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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
18/07/2022
Live Report
Idles, 15/07/2022, Parklife Festival, Padova
Pur nella declinazione estrema e rabbiosa della loro performance, pur all’interno di una cornice da “Protest Music”, la proposta degli Idles è soprattutto una proposta d’amore. Sono anime belle che hanno scelto di suonare come principale manifestazione dell’amore che provano per se stessi e per gli altri, questo forte legame col pubblico che da sempre hanno saputo creare ne è una prova evidente.

Che gli Idles abbiano incrementato i consensi in questi due anni di pandemia lo si è visto anche dal fatto che le date italiane, di cui originariamente era prevista solo quelle di Padova, sono ora diventate quattro, con l'aggiunta di Milano, Roma e Grottaglie (in provincia di Taranto, nell'ambito del Cinzella Festival). D'altronde la band di Bristol in questa pausa forzata ha avuto tutto il tempo di riflettere e dedicarsi al lavoro di scrittura: sono arrivati due album in rapida successione, che hanno oltretutto messo in evidenza la volontà di distaccarsi parzialmente dal suono brutale e diretto degli esordi per esplorare nuovi territori e sperimentare soluzioni differenti.

Ci sono riusciti in parte: Ultra Mono è un grande disco, con un utilizzo eccellente delle frequenze basse ed una ispirazione trovata a tratti nell’universo Hip Hop. Crawler, al contrario, ha mostrato qualche flessione, l’idea di rallentare i ritmi e di concentrarsi maggiormente sulla resa atmosferica dei singoli brani risultava buona in partenza ma non è stata realizzata al meglio; l’impressione è che si tratti al momento del loro lavoro più debole e, a guardarsi in giro, parrebbe un giudizio piuttosto condiviso.

Che cosa possa volere dire per il futuro, francamente non ne ho idea: un mezzo passo falso di sicuro non preclude una carriera ma ad oggi pare piuttosto evidente che l’enorme consenso di cui gli Idles stanno godendo sia da ricondurre soprattutto alle loro incendiarie performance dal vivo. Se sono una delle band del momento lo si deve a questa loro capacità di mettere a ferro e fuoco il palco, prima ancora che alla qualità delle loro canzoni; il passaparola dei fan ha fatto il resto ed oggi appare chiaro come, di tutta l’ondata dei “nuovi gruppi inglesi con le chitarre”, loro rappresentino quelli avviati più rapidamente verso una dimensione mainstream.

 

La coincidenza con la data degli Smile in quel di Milano mi ha costretto a dirottare su Padova, ma non è stata una scelta così difficile, in verità: posto che la nuova band di Thom Yorke, Jonny Greenwood e Tom Skinner non sappiamo per quanto ancora rimarrà sulle scene, le ormai proverbiali limitazioni di decibel imposte dal comune di Milano per gli eventi all’aperto avrebbero reso un’incognita il concerto del Carroponte (anche se poi mi hanno detto che non è andata così male).

Vada per Padova, dunque: il contesto è quello del Parklife Festival, che è in realtà una rassegna (non so perché ci si ostini ovunque a chiamare festival cose che festival non sono, ma soprassediamo), situata nel rilassante Parco della Musica, fuori dalle mura della città e comodamente raggiungibile dall’autostrada. Il palco non è grandissimo ma è alto il giusto e l’area antistante, sebbene un po’ troppo compressa, con gli stand a ridosso dello stage a limitare un po’ il movimento, risulta nel complesso funzionale e vivibile. Aggiungiamo che, pur con l’ottima affluenza, non c’era chissà quale ressa, e possiamo concludere che il risultato è stato vivibile oltre ogni aspettativa.

Sorvolo rapidamente sui romani Calzeeni, che hanno aperto con una mezz’ora di Rock alternativo venato di Punk. Hanno di recente fatto uscire un EP in presa diretta, probabile anticipo di un futuro disco. Il loro è un set onesto e tirato, ci credono e sanno coinvolgere adeguatamente il pubblico, su questo niente da dire. A mancare, almeno ad un primo ascolto, è il repertorio, troppo banale e prevedibile. Vedremo che succederà in seguito ma al momento non me la sento di consigliarli.

