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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
12/02/2024
Sanremeide
Il pagellone
Top e Flop a mo' di Pagellone sulla "settimana santa" di Sanremo, dalla acuta e pungente penna del nostro Giuseppe Provenzano.

“Gli italiani prendono le guerre come se fossero il Festival di Sanremo e il Festival di Sanremo come se fosse una guerra”

(Sir Winston Churchill)

 

Sì, lo so, Churchill potrebbe non aver mai neanche pensato una cosa del genere, ma l’aria da sparatoria all'O.K. Corral che si respira penso possa legittimare la citazione di cui sopra.

E la cosa stupenda (anche per questo “Sanremo è Sanremo”) è che a far discutere sono sempre, esattamente, le stesse vicende che succedono ogni anno. Identiche, uguali.

Mai stato un mistero che la sala stampa eserciti il suo potere, mai stato un mistero che questo potere pesi, spesso, di più di quello del televoto (ma ci arriveremo meglio). Chi si scandalizza per gli intrallazzi o abita sulla luna o fa finta di essere talmente candido da non saper stare al mondo, solo per alimentare polemiche e fare il D’Alema (vedi Terzo Segreto di Satira) della situazione, quello che non apre l’armadio che contiene lo scheletro, ma si limita ad indicarlo.

È il gioco del Festivàl, baby: la musica non è il fine, è il mezzo. E difatti, anche quest’anno, l’obiettivo è stato raggiunto con diabolica e matematica perfezione. In verità era già stato raggiunto all’annuncio dei partecipanti, col cast più acchiappone degli ultimi anni, quello capace di lasciare fuori intere scene (ma arriveremo anche lì) per portarsi a casa i campioni di streaming.

Anche in questo caso, chi si indigna per robe del genere o non ha capito il gioco o lo ha capito talmente bene da farne parte come ingranaggio.

 

Voglio rifare il discorso che ho fatto qualche giorno fa sul mio profilo FB: gli artisti e cantautori (per non parlare, ovviamente, degli ascoltatori) che si indignano per la pochezza dei brani sanremesi mi fanno sinceramente ridere. Non è quello lo spazio deputato per un certo tipo di musica, non lo è mai stato, e quando è successo tenderei a parlare di “incidenti di percorso”. Semmai, giusto per rigirare il coltello nella piaga, fossi in loro me la prenderei, per dire, con la direzione artistica del Club Tenco, che si continua a beare dei peggiori rigurgiti del suddetto festival al solo scopo di riempire un Ariston destagionalizzato, con le testate alla Rockit, che si fanno pagare un pacchetto di recensioni (spesso imbarazzanti), senza nemmeno redistribuire ai propri redattori, con gli organizzatori di Musicultura, che ogni anno raggiunge costi di iscrizione da rapina legalizzata. Quelle sono le cose che vi tolgono spazio, non un fenomeno di costume come Sanremo. Mi aspetto risposte degne della miglior D.C. anche in questo caso, ma tant’è.

Estrarre il Festival da quello che è (una baracconata ridondante di locura, giusto per citare Boris) per innalzarlo a cartina tornasole del degrado culturale è una cazzata che fa provincia, soprattutto se poi si decide di spogliarsi delle proprie responsabilità (aggiungo, malignamente, per semplice tornaconto) nei contesti in cui un miglioramento potrebbe effettivamente esserci.

E se fino a ieri ripetevo a mia madre (insegnante) che non c’è classe lavorativa peggiore della loro, disuniti in tutto, adesso dico che non c’è classe lavorativa peggiore di certo cantautorato “indipendente”, prontissimo a sorridersi a vicenda e azzannarsi alla prima occasione: “benedetta la complicità che unisce stocazzo” aggiungerei smembrando una canzone che mi spiace nessuno si sia preso la briga di correggere.

 

Poi, attenzione, adesso non voglio lanciare strali solo contro quegli artisti di cui, comunque, nelle rimanenti 51 settimane dell’anno, mi occupo io come tanti altri colleghi che fanno in maniera seria un lavoro non retribuito e che si devono sorbire le altrui paturnie per una settimana di “vacanza”, ci mancherebbe.

E quindi mi voglio divertire a fare un giochino, l’ultimo di questa “settimana santa”: una serissima, in reazione a tutte le prefiche degli “o tempora, o mores”, top& flop a mo’ di pagellone, partendo, ovviamente, dallo:

 

0, che va dritto dritto ai vertici Rai per l’ignobile, vergognoso, guerrafondaio, becero comunicato fatto leggere in diretta ad una Venier improvvisamente trasformatasi in un galoppino degno di “1984”.

1 Alla sala stampa. E qua mi si potrebbe obiettare che, quantomeno, hanno fatto vincere la canzone effettivamente migliore del lotto (sì, l’avrei votata anche io, nda). Vero, verissimo, come d’altro canto, hanno già fatto tante volte. Ma, avendo anche una minima contezza dei figuri che circolano lì dentro e di quanto potere alcuni di questi figuri abbiano (tipo, citando Monina, i “pool guys” che stanno al divano della suddetta Venier, se volete i nomi per iscritto: Dondoni, Laffranchi e Giordano), nessuno mi toglierà dalla mente che è la stessa gente che ha dato almeno un braccio a Geolier per vincere la serata cover (col solo televoto dubito ce l’avrebbe fatta) per poter creare a regola d’arte tutto un turbinare di odio e livore sulle spalle di due ragazzi di vent’anni e rimanere comunque dalla parte “giusta” salvando il cucuzzaro.

