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REVIEWSLE RECENSIONI
Jan Juc Moon
Xavier Rudd
2022  (Salt X Records / Virgin Music Australia)
WORLD MUSIC ALTERNATIVE
9/10
all REVIEWS
30/04/2022
Xavier Rudd
Jan Juc Moon
Jan Juc Moon è un disco dolcemente potente, che oppone al fragore della civiltà moderna la carezza della natura incontaminata, in volo tra distese azzurre e tramonti infiniti. Xavier Rudd ci accompagna in un viaggio che per un attimo permette di dimenticare questo mondo impazzito per ascoltare il richiamo primordiale del suono, della musica, irrorandoci di un’energia che fa stare bene.

“La Musica è la mia religione”

 

Sono letteralmente volati i quattro anni dall’ultimo altalenante lavoro Storm Boy - e sono sette dal gioioso Nanna con gli United Nations - tuttavia, per certi versi, sembra sia passata un’eternità. Intendiamoci, il tempo scorre e nulla lo può fermare, dando la sensazione di accelerare maggiormente il suo percorso con l’avanzamento dell’età, non ci sono dubbi su questo. Così, se da un lato ci sembra tornare indietro di un istante per parlare del 2018, da un altro, da allora, sono cambiate un’infinità di situazioni, con la pandemia e ora la guerra che hanno chiaramente tracciato un solco tra il “prima” e il “dopo”.

Jan Juc Moon, pur riprendendo il discorso spezzatosi nelle precedenti opere, vive dunque lo Zeitgeist odierno, a metà strada tra rassegnazione e speranza, ma con la convinzione che mai come ora l’uomo possa finalmente lasciare un segno positivo, assecondando ciò che la natura e la saggezza ancestrale hanno sempre indicato per creare un modo migliore di condurre l’esistenza, un mondo in cui finalmente “Uguaglianza” e “Rispetto” diventino due valori reali non più soppesabili e in bilico a seconda di politica e religione.

Xavier Rudd immette nel suo consueto vibrante calderone etnico una nuova, incommensurabile energia vitale sorta dalle ceneri di un anno sabbatico, in cui l’artista ha preso una pausa dai concerti, dai tour internazionali -tutto questo indipendentemente dalle vicissitudini mondiali- e ha compiuto, invece, un viaggio all’interno dell’anima, sulle tracce dei perché della vita, senza trovare, ovviamente, le risposte nella loro interezza, ma assaporando quel piacere della ricerca, che riporta a dove ogni cosa ha un inizio, a una tranquillizzante semplicità che ha sempre a che fare con la riscoperta della perfezione e armonia del creato, bene primordiale.

Tali argomenti emergono subito in "I Am Eagle", un reggae rallentato che è un po’ il manifesto del disco, in delicato equilibrio tra un arrangiamento classico ed effetti speciali derivanti da un uso mansueto dell’elettronica, per mezzo di un sintetizzatore opportunamente calibrato al fine di non sovrastare la struttura dei brani, ma alimentarne l’aura sognante. In questo opener, in particolare, regna un’atmosfera soffusa con percussioni sonnolente, eppure incessanti e colpiscono dritto al cuore le profonde e meravigliose voci aborigene, in perfetta sintonia con il didgeridoo, lo strumento a fiato tipico di questa straordinaria cultura. “Lasciate che la mia voce sia ascoltata, vedete sono stata parte di questa terra ben prima che gli umani cominciassero a cantare, loro conoscono il mio nome, ascolto le loro canzoni nella pioggia. Non posso vedere al vostro stesso modo, ma sanguino come voi…”, ecco l’aquila a rappresentare l’incontaminato, la possibilità di volare liberi: le persone dovrebbero recuperare e nuovamente apprezzare il patrimonio che offre la Terra. Un insegnamento presente e incancellabile nel background di Xavier, australiano di sangue europeo e aborigeno, che ha sempre spiegato come nelle tribù autoctone le piante e gli animali vengano venerati e considerati alla pari dell’uomo.

Solito ed insolito, tradizionale e moderno convivono nella bellezza della title track, dolcissimo inno alla potenza della memoria, all’eternità della nascita e morte del giorno e quindi dell’esistenza in astratto, e nel singolo "Stoney Creek", elogio del vento che soffia, metafora di cambiamento e speranza in questo frangente tragico. Rudd è riuscito a incanalare tutte le sue influenze e farle convergere in uno stile unico, che ricorda a tratti nelle sonorità Jack Johnson - vuoi anche per forma mentis, in quanto entrambi acclamati surfisti -, e, nel cantato e songwriting, David Gray, Damien Rice, ma soprattutto Paul Simon, il maestro per eccellenza.

 

“Quando il “Graceland tour” arrivò in paese, mio padre mi portò a vederlo e i miei occhi si illuminarono. Avevo subito compreso che quel magico universo sarebbe stato mio. Cominciai a studiare la magia della chitarra slide, imparai a suonare banjo, djembe, armonica e una serie infinita di percussioni e da lì iniziarono i miei concerti solisti”.

 

L’elevata qualità degli show del polistrumentista è dovuta proprio alla capacità congenita di gestire il palco anche da solo e la vocazione da “one man band” fuoriesce anche in Jan Juc Moon - dal nome della città costiera dello stato australiano di Victoria, dove è cresciuto - con le sue dovute eccezioni, comunque; "Ball And Chain" presenta, infatti, un featuring sorprendente con il rapper aborigeno J-Milla, artista impegnato attivamente nella sfera sociale nel tentativo di eliminare ogni discriminazione nel Paese. Il sodalizio funziona, dimostrazione dell’attitudine camaleontica di Xavier Rudd, in un pezzo affilato come un coltello, che sembra uscito da un album di Citizen Cope e diventa leggero come una piuma nel finale, con il didgeridoo in primo piano.

L’amicizia e la condivisione delle stesse istanze in musica con Ben Harper è evidente in "Great Divine" e "We Deserve To Dream", dove l’incrocio tra un passato in parte da dimenticare e un futuro incerto conduce comunque alla speranza, fortificata dalla forza innata presente in Madre Natura. Una pausa da questi pensieri e visioni si palesa, invece, in "Magic", in cui primeggia un atteggiamento laid-back, con rassicuranti sfumature di Hawaiian Music e voglia di rilassarsi, nuotare e godersi la spiaggia.

La forte spiritualità dell’autore, acuita dalla consapevolezza della propria discendenza, si nutre del contrasto tra gioia e dolore: felicità per gli insegnamenti recepiti dagli avi, abituati a trascorrere il tempo in simbiosi con tutto ciò che li circonda, e tristezza per come l’uomo moderno abbia distrutto questo concetto. La vivacità di "Slidin Down A Rainbow" raffigura il primo aspetto in una ribollente danza tribale. Su un tappeto ritmico intessuto di batteria, loops e didgeridoo si balla senza pensieri, “Scivolando giù da un arcobaleno”, con un coro di bambini che s’impadronisce dell’inciso. La crepuscolare "Dawn To Dusk", altro vertice dell’album chiude per converso il cerchio, in dieci minuti di immagini forti, “Stiamo camminando su vetro rotto” culminanti in una preghiera, recitata come un mantra, perché si abbia la tenacia per non far accadere più tanta devastazione, “Dammi forza, Signore donami forza.” Un brano veramente incisivo, una rilassante galoppata senza vedere l’orizzonte, vivendo solo il potere ammaliante della musica, che a metà traccia tocca l’animo con un canto ripetuto fino alla conclusione, teso a diventare un lamento.

Una caratteristica di pregio di quest’ultima fatica di Rudd è la mancanza di filler, i cosiddetti “asciuga emozioni”, pur con una corposa tracklist, composta da tredici pezzi, e una durata che sfiora i settanta minuti. La chiusura del disco è profondamente attuale, con l’appello a non restare schiavi della tecnologia, ma godersi le vere bellezze in "The Calling", magnificamente adagiata sull’atmosfera creata suonando slide e wah wah contemporaneamente; si abbassano solo leggermente i toni per dedicarsi a un paio di delicate ballate, come la romantica "Angel At War", rinfocolata da un tenue arrangiamento orchestrale, e la fiduciosa Joanna, tributo, come "The Window", ma stavolta in modo esplicito, al maestro Neil Young, più volte citato nel testo, caratterizzata dal suono di un’armonica e dal candido cinguettio di uccellini e brusio di insetti in sottofondo, in segno di ricongiungimento con l’ambiente circostante.

Jan Juc Moon è pertanto consigliatissimo non soltanto ai fan del “trovatore” australiano, ma a tutti gli amanti della musica world e folk rock, ai cultori degli artisti sopra citati come influenze, e a coloro che adorano la contaminazione e desiderano un’opera le cui tracce abbiano un filo conduttore. Xavier Rudd si conferma prezioso e verace nutrimento per cuore, mente e anima, per chi cerca il vero sostentamento in un mondo dominato dalla concezione fast-food.