 

Gli Idles arrivano alle 21.30 spaccate, come da programma, ed è il basso imperioso di Adam Devonshire a dare il via alle danze, con le note cadenzate di “Colossus” a risuonare nell’aria come una sentenza. Jon Talbot, insolitamente elegante con una sobria camicia bianca, comincia a cantare con la sua voce profonda e quando la band gli va dietro con cadenza marziale, il concerto ha veramente inizio. Tempo neanche un brano e il cantante invita il pubblico a dividersi in due, per scatenare il pogo nell’ultima parte della canzone, quando il ritmo accelera improvvisamente. Le indicazioni vengono seguite, pur con qualche esitazione, ma il risultato non è dei migliori. Bisogna anzi notare che quella padovana non è sembrata un’audience particolarmente incline a scatenarsi. Ad eccezione del casino nelle prime file, la partecipazione, pur entusiasta, è rimasta sempre molto composta, tanto è vero che per le ultime cinque-sei canzoni mi sono spostato a ridosso del palco e lì sono rimasto, senza per questo mettere a repentaglio la mia incolumità fisica. Si è trattato di un elemento non trascurabile, in definitiva: la band ha suonato alla grande come sempre ma in un loro concerto la spinta e la partecipazione dei fan è importantissima per creare la giusta atmosfera. Questa sera è stato bello, ma è mancato quel quid che ad esempio aveva reso incredibilmente selvaggia e distruttiva l’esibizione dello scorso giugno al Primavera Sound.

 

Gli Idles dal vivo sono comunque sempre una garanzia e anche stavolta non si smentiscono: innanzitutto un gruppo di amici, prima ancora che una band, sul palco danno mostra di divertirsi tantissimo e sprigionano una potenza non da poco, con Adam Devonshire e il batterista Jon Beavis a costituire una sezione ritmica devastante e i chitarristi Lee Kierman e Mark Bowen a macinare inarrestabili riff e fraseggi, sempre in movimento, sempre esagitati. Oggi Kierman è un po’ più compassato del solito (forse perché non è stata eseguita “Love Song”, che di solito è l’occasione per lui di andarsene a scorrazzare in mezzo al pubblico) mentre Bowen è il solito fantastico istrione, agghindato nell’ormai iconico vestitino a fiori, letale nelle sue parti quanto simpatico mattatore a suo agio sia sul palco che sotto (anche se rispetto agli esordi pare si sia dato una calmata, ricordo un concerto di alcuni anni fa, sempre al Primavera Sound, in cui aveva passato più tempo a fare stage diving che a suonare). Jon Talbot, infine, fa il suo e lo fa benissimo: non dotato di chissà quali capacità vocali, compensa le mancanze con un carisma invidiabile e con una presenza scenica da vero mattatore. Non è lui il principale punto di forza del gruppo, ma senza di lui il gruppo non sarebbe quello che è oggi, impossibile negarlo.

 

La scaletta è una versione ampliata di quella vista a giugno, con i brani degli ultimi due dischi a rappresentarne una buona metà. È un dato positivo, questo, perché il mese scorso avevo avuto l’impressione che i nostri da quel punto di vista avessero tirato un po’ il freno a mano, affidandosi maggiormente alla comfort zone dei vecchi brani, quelli con cui il pubblico ha maggiore confidenza e, inutile negarlo, considera anche quelli più riusciti. Invece, anche se manca un pezzo da novanta come “Modern Village”, le varie “Mr. Motivator”, “War”, “Crawl!”, “Car Crash”, “Kill Them With Kindness”, funzionano benissimo e risultano devastanti al punto giusto, coi cinque che, quando si lanciano nei loro mid tempo pesanti e cadenzati, davvero non fanno prigionieri.

Rendono bene anche gli episodi più lenti e cupi come “The Beachland Ballroom”, “The Wheel” o l’inattesa “When the Lights Come On”, al punto da far pensare che, anche in sede live, non per forza devono picchiare come fabbri per risultare convincenti.

Sul fronte dei vecchi cavalli di battaglia, impossibile non menzionare le terremotanti “Mother” e “Divide And Conquer”, la solita, irresistibile “1049 Gotho”, le mazzate proto punk di “Never Fight a Man with a Perm” e “Television”.

Col finale che è poi tutto dedicato alla celebrazione di quella che è la loro più profonda identità: il valore delle diversità e dei difetti di ciascuno (“I’m Scum”), l’empatia nei confronti dell’altro, declinata anche in chiave sociale (“Danny Nedelko”), l’antifascismo come condizione esistenziale (“Rottweiler”).

Non fanno mai bis ed è anche giusto così, l’ora e tre quarti che ci hanno dato in pasto è stata fin troppo densa di emozioni perché si possa desiderare altro.

 

Pur nella declinazione estrema e rabbiosa della loro performance, pur all’interno di una cornice da “Protest Music”, la proposta degli Idles è soprattutto una proposta d’amore. Sono anime belle che hanno scelto di suonare come principale manifestazione dell’amore che provano per se stessi e per gli altri, questo forte legame col pubblico che da sempre hanno saputo creare ne è una prova evidente.

Li aspettiamo col prossimo disco: l’auspicio è che riescano ad abbracciare una dimensione sempre più mainstream, senza tuttavia cedere sul lato dell’integrità artistica.

Comunque vada, al momento c’è davvero poco in giro che possa battere un live degli Idles.