2 Al livello medio delle canzoni. E non perché fossero brutte, anzi. Proprio perché, con le debite eccezioni di cui dirò più giù, erano di una mediocrità disarmante. Su 30 brani in gara, almeno 20 erano, per arrangiamenti, dinamiche e suoni, perfettamente identici. Se ne sarebbe potuto allegramente fare a meno, dai Bnkr44 che sembrano una sezione di provincia dei Giovani Democratici (e immaginate quanto possa essere infame la sorte, più che altro a far parte dei GD) all’ormai ribattezzata La Sert, passando per un Mr. Rain sempre più inquietante, una Rose Villain che sceglie di essere né carne né pesce, un Sangiovanni talmente tremebondo da indurre il suo omonimo celeste alla querela per diffamazione, un Irama che ha “cantato” per tutto il concorso con uno scoiattolo in gola ed un Gazzelle che ha preso Sanremo con lo stesso brio con cui si prende una passeggiata dal commercialista.

3 Al livello dei testi delle suddette canzoni. A tratti da denuncia, quantomeno da revoca della licenza elementare. Stormi di autori per scrivere testi che manco un quattordicenne alle prese col primo onanismo. Ecco cosa succede a far scrivere canzoni a gente che potrebbe a mala pena fare disegnini con i pastelli a cera.

4 Al reiterato greenwashing di cui le alte sfere Rai continuano a farsi portavoce. Cosa, questa, che, comunque, soprattutto alla luce delle altre posizioni espresse in seguito, non mi stupisce più di tanto.

5 Alla direzione artistica ed alla scelta dei brani. Intendiamoci, a livello di freddi numeri è chiaro che abbiano ragione loro: hanno vinto e si sono rivelati fenomenali nel fare il loro mestiere. Però, come dicevo sopra, c’è stato un progressivo imbastardimento nella filosofia delle scelte: s’è passati dall’essere il Festival che ha consacrato ColapesceDimartino, Levante, Truppi, Willie Peyote, Madame all’andare a pescare solo fra i campioni di streaming (su questo discorso, sulla effettiva validità di quegli ascolti, poi chiaramente potremmo stare a discutere per mesi, ma almeno in questo caso non è il nostro argomento principale), chiudendo, di fatto, le porte ad una intera scena. E allora diventa sempre più fondamentale (e toccherebbe a noi del settore) ricordare quanto “la musica che gira intorno” sia anche, e forse soprattutto, altra oltre a quella in mostra nella vetrina rivierasca. Come ad esempio tutto il filone rock, talmente rivitalizzato dalla vittoria dei Maneskin da essere del tutto raso al suolo nelle edizioni successive. E non che le proposte non siano arrivate, vedi i Marlene Kuntz lo scorso anno. Così come, per dire, maggior chiarezza andrebbe fatta sulla discriminante “big/ giovani”: perché, per dire, un Alfa o un Maninni si sono trovati direttamente fra i big, ed una realtà ben più consolidata come i Santi Francesi sono dovuti passare da Sanremo Giovani? Così, tanto per chiedere.

6 Esattamente come le canzoni un po’ sopra la media. A partire, ovviamente, da Angelina Mango e “La Noia”, a cui non mancava nulla: voce, e voce pulita, presenza scenica, produzione (un Dardust che si conferma quasi priapico rispetto al resto della scena), testo (sto rimanendo senza voce a sottolineare ancora che fenomeno sia Madame), continuando con l’alt- pop dei Santi Francesi, che non è nulla di innovativo, ma è fatto benissimo ed in maniera credibile e fresca, con un Mahmood che è maestro di suoni e dinamiche (oltre ad avere, sul bridge del pezzo, anche uno dei pochi passaggi melodici interessanti del festival, soprattutto in rapporto ad una progressione armonica normalissima), con un Diodato che è sempre una carezza sul cuore e con Dargen e Ghali che rincontreremo più avanti. Tutto sommato salvabili anche Mannoia e Bertè, che la portano a casa d’esperienza, e i The Kolors, che fanno sempre la stessa cosa, ma quantomeno la fanno bene. Poi davvero poco altro.

7 Alla dignità con cui Geolier ha risposto ai fischi. Solo a quella, la canzone mi è inconsistente. Ma la sua compostezza merita tutti la stima immaginabile. S’è dimostrato più uomo lui di tutti gli imbellettatissimi figuri del pubblico.

8 A conduttore e co-conduttori: proprio perché è un fenomeno di costume, si deve guardare a tutto il contorno. E il contorno non era mai stato così gradevole dai tempi di Baglioni con Favino e la Hunziker o Bisio e la Raffaele. Un Fiorello deluxe, la Mannino più fuori di un balcone, una Cuccarini sempre impeccabile e un Mengoni che mi ha francamente divertito anche nei solitamente cringissimi sketch Rai. Peccato per le durate da sequestro di persona, ma tant’è: torneranno tempi migliori, o magari finiremo per rimpiangere questi.

9 A voi che siete arrivati fino a qua a leggere gli sproloqui di uno che, quando vuole, sa essere simpatico come un acufene.

10 A Ghali e Dargen D’Amico. Perché si capisca, oggi più che mai, che anche l’arte è una questione politica, che è diritto dell’artista essere libero, totalmente libero, senza dover accettare compromessi, senza dover arretrare, ritrattare o fare passi indietro. Tutto lì.