Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
23/04/2018
QuébecRockSampler
Introduzione
La prima guida al rock francofono canadese

Je vous entends demain Parler de liberté

Gilles Vigneault

 

 

Non sono mai stato un fan del "Progressive" in senso stretto.

Yes, King Crimson, Genesis ed altri li ho ascoltati più per senso del dovere che per passione. Ed anche il folto sottobosco Vertigo o Harvest l'ho frequentato più per completistica curiosità che per vero interesse.

Ho spesso avuto riserve su un certo messaggio che ho letto sotteso a tanto prog. Un messaggio che, probabilmente sbagliando, ho sempre associato al disimpegno, al conservatorismo opposto alle fatue libertà del 1967, legato addirittura al collaborazionismo, fino a certe istanze superomistiche care alla destra.

Ebbene non sono qui per redimermi o smentirmi. Non del tutto.

Perché, sotto sotto, nell'eterogeneo mondo del prog, c'è anche un trasversale filo rosso che mi ha sempre affascinato più di quanto io stesso non sia disposto ad ammettere, un filo rosso fatto di devozione per la musica colta, per la storia, per il romanticismo e il fantasy nelle sue più svariate forme.

Ciò di cui avevo bisogno era un territorio vergine, uno spazio ampio da considerare nel suo insieme e nella sua unitarietà, molto più notevole della mera somma di tanti singoli.

Con la scena di Canterbury già ampiamente sviscerata e la vera passione che negli ultimi hanno ha investito il kraut rock e il prog italiano, mi sono rivolto a quello che è oggi - perchè presto ne scopriremo un altro, vi garantisco - l'ultimo baluardo vergine tra i variopinti mondi del prog: il Québec.

Ed ecco già in partenza la prima semplificazione.

Perché in effetti era solo un mio pregiudizio l'immaginare la scena del Québec come devota unicamente al "genere prog".

In realtà, addentrandomi nell'argomento, ho scoperto una proposta assai più composita e variegata, nella quale il prog era solo un semplice denominatore, più o meno comune, adottato più per comodità che per reale corrispondenza musicale.

Dall'originale "QuebecProgSampler" che avevo pensato come titolo di prima battuta, ho quindi dovuto cambiare, pensando a "JoualRockSampler", assumendo come carattere peculiare l'adozione dello slang anglofrancese, joual appunto. Ma anche questa sarebbe stata una semplificazione eccessiva, nonché una notazione assai poco comprensibile. "MonrealRockSampler", con pronuncia alla francese? O qualche altra tipicità locale?

No, allora meglio il semplice, immediatamente comprensibile Québec, inteso come unità sociale ancor prima che geografica; rock, nell'accezione più variegata di musica per le "nuove generazioni".

L'interesse per questo argomento infatti è nato, oltre che dalla musica, dalle peculiarità culturali e storiche di questo paese. Un'enclave europea, potremmo addirittura dire latina, cattolica, in un continente anglosassone, protestante, sottoposto alla pesante egemonia statunitense. Una regione che ha percorso una strada tortuosa ma sempre di grande dignità verso l'indipendenza, o almeno verso il pieno riconoscimento di sè, in una stagione segnata anche da scontri, da lotte, fiere opposizioni, nonché dalla musica, oggi grande testimonianza di quell'epoca.

Un percorso che rientra probabilmente nella trasversalità delle rivendicazioni degli ultimi anni '60, in un primo esempio di globalizzazione di sentimenti, aspirazioni e mode che oggi ha ampiamente dimostrato tutta la sua futilità, ma che all'epoca non mancò di segnare, in occidente, il proprio slancio utopistico.

Utopia, che fossero le canzoni di protesta di Joan Baez, di Woodstock, di Gilles Vigneault o dei menestrelli proletari europei che cantavano il '68 studentesco.

