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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
04/04/2022
Le interviste di Loudd
La scorciatoia verso la bellezza
“I vestiti della musica” e “L’altra metà del pop” sono due libri che trasudano passione e conoscenza, congegnati in modo originale e coinvolgente dal loro autore. Paolo Mazzucchelli ci prende per mano e conduce nel magico mondo delle copertine dei dischi, un universo parallelo che profuma di vita, dove ci è ancora concesso sognare.

Esiste un antidoto alla cupezza dei nostri giorni? Può sembrare una domanda retorica, con risposta negativa già pronta, ma lo splendore dell’arte in tutte le sue più fervide diramazioni funge da riparo per l’anima e lo spirito. Paolo Mazzucchelli lo sa, da buon illustratore di meraviglie, e le sue pubblicazioni ed iniziative, unite ad un entusiasmo contagioso, sono una ricetta per vivere meglio e conoscere quanto sacrificio, inventiva e intuizione siano presenti nell’intero processo con cui si produce bellezza. La Musica ne è colma: i dischi sono un’eterna colonna sonora che ci accompagna in ogni momento dell’esistenza; quante storie all’interno di ciascuno di essi e che fascino ha sempre avuto la copertina! Spesso già solo vedendo l’artwork si rimane estasiati e spinti ad addentrarsi in quel sorprendente microcosmo che è un album, umile raccoglitore di una potente dispensatrice di libertà, conoscenza e felicità: la canzone. Giunge con infinito piacere, quindi, l’opportunità di approfondire tali tematiche proprio con questo irrefrenabile autore, che, tra l’altro, ha organizzato una sorta di spettacolo viaggiante in cui porta in giro per l’Italia i suoi libri e le sue conoscenze.

 

Partiamo proprio dai tuoi spettacoli: noto con piacere che quindi anche in questo periodo liquido - ogni riferimento anche alla musica non è casuale - esiste gente che si emoziona ascoltando la storia delle copertine, come ti è venuta in mente l’idea dei libri?

I libri sono una sorta di evoluzione naturale degli spettacoli che porto in giro e nascono fondamentalmente dall’esigenza di approfondire ulteriormente gli argomenti trattati oltre che di raggiungere un pubblico più vasto.

 

Foto di Pino Bertelli

 

La seconda pubblicazione si addentra con dedizione nell’universo femminile e fai un’interessante analisi storica di alcuni movimenti di emancipazione dagli anni Quaranta ad oggi. Il tutto collegato ad arte e, ovviamente, musica. Certe canzoni hanno davvero aiutato a trovare più libertà e giustizia, non pensi?

Non c’è dubbio che alcune canzoni abbiano non solo segnato passaggi fondamentali nella storia recente ma anche contribuito a creare attenzione nei confronti di ingiustizie, conflitti, emergenze umanitarie, capacità resa ancor più incisiva grazie alla sempre maggior diffusione a livello globale della musica pop/rock. Da sottolineare è anche la diversa coscienza del proprio ruolo da parte di un sempre maggior numero di artisti, pronti non solo a veicolare, attraverso le proprie canzoni, messaggi di un certo tipo a milioni di persone, ma anche a spendersi in prima persona in battaglie e campagne legate a tematiche quali le questioni razziali, i diritti LGBT, la salvaguardia del pianeta.

 

Mi ha molto colpito la sezione dedicata alle “Creative”: un universo sommerso di infinita bellezza. Non deve essere stato per niente facile ricostruire biografia ed opere di queste artiste, ahimè, misconosciute.

Trasparenti trovo sia l’aggettivo più calzante! Lavorando a L’altra metà del pop mi si è letteralmente aperto un mondo riguardo al ruolo giocato dalle donne nella grafica applicata alle copertine dei dischi, un mondo nel quale la prima cosa che balza all’occhio è che anche in un campo apparentemente libertario ed alternativo come quello legato musica si finisca per riproporre la stessa discriminazione in campo lavorativo che le donne subiscono in molti altri settori professionali. Emblematico è il fatto che di alcune di queste creative non si trovino immagini nemmeno tramite Google! Ricostruirne le biografie è stato possibile grazie alla mia innata curiosità e alle informazioni disseminate nel web da altri appassionati; un lavoro stimolante col quale spero almeno di aver reso omaggio al loro lavoro.

 

Trovo bellissima l’idea di un elenco di ascolti consigliati per la lettura: immagino siano stati la tua colonna sonora mentre scrivevi. Un’altra sorpresa è la tenacia e intraprendenza di Joni Mitchell nel campo degli artwork.

In verità, mentre scrivo solitamente ascolto (a bassissimo volume) jazz o musica classica, qualcosa che non mi distragga troppo dalla scrittura. Gli ascolti consigliati sono fondamentalmente la colonna sonora che accompagna, sottolinea lo svolgimento dei miei spettacoli; inserirli mi è sembrato potesse un interessante compendio alla lettura. Per quanto riguarda Joni Mitchell parlerei di coerenza oltre che di tenacia e intraprendenza. Il rapporto fra le sue Arti (la musica e la pittura) è un caso unico ed illuminante, nonché un esempio di dignità se si considera che, ad un’attenta analisi, nelle sue copertine ci mostra senza timori il passare del tempo sul suo viso, cosa decisamente inusuale nel mondo dello star system.

 

Il titolo e la copertina dei tuoi libri sono indovinati, eccezionali. Incarnano perfettamente il concetto di cui vuoi parlare, cioè di quanto anche un “dettaglio” possa essere un’opera d’arte. Abbiamo iniziato con l’ultimo, L’altra metà del pop, uscito l’anno scorso e ora facciamo un salto indietro di un lustro per arrivare a I vestiti della musica.  Il tuo è stato un lavoro certosino, che metodo hai usato per scegliere le cover che più meritavano?

Il libro è arrivato, in realtà, dopo lo spettacolo, iniziativa che ho costruito, una volta definito il percorso che intendevo seguire, scegliendo fra i vinili della mia collezione. Al momento del trasferimento su carta dunque ho dovuto “solamente” approfondire i vari capitoli, anche aggiungendo immagini di nuove copertine.

 

 

Qualsiasi vero appassionato di musica lo ha fatto almeno una volta: comprare un disco solo per la bellezza della copertina. La cosa incredibile è che difficilmente poi quello che c’era all’interno deludeva, manco fosse un’intuizione divina operare in tal modo. Confesso di averlo fatto anch’io con Closer dei Joy Division. E dentro vi ho trovato in interezza quello che cercavo: ansia, angoscia, ma tutto ciò, perdonami il paradosso, aveva un potere salvifico. Mi piacerebbe un tuo pensiero riguardo a questa possibile rappresentazione/descrizione del contenuto dell’album tramite una cover d’impatto.

Se compriamo un disco per il suo aspetto esteriore vuol dire che il grafico ha fatto un gran bel lavoro; se poi una volta messo il disco sul giradischi godiamo del nesso fra la musica e la grafica vorrà dire non solo che gli artisti coinvolti sono riusciti nell’impresa di comunicare con noi, ma anche