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REVIEWSLE RECENSIONI
18/05/2022
Vieri Cervelli Montel
I
Questo è uno di quei dischi che trascendono generi ed etichette, realizzati da musicisti per vocazione, al servizio della musica intesa come autentico linguaggio espressivo, come un qualcosa che non si limita ad essere un mero intrattenimento, ma che possiede un legame indissolubile con gli aspetti più profondi dell’esistenza.

Ho scoperto Vieri Cervelli Montel per puro caso, durante il tour estivo di Iosonouncane. L’ho visto aprire la data di Ferrara e poi, qualche settimana dopo, l’ho ritrovato a Genova. Suonava le sue canzoni, tutte ancora inedite, un tradizionale sardo (parte delle sue origini sono qui, oltre che in Normandia) e concludeva con un’interessante rilettura di “Almeno tu nell’universo” (che al momento era l’unica registrazione in studio disponibile). Da allora il suo è diventato uno dei dischi italiani più attesi dell’anno, tanto mi aveva colpito l’intensità di quei brani. Ci è voluto più tempo del previsto (all’inizio sembrava dovesse uscire lo scorso settembre) ma alla fine eccoci qui: I (Primo), prodotto dallo stesso Jacopo Incani, costituisce oltretutto il primo capitolo del catalogo di Tanca Records, l’etichetta da lui fondata per pubblicare dischi che siano in continuità con la sua visione artistica.

Ce n’eravamo già accorti ascoltandolo dal vivo ma ora che I è disponibile, la connessione è divenuta lampante: questo è uno di quei dischi che trascendono generi ed etichette, realizzati da musicisti per vocazione, al servizio della musica intesa come autentico linguaggio espressivo, come un qualcosa che non si limita ad essere un mero intrattenimento, per quanto alto, ma che possiede un legame indissolubile con gli aspetti più profondi dell’esistenza. Quand’è così, il tipo di linguaggio utilizzato passa in secondo piano, perché quel che conta è dare corpo a una visione, esprimere se stessi.

Nello specifico Vieri, che è del 1995 ed è nato a Firenze, ha studiato alla Siena Jazz University, quindi il background, almeno di base, è quello. Nella città toscana ha conosciuto il batterista Nicholas Remondino e il pianista Luca Sguera, che hanno girato con lui durante le date estive e che, assieme al bassista e contrabbassista Alessandro Mazzieri (che ha anche coprodotto l’album assieme a Jacopo e allo stesso Vieri) costituiscono il nucleo della band anche in studio.

Ad affiancare il quartetto c’è poi un trio di fiati composto da Jacopo Fagioli (tromba, flicorno, trombone), Francesco Panconesi (sax tenore) e Federico D’Angelo (sax baritono), più il violino di Nicola Manzan.

Con un organico del genere era abbastanza lecito attendersi una proposta poco canonica ed infatti è quel che è avvenuto: I è concepito come un’unica lunga suite da una quarantina di minuti, suddivisa in nove movimenti. Il cantautorato tradizionale viene usato come punto di partenza ma ogni episodio è poi destrutturato e contaminato con influenze che vanno dal Free Jazz all’elettronica (in uno spettro che varia dall’Ambient alla Techno), un risultato finale che, fatta salva la differente scuola di appartenenza, ricorda piuttosto da vicino sia lo sperimentalismo degli Swans che le scarnificazioni Electro Glitch dei National di Sleep Well Beast.

Il tutto a servizio di una narrazione autobiografica che parte dalla morte del padre dell’artista, avvenuta quando aveva sette anni, e approda ad una dimensione matura di se stesso e alla scoperta della vocazione di musicista. Racconto a volte asettico, a tratti crudo in maniera disarmante, un romanzo di formazione visto attraverso gli occhi di un bambino che si trova costretto a sperimentare troppo presto la dimensione drammatica dell’esistenza.

La costruzione dei vari episodi segue più o meno lo stesso schema, con la voce in primo piano all’inizio, da sola o più spesso accompagnata dal pianoforte, ed un riempimento progressivo mediante i vari strumenti, che spesso sconfina in una dimensione rumorista, a sommergere e a trascendere la melodia portante.

Il tutto è abbastanza omogeneo, anche perché è un lavoro fatto per essere ascoltato dall’inizio alla fine, coi singoli episodi che sono concepiti per essere contestualizzati nell’insieme. Ciò non toglie che valga la pena evidenziare alcuni momenti: “Maestrale”, interludio strumentale che richiama “Die” neanche troppo velatamente, col suo incalzare di chitarre, synth e fiati che suona come una marcia di conquista. “Risveglio”, ballata in bianco e nero supportata da una batteria elettronica, da un piano e da un synth di impronta minimalista e con un ritornello splendido. “Stanca”, piano e voce, strati leggeri di elettronica nel finale e melodia dolcissima. “Scale”, che è quella che lavora con maggiore efficacia sulla dialettica tradizione/sperimentazione, col suo inizio da classico anni ’70, cantato soffuso che comunica l’urgenza di recuperare le memorie dell’infanzia, un pianoforte che ricama un semplice giro di note nella parte centrale, preludio a tre minuti di rumore straniante, quasi a voler rappresentare l’inesorabilità del reale che monta e sommerge il fragile protagonista bambino.

E poi “Alba”, la traccia più sperimentale: percussioni, grida tribali, controcanto di synth che funge da contrasto, evoca di tutto tranne che la quiete che lascerebbe supporre; quando entra un coro di voci filtrate e uno spoken word dalla durezza devastante ripercorre la scomparsa del padre, così come percepita all’epoca dall’io narrante, abbiamo la certezza che questa sia un’opera che trascende la mera dimensione musicale.

Non un disco per tutti, richiede pazienza e disponibilità perché la voce dell’autore possa penetrare adeguatamente nell’anima degli ascoltatori. Non siamo più abituati, forse, ma credo sia esattamente ciò che Iosonouncane aveva in mente nel momento in cui ha deciso di fondare Tanca Records. Il cui cammino, a giudicare dalla sfolgorante bellezza di I, è iniziato decisamente nel migliore dei modi.