E forse, alla fine dei sogni, ognuno fa i conti con l'alba di una nuova giornata; ogni comunità, ogni libero associazionismo, ogni fazione politica ha il proprio risveglio. E se la nemesi dell'utopia sta spesso nella realtà, anche in musica ciò che seguì ai mega raduni acidi, alle "protest song", al rock politicizzato, va ricercato nei fatti e nelle persone, analizzando quel controverso periodo di simulazione, disimpegno e restaurazione - apparenti o reali - che furono i primi anni '70.

Ecco, in Québec, l'avventura musicale del rock francofono e degli chansonnier che lo hanno preceduto, fu colonna sonora ed oggi è in qualche modo l'eredità di una stagione che ha davvero visto "uomini in marcia" - parafrasando un titolo dei Morse Code - non per capriccio di qualche studente fuoricorso o per la posa artatamente alternativa di discutibili leaders politici, ma per un desiderio di libertà e di indipendenza che qui - da osservatore distante nel tempo e nello spazio - mi azzardo a definire sincero.

Un'avventura che copre quella dozzina di anni immediatamente successivi alla Rèvolution Tranquille (la Quite Revolution della cronaca anglofona) idealmente compresi tra l'Expo universale del 1967 a Montreal ed il referendum indipendentista del 1980; riferimenti non musicali ma dall'impatto emotivamente dirompente su tutta una comunità, sui suoi sogni, le sue lotte, le aspirazioni ed i bruschi risvegli.

In questo periodo, l'avventura più strettamente progressiva si consuma tra il 1971 e il 1977, preceduta da una breve ma gloriosa parentesi di estremismi psichedelici d'importazione e sperimentalismi dimenticati, e degenerata, negli ultimi anni 70, in ritmi dance e (ottima) fusion.

Nella scrittura di questi testi, sparsi per ora tra blog e social, mi sono presto scontrato con difficoltà operative, previste di sicuro, ciò non di meno limitanti.

La prima, quella determinante: la difficile reperibilità di molti dischi; l'accesso alle informazioni, che sono frammentarie, inattendibili, a volte perfino fuorvianti.

La seconda: immergermi in un tempo ed in una latitudine che non mi appartengono, non studiati a scuola, mai incontrati in precedenza.

Perché l'intento di QuébecRockSampler è quello di proporre non solo una carrellata di nomi, cognomi e titoli, ma di collocarli in un contesto il più dettagliato possibile e magari anche in una prospettiva, se non storica, almeno cronologica.

Per fare ciò ho scelto di operare su due binari ben distinti.

Il primo: l'ascolto.

Ascolto spesso nudo. Digitale, impersonale, freddo, senza introduzioni nè avvertimenti. Ma proprio per questo neutrale, al riparo da facili preconcetti e giudizi. Piacevole per il gusto della scoperta.

Il secondo: l'indagine storica. Indagine, per quanto possibile, verificabile, approfondita, basata sui dati e sulla ricerca attenta delle fonti e delle bibliografie, senza paura di intraprendere contatti e relazio con chi più di me ha vissuto e conosciuto quegli anni.

Il collante tra questi due binari lo fanno le storie degli uomini che hanno prodotto musica e si sono esibiti in quegli anni; le storie di personaggi cui nomi non sono quasi mai citati dalle top ten e che ancor meno sono approdate sull'altra sponda dell'Atlantico.

Il risultato è un viaggio personalissimo e certo incompleto attraverso i nomi e i titoli di artisti ed opere che sarebbe bello riascoltare, se non per reale passione verso il loro stile, per imboccare la strada che porta al riconoscimento pieno della globalità e della multiformità d'aspetto della musica rock.

 

La musica degli Uomini

Terra degli uomini.

Una terra per gli uomini.

Il diritto di rivendicare, non solo per sé, ma per la propria comunità, la terra che calpestiamo, che diventa nostra, che sarà nuova nazione.

A Man And His World.

L'uomo e il suo mondo, A Man And His World appunto, fu il concetto portante di Expo ‘67, la grande esposizione universale che nel 1967 fu ospitata da Montreal. Un evento chiave nel processo di presa di coscienza del Québec che andava riconoscendosi come “terra nuova”, per un nuovo popolo.

