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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
10/06/2020
Circolo Ohibò
Il Circolo Ohibò annuncia la chiusura ed è un danno incommensurabile.
Lo staff di Costello's ha fatto sapere che sono alla ricerca di una soluzione alternativa per potere presto ripartire. Noi ce lo auguriamo di cuore: non solo perché hanno lavorato benissimo fino ad ora e meritano di farlo anche in futuro, ma soprattutto perché [...] più che mai avremo bisogno di persone che hanno sempre messo in primo piano il proprio amore per la musica e la sua capacità di creare spazi comuni. Se ne usciremo, lo faremo anche grazie a persone così.

La notizia che l'Ohibò avrebbe chiuso i battenti mi era arrivata già da qualche giorno, portata da un amico che l'aveva avuta a sua volta da non so chi. Non ci avevo voluto credere ma ormai, ad ufficialità raggiunta, occorre accettare la realtà. 

Non so sinceramente perché stia scrivendo queste righe. A volte si inizia un pezzo spinti semplicemente dal bisogno, da una mossa strana che non si comprende ma che si deve assecondare. 

Ci sono diverse chiavi di lettura per analizzare la questione e scadere nei luoghi comuni sarebbe fin troppo facile. Ovviamente è alquanto probabile che la musica dal vivo, per come l'abbiamo conosciuta fino ad ora, non esisterà più. Nel nostro paese ci sono pochi locali, negli ultimi due decenni ne sono spariti di più di quanti ne sono stati aperti e i soldi continuano ad essere pochi. I concerti non sono i grandi eventi da decine di migliaia di persone, nonostante i media rilancino solo quelli. 

L’ha detto bene Vasco Rossi in una recente intervista, che lui può stare fermo un anno senza nessuna conseguenza. Per la stragrande maggioranza di artisti e addetti ai lavori non è così. Se n'è parlato poco in questi mesi perché quello delle arti in Italia è sempre stato un settore bistrattato, un hobby più che un lavoro, e le poche sovvenzioni che arrivano riguardano più che altro scomparti a torto considerati più “nobili” di altri, come ad esempio la Classica (ne ha parlato bene Sergio Messina su Rumore di questo mese). 

Ecco, diciamo che se c’è un ambito occupazionale che ha ricevuto meno attenzione di quello della musica in questi mesi di lockdown, è stato quello del sesso a pagamento, traetene voi le conclusioni che preferite. Per il resto, tutte le preoccupazioni che giustamente sono state esternate da più parti, hanno evitato con accuratezza di parlare di tutto quell'ambito che con la musica, per un motivo o per l'altro, ci campa. 

Io però non ho le competenze per entrare qui dentro. I diretti interessati hanno fatto partire qualche iniziativa e il tempo dirà se saranno efficaci. 

Quindi è impossibile per me dire se la decisione di chiudere avrebbe potuto essere evitata o meno, ed è anche superfluo sparare a zero su una politica che, più che ai suoi cittadini, è al servizio dei sondaggi elettorali. Come è sempre stato documentato dalla letteratura, da Tucidide a Camus, le situazioni di emergenza non fanno vedere niente di nuovo, semplicemente amplificano ciò che ognuno di noi era sin dal principio. E con arte e cultura questo Governo ha fatto esattamente quello che hanno fatto tutti gli altri: se n'è fregato. 

Allora credo che l’unica cosa che mi resta da dire è che la chiusura dell'Ohibò è un grande danno perché negli otto anni che è stato aperto è andato molto vicino ad incarnare il punto di confluenza di quella che potrebbe pure essere definita come una scena musicale. 

Ed è una cosa strabiliante soprattutto perché a Milano una cosa simile non c’era mai stata. Ci sono stati locali storici, come il Rainbow o il Rolling Stone, ma erano più delle venue dove entrava tutto ciò che passava in tour da noi, piuttosto che veri centri di aggregazione. A Milano, per dire, non c’è mai stato un equivalente del Circolo degli artisti. L'Ohibò, soprattutto da quando la gestione artistica è stata presa in mano dallo staff di Costello's, ha svolto quella funzione lì. In questi anni ci sono passati praticamente tutti, sia nomi che sarebbero spariti o che sarebbero perennemente rimasti di nicchia, sia quelli che successivamente sarebbero divenuti fenomeni di punta del cosiddetto It Pop, fino a sfondare la barriera del nazional popolare (da Frah Quintale a Mahmood passando per Tommaso Paradiso, io stesso ci vidi Calcutta alla sua primissima data milanese, quando “Mainstream” era uscito da poche settimane e c'era più gente fuori in coda che dentro). Bene o male, chi suonava in una band o da solista, ha fatto almeno una volta una data lì. E ci potevi trovare anche parecchi artisti tra il pubblico, a supportare i concerti dei colleghi (i Canova in questo senso erano degli abitué). 

Ma anche sul fronte estero sono state fatte grandi cose. A partire da quando Costello's si chiamava ancora Il Cielo Sotto Milano e poi Sherpa Live (staff un po’ diverso ma la sostanza era quella) e chiamavano a suonare i nomi che piacevano a loro, senza troppi calcoli di convenienza economica (il mio primo concerto in assoluto in quel locale fu quello della meravigliosa accoppiata Northern Portrait/Holiday Crowd che se ci penso ho ancora le lacrime agli occhi) fino ad arrivare agli ultimi anni, quando la collaborazione con promoter importanti come Radar e Dna tra gli altri, ha permesso loro di ospitare realtà come Cloud Nothings, Julien Baker, Geoff Farina, Alice Phoebe Lou, Ron Gallo, Micah P. Hinson, Föllakzoid, We Were Promised Jetpacks, Nothing, Gothboiclique, Sofi Tukker, solo per citare alcuni dei più recenti e senza menzionare i diversi che sono stati annullati (nei primi giorni della pandemia ci avrebbero dovuto suonare gli Algiers, giusto per fare un nome). 

Ma l'Ohibò era soprattutto un posto dove sentirsi a casa. Potevi vederti il concerto, imprecando contro il palco basso o la non proprio eccellente disposizione della sala, che in occasioni di grande affluenza rendeva alquanto ridotta la visibilità, ma potevi anche ordinare una birra al bancone, giocare a biliardo o a calcetto, fumare e chiacchierare nel cortile esterno. Ne ho visti tantissimi di concerti lì dentro ed era oggettivamente l’unico posto dove potevi intrattenerti anche a fine serata, senza che qualche buttafuori ti accompagnasse alla porta e senza che il dj set di rito (proposte sempre molto curate, tra l'altro) invadesse tutti gli spazi. 

Quindi, credo che al momento l’unica cosa da fare sia ringraziare chi ha reso possibile tutto questo. È durato otto anni, se sia molto o poco non saprei ma per otto anni abbiamo avuto un posto dove la musica era davvero al centro, un posto che allo stesso tempo apparteneva a tutti quelli che ci volevano andare. 

Non è il momento di fare analisi. È ovvio che pesino sia l'aspetto economico che quello politico, così come accennato all’inizio; ed è altrettanto ovvio che non sia possibile ignorare come l'Associazione che aveva preso in affitto gli spazi e Costello's che curava la programmazione, abbiano in queste ore emanato due comunicati separati, da cui traspare una sostanziale differenza di vedute. 

Ma, per l’ennesima volta, non siamo qui per fare speculazioni. La cosa più importante da ribadire è che, senza l'Ohibò, suonare a Milano per un grosso numero di band italiane e straniere con un target da poche centinaia di persone a serata, sarà praticamente impossibile. E che per un paese dove andare a sentire concerti non è certo tra le attività ricreative più diffuse e dove al di fuori di Milano, Roma e Bologna, l’attività musicale è decisamente ridotta se non del tutto assente, questo non potrà che rappresentare un colpo gravissimo. 

Lo staff di Costello's ha fatto sapere che sono alla ricerca di una soluzione alternativa per potere presto ripartire. Noi ce lo auguriamo di cuore: non solo perché hanno lavorato benissimo fino ad ora e meritano di farlo anche in futuro; ma soprattutto perché, in un periodo dove la crisi in cui stiamo per sprofondare sarà aggravata dall'incompetenza e dall'egoismo che imperano innanzitutto tra chi dovrebbe indicare una direzione da prendere, più che mai avremo bisogno di persone che hanno sempre messo in primo piano il proprio amore per la musica e la sua capacità di creare spazi comuni. Se ne usciremo, lo faremo anche grazie a persone così. 

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