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REVIEWSLE RECENSIONI
29/04/2020
Ritmo Tribale
La rivoluzione del giorno prima
Sono tornati fuori tempo massimo, in un mondo che non gli appartiene più ed è davvero molto difficile che conquistino nuovi fan. Eppure, nonostante questo, nonostante l’impossibilità di festeggiare con loro sul palco, “La rivoluzione del giorno prima” arriva a proposito in questi giorni strani, a ricordarci che, appunto, vogliamo cambiare il mondo e cadiamo di fronte ad un virus sconosciuto.

L’ultima volta che i membri dei Ritmo Tribale hanno provato a scrivere del materiale nuovo era il 2010: “Milano Original Soundtrack”, uscito sotto il monicker No Guru e con Xabier Iriondo, non ancora rientrato negli Afterhours, al posto di Fabrizio Rioda. Un bellissimo disco, che aveva soddisfatto i fan storici, aveva provocato più di un brivido di nostalgia e ci aveva per un momento fatto cullare la possibilità che ci potesse essere un seguito, seppure in una forma leggermente diversa.

Gli anni passavano, il follow up non usciva e il progetto pareva morto, tanto che ormai ci eravamo rassegnati al fatto che fosse stata solamente una bella rimpatriata ma che per il resto, lavori, famiglie e una vita tutto sommato normale li avessero tenuti al riparo dal tentare nuovamente una sortita nel terreno fragile del music business.

Ci eravamo sbagliati, perché dopo qualche anno sono tornati direttamente alle origini e sono saliti sul palco come Ritmo Tribale. Doveva essere una data unica, alla Centrale Rock di Erba, il 17 aprile 2017, a suonare per intero “Bahamas” (l’ultimo disco in studio, quello senza Edda, sparito chissà dove) al di fuori di qualunque occasione celebrativa (era uscito nel 1999, un po’ difficile fare cifra tonda) e ritrovarsi nuovamente tra amici.

C’ero anch’io, quella sera, che pure, quando MTV passava i loro video ed erano considerati uno dei gruppi rock più importanti d’Italia, non li avevo mai considerati più di tanto. Io che, come accaduto con tante altre band, non ero ostacolato da limiti anagrafici ma me li sono persi lo stesso.

Fu un bel concerto. Funestato da problemi tecnici e non proprio perfetto a livello di performance (ma veterani dei loro palchi mi dissero che erano bene o male sempre stati così) ma comunque autentico e tremendamente intenso.

Ricordo ancora Scaglia congedarsi dal pubblico con un deciso e secco: “Ci vediamo tra dieci anni!” e invece, a settembre, erano di nuovo tra noi, questa volta sul palco del Magnolia. E quella volta, che non andò molto diversamente dalla prima, comparvero a sorpresa anche un paio di brani mai sentiti prima. A fine concerto andai dal tizio del merchandising giusto per vedere se ne sapesse qualcosa e me lo disse proprio esplicitamente: “Si sono rimessi a scrivere”. E in effetti da lì in avanti li avremmo visti diverse volte in giro, anche lontano dalla loro Milano e i nuovi episodi sarebbero divenuti presto delle presenze famigliari all’interno della setlist.

Finalmente, a quasi due anni dall’uscita del primo singolo “Le cose succedono”, il disco che segna il ritorno dei Ritmo Tribale 21 anni dopo l’ultima volta, è finalmente arrivato. “La rivoluzione del giorno prima”, la cui prima metà era comunque già stata anticipata sul palco e mediante i singoli, è un lavoro che si potrebbe facilmente bollare come anacronistico (“Che senso hanno ancora i Ritmo Tribale nel 2020?” è in effetti un’obiezione fin troppo scontata) ma che ci restituisce il gruppo ad un livello di forma ed ispirazione che non credevamo più possibile.

Tramontate da tempo le speranze di un rientro di Edda nei ranghi (la direzione presa dalla sua carriera solista fa del resto apparire del tutto ridicola tale opzione), Andrea Scaglia si conferma più che adeguato nel ruolo di cantante a tempo pieno, oltre che di frontman. Le insicurezze spesso riscontrate dal vivo qui scompaiono del tutto ed il suo timbro risulta quanto mai funzionale alle nuove canzoni. Le quali, sia detto sinceramente, oltre a surclassare del tutto il repertorio di “Bahamas”, hanno davvero poco da invidiare a quello di “Mantra” e “Psychorsonica”. A livello sonoro, più o meno si riparte da qui, lasciate comprensibilmente da parte le aggressioni selvagge dei primissimi lavori, si percorre la strada di un rock ruvido ed anthemico, fatto di canzoni che possano funzionare bene dal vivo, piene di riff massicci e ritornelli diretti.

La prima parte, che si apre con “Le cose succedono”, subito dopo un’intro dove risuona la voce indimenticabile di Gianmaria Volonté, nel celebre monologo di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, contiene tutti i singoli già usciti ed è anche quella che funziona meglio: sono i pezzi dove i cinque picchiano di più e anche quelli più immediati, con “Resurrezione Show”, dall’incedere magniloquente ed il suo vago echeggiare i CCCP, a vincere la palma del miglior brano del disco.

La seconda sezione è più cupa e rallentata, nonostante il ritornello scanzonato e quasi Punk di “Jim Jarmusch”. Brani come “Cortina” e “Autunno” puntano molto su suoni e atmosfere e seppure meno riusciti nell’insieme, hanno comunque dei bei momenti. E poi c’è la conclusiva “Buonanotte”, incentrata sul piano e su una linea vocale che fa da ponte coi vecchi classici e che è decisamente difficile non immaginate cantata da Edda.

Sono tornati fuori tempo massimo, in un mondo che non gli appartiene più ed è davvero molto difficile che conquistino nuovi fan. Eppure, nonostante questo, nonostante l’impossibilità di festeggiare con loro sul palco, “La rivoluzione del giorno prima” arriva a proposito in questi giorni strani, a ricordarci che, appunto, vogliamo cambiare il mondo e cadiamo di fronte ad un virus sconosciuto. Forse torneremo ad andare ai concerti, un giorno. E chissà, magari a quel punto scopriremo che gruppi come i Ritmo Tribale non saranno solo roba per vecchi ma sapranno parlare al nostro presente anche utilizzando un linguaggio fuori moda. Dopotutto loro lo hanno già detto: “Io non voglio vivere in memoria di me, io non voglio vivere in provincia di quello che poteva essere ma non è stato”. Direi che hanno mantenuto in pieno la promessa. Adesso sta a noi accorgercene.


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