Un nuovo umanesimo che troverà eco proprio nella folgorante parabola del rock progressista francofono.

La terra degli uomini, scritto autobiografico di Saint Exupery era il vademecum di quell'evento e da quel testo fu estrapolato il motto dell'expo.

 

Etre un homme, c'est sentir, en posant sa pierre, que l'on contribue à bâtir le monde.

 

Nella presa di coscienza di un popolo intero, anche la germinazione e il consolidamento di un movimento nazionale di musica popolare - prodotto da uomini che avevano trascorso infanzia e adolescenza nell'epoca riformista della Quiet Revolution ed avevano assistito in prima fila ai tumulti culminati nel mese nero dell'ottobre 1970 - giocò un ruolo non secondario.

Quel ruolo è una determinante peculiarità del Québec Prog.

All'apogeo della propria parabola, il movimento rock del Québec è stata esperienza collettiva e condivisa di cooperazione e riconoscimento reciproco che ha interessato pressoché tutta quanta una generazione di musicisti; è stata musica di rinascimento, o meglio di “nascimento”, nuova generazione. Nascita e rinascita. Una musica di umanesimo esplicito.

Lo è stato anche nella scia di quel Man And His World.

Lo è stato principalmente nel contesto di fondazione di una nuova identità linguistica, sociale, politica. Di una nuova nazione, di una terra indipendente che potesse riscattare il suo essere minoranza in un continente sì sconfinato, ma per gran parte 'polare', virginale, ancora frontiera per comunità di buona volontà.

 

Sur un continent, plein de gentes anglais, il fail bon se retrouver sur un mouraceau de Terre, avouons-le, assez vaste, dans une salle de spectacles où l’on puisse parler, fumer, boire, pleurer, s’amuser ou s’engueuler faire sa propre musique et en français : <<c’est-y assez fort!>>

Sloche - J’un Oeil - note di copertina

 

È nascita e anelito umanista nei nomi dei gruppi (Av’nir, Les Temp, La Nouvelle Frontiere), nei titoli degli album (La marche des Hommes, Procreation...) e delle canzoni. Anche nell'iconografia, vedi la clamorosa copertina di Contraction.

 

Pendant que Montréal dormait, le printemps se glissa lentement dans son lit en pensant que les grands changements se font toujours la nuit.

Serge Fiori – Note di copertina a Les Cinq Saisons

 

Partendo spesso dall'utilizzo di matrici musicali folkloristiche (Harmonium), della tradizione, il genere si consolida attraverso originali esperienza di arte cooperativa (L’Infonie, Ville Emard) e trasversali (Conventum). Senza rinunciare ad una forma-canzone mai del tutto rinnegata, la riveste di strati di sogno e innumerevoli colori strumentali, traghettandola verso un “nuovo progressive”, certo di matrice britannica come modello generale e generico di riferimento, ma approfondito, complicato e arricchito da istanze sociali e nazionali non trasferibili né trascurabili e dunque schiettamente originali. È questo surplus che garantisce peso specifico e particolarità all'imponente corpus musicale prodotto dai grandi gruppi al loro apice. Un surplus di “impegno”, di res publica già recepito  dai corrieri cosmici del Kraut e troppo spesso trascurato dalle derive cerebrali ed intellettualoidi inglesi, almeno dei nomi di prima linea.

Ma quello del Québec è rock progressista più che progressivo.

Tra la provincia francofona e lo stile di “rock romantico” europeo fu in effetti amore a prima vista.

Larry LeBlanc, direttore per il Canada di Billboard Magazine, propone una chiave di lettura “linguistica”, per cui band devote ad ampie parti strumentali sarebbero state più facilmente assimilate da una comunità principalmente francofona, che difficilmente avrebbe compreso a pieno una forma canzone fortemente basata sulla “parola cantata” in lingua inglese. Un'interpretazione questa da valutare anche nell’indagine di altre scene nazionali non anglofone (quella italiana in primis).

