistero di usare dosi massicce di allucinogeni d’ogni tipo per sperimentare nuovi confini per musica e mente. Il primo a farne le spese fu Tawl Ross, che quasi morì d’overdose nell’estate del 1971; poi anche il batterista Tiki Fulwood gettò la spugna, seguito a ruota da Hazel e Nelson che ruppero con Clinton per problemi contrattuali derivati dal loro costante stato di alterazione da LSD. A Maggot Brain seguono anni difficili, in cui Eddie è sempre più emarginato in una band ormai estesa a oltre dieci elementi; la sua presenza sui crediti degli album successivi è puramente formale: il chitarrista, di fatto, è fuori dal gruppo.

Bisognerà aspettare il 1974 e Standing On The Verge Of Getting It On per ritrovare l’artista lucido e ispirato di qualche anno prima; l’album è una bomba, Hazel è co-autore di tutti i pezzi (sotto lo pseudonimo Grace Cook, nome della madre) e recupera l’ispirazione tanto nell’armonia quanto nell’assolo; in coppia con il nuovo collega Ron Brylowski, il doppio assalto chitarristico è da manuale (vedi “Alice In My Fantasies”). Il disco è una sorta di summa di 4 anni di Funkadelic e non manca un nuovo esteso soliloquio di Eddie: “Good Thoughts, Bad Thoughts” è una pioggia leggera sulle corde acute, una primavera in ritardo che introduce il meditabondo sermone di Clinton.

Purtroppo, sarà un fuoco di paglia: quello stesso anno Hazel è arrestato per possesso di droga e per aver aggredito una hostess. C’è il carcere. Clinton non può aspettare ed entrano stabilmente in formazione Michael Hampton, Gary Shider e Ron Brylowski.

Eddie Hazel è di nuovo solo un nero, tossico, senza lavoro e, soprattutto, ancora sconosciuto al grande pubblico; surclassato dalla teatralità del live-act di Clinton & soci, rimane affogato nei meandri di un gruppo che può avere un solo leader. Passa qualche anno nell’anonimato a incidere per i Temptations. Come il protagonista del vecchio blues di Howlin’ Wolf, è solo un “povero ragazzo molto lontano da casa”; la musica, la sua bambina, sembra “morta e sepolta”.

Nel 1977 la nuova svolta: è il momento del primo ed unico album solista, prodotto da Clinton con l’aiuto della sterminata truppa dei redivivi Parliament, tra cui i vecchi amici Nelson e Worrel. Hazel raccoglie materiale sufficiente per almeno 3 LP: quello che ne esce è Game, Dames And Guitar Thangs (Warner Brothers, 1977), un tour de force strumentale su e giù per il manico della Fender. Sulle solidissime basi funky dei vecchi colleghi, il chitarrista dispiega tutti gli sterminati colori e distorsioni della sua Stratocaster. Se il songwriting non è sempre a fuoco, gli estesi assoli sono fantasiosi, personali e soprattutto mai trite imitazioni di “Maggot Brain”. L’ispirazione è in parte ripulita dalla ruvidità dell’hard e del funk; Hendrix è sempre il Nume, ma non più l’Hendrix di “Izabella” o della “Band Of Gypsys”, piuttosto quello rilassato e morbido di “Little Wing” e “Waterfall”; da qui Hazel si avvicina anche ai territori quasi jazzati dell’ultimo Peter Green o del Jeff Beck di Blow By Blow.

Se non che Eddie è rimasto un solista puro, un virtuoso dell’assolo che necessita di produzione “autoritaria” e di strutture armoniche scritte per supportare i suoi voli; nell’album si avverte che il solista si getta senza rete e i brani girano perpetui attorno a figure ultrafunky a volte mancanti di sviluppo coerente. Un senso di “precarietà” che però giova a dare ulteriore risalto alla straordinaria tecnica del protagonista. Dai ricami di “Frantic Moment” al funk-blues di “So Goes The Story”, Game, Dames And Guitar Thangs è uno dei grandi guitar-album dimenticati degli anni ’70, degno di stare alla pari dei lavori dei tanti discepoli di Hendrix sparsi per il mondo, da Robin Trower a Ritchie Blackmore a Frank Marino.

Ma fu anche, ahimè, un unicum; emarginato di nuovo nei P-Funk, che ormai allineavano una line-up sterminata necessaria al loro circo live, Hazel non seppe riciclarsi come band leader, né tanto meno come artista solista. La copertina, in pieno stile P-Funk, indulgeva ancora in iconografie da pellicola di Gordon Parks, con il musicista in vesti sgargianti che imbraccia la chitarra come se fosse un fucile; ma l’album era arrivato fuori tempo massimo. Il 1977 spaccò l’America in due: da una parte il boom commerciale della Disco, dall’altra il rock alternativo della Sire Records con Ramones, Dead Boys e Talking Heads; il poco spazio rimasto per i guitar-hero se lo prese tutto Eddie Van Halen.

Le collaborazione di Hazel con Clinton divennero sempre più sporadiche anche perché il suo stato di salute andava peggiorando: dolori allo stomaco, problemi di fegato, anni di alcol, droghe e Falsi Dei che ritornano, tremendi, a chiedere il conto. È la strenua e scontata lotta della rockstar di turno contro una Morte prematura e già scritta, che ad Eddie Hazel non concede nemmeno la grazia di una glorificazione postuma, concessa a tanti altri sconosciuti spettri come lui. Non fu una carriera fulminante e la sua fiamma si spense lentamente, “goin’ down slow” come cantava Jimmy Oden.

Morì l’antivigilia di Natale del 1992, dopo anni di dolorosa malattia, per emorragia interna dovuta a complicazioni epatiche. Aveva 42 anni.

Dopo la sua morte apparvero sul mercato alcune compilation che raccoglievano inediti del periodo di Game, Dames And Guitar Thangs. Prima un EP, Jams From The Heart, poi un CD di stampa giapponese, Rest In P (P-Vine, 1994), difficile da reperire ma di valore veramente alto che aggiunge ai 4 brani dell’EP altri 6 pezzi; oltre un’ora di musica forse ancora migliore dell’album ufficiale. Il suono è etereo e atmosferico, a tratti uno smooth-funk di gran classe, a tratti uno space-rock coloratissimo e interstellare. I brani cardine sono tre sterminate jam: “Juicy Fingers”, “We Three” e “No, It’s Not!”.

I 14 minuti di “Juicy Fingers” sono un’ emozionante, ininterrotta cascata di blues ipersonico, la sponda opposta di “Maggot Brain”: quanto quello era estemporaneo, meditativo e pieno di feeling, questo è estroverso, molto tecnico, pulito: Hazel è fluido, veloce, nitido; “We Three” è un esteso soul con una lunghissima coda strumentale in cui il chitarrista sfrutta tutto il suo arsenale elettronico per creare vortici di echo e delay che avvolgono lo spazio e risalgono altissimi la stratosfera. “No, It's Not!” si lancia fino a corazzarsi di metallo pesante nel lungo delirio finale.

Nel 2004 la Rhino ristampa Game, Dames and Guitar Thangs con 4 bonus track (cioè i 4 pezzi di Jams From the Heart); poi, a parte una trascurabile raccolta di demo (At Home, 2006) di nuovo il silenzio, fino al 2017 in cui la Cult Legends con A Night For Jimi Hendrix va a recuperare un live ad Hollywood del 1990 in compagnia dei Krunchy.

Progenitore della debordante scena funk-metal di Los Angeles, da Hillel Slovak (Red Hot Chili Peppers) a Tom Morello, dai Fishbone fino a Lenny Kravitz, Hazel non è riuscito a squarciare le ombre e ad imporsi veramente per quello che avrebbe meritato. Un fuoriclasse oscuro, misterioso; uno dei tanti portenti dimenticati di una musica con poca memoria e senza riconoscenza. Di lui non ci restano interviste, solo pochissime foto. Uno spettro; che lasciò sempre la parola al suo strumento. “Can You Get To That”, una canzone di Clinton datata 1971, dice più o meno: “Una volta ho avuto una vita, o meglio, la vita ha posseduto me”; questo accadde ad Eddie Hazel. Il suo talento fu a volte il posacenere per i mozziconi di droga e tabacco che gli divorarono il cervello proprio come larve d’insetto; ma da quelle larve spiegarono le ali meravigliose farfalle sonore, librate su cascate di note.

Fu il più grande. Almeno per un giorno. Accadde in un’ epoca lontana, in una sala d’incisione come tante. Da qualche parte, nella Detroit dei primi anni ’70. Neon tubolari; vapori urbani e pioggia leggera.