Non bisogna poi dimenticare che a differenza degli Stati Uniti e del resto del Canada, in cui la musica popolare del recente passato era direttamente derivata dal rock ‘n’ roll, dal blues, dalla british invasion, la recente tradizione della musica popolare in Québec manteneva un solido contatto con la “chanson” d'autore di stampo francese: Brèl, Brassens, Piaf, magari filtrati e diffusi dalle proposte di autori locali Jean-Pierre Ferlando di Renée Claude. Secondo Bobby Boulanger, deejay alla CHOM, nella musica progressiva britannica era ancora presente una matrice romantica affine allo spirito degli chansonnier, pur affiancata a stilemi più tipicamente rock e appetibili al pubblico giovane.

Leslie Sole, program director alla CHOM e Juan Rodriguez, critico del Montreal Star, propongono addirittura un’interpretazione “religiosa” e quasi psicoanalitica del fenomeno, secondo cui la musica di King Crimson, Gentle Giant, ELP, maestosa e condotta da ampie tastiere, avrebbe ricordato ai musicisti canadesi le cerimonie e il suono dell’organo nelle chiese cattoliche della loro infanzia.

La realtà è probabilmente, come spesso avviene, la somma di tutti questi fattori che hanno come unico denominatore il tentativo di smarcarsi dal resto di un continente quasi per nulla interessato al rock progressivo o alla canzone non in lingua inglese. Una scelta che ribadisce il desiderio di autonomia ed indipendenza di una giovane nazione che andava costruendosi e con si sentiva affatto parte del resto del continente nordamericano.

Di certo il progressive è tra i generi comparsi alla fine degli anni ’60 il più lontano e il più inconsuete nel continente americano; un territorio devoto alla frontiera, ai suoi eroi, ad una mitologia giovane, ai riti della strada, della periferia,

Il Prog è figlio dell’Europa, della sua letteratura, del suo Romanticismo, di quelle pulsioni di cui in nuovo “individuo Quebecois” si sentiva parte ancor più che del resto del limitrofo Canada.

Il progressive è un genere costruttivista quasi per definizione; in grado di generare mondi utopici, città fantastiche e società futuribili, a partire dalle radici di un passato spesso oscuro ma sempre secondo una prospettiva storica. Non si costruisce certo una nuova patria con il punk o sballati di LSD.

Il prog, così come tante opere della scena di Montreal, non è una musica che nasce in strada - ma quale musica fatta per essere commercializzata lo è veramente? - così come potrebbe intenderla un Joey Ramone, un Lou Reed o un Iggy Pop; anzi è la musica dei college, delle università, spesso dei conservatori. Dai conservatori e dalle università sono usciti Rejean Yacola, Michel Georges Bregent, Jean Sauvagnout e Pascal Languirand

Ma, a differenza di altre esperienze “nazionali” che troppo spesso sono degenerate tanto da divenire avulse dalla realtà sociale della loro epoca, quella canadese non rinuncia al confronto politico, non rinuncia a proporre e rilanciare certe istanze emerse dalla Quiet Revolution, non rifugge l'agone pur deponendo le armi della guerriglia; si fa portatrice di un messaggio di rinnovamento che pone l’uomo al centro; e nuove terre attorno a lui. Un atteggiamento chiaramente borghese, dichiaratamente colto, anche se mai meramente autoreferenziale. Borghese come del resto fu, ad un esame critico, il moto intero sorto attorno all’indipendenza del Quebec.

 

La vérité, ce n’est point ce qui se démontre. Si dans ce terrain, et non dans un autre, les orangers développent de solides racines et se chargent de fruits, ce terrain-là c’est la vérité des orangers. Si cette religion, si cette culture, si cette échelle des valeurs, si cette forme d’activité et non telles autres, favorisent dans l’homme cette plénitude, délivrent en lui un grand seigneur qui s’ignorait, c’est que cette échelle des valeurs, cette culture, cette forme d’activité, sont la vérité de l’homme.

Saint - Exupery - La Terre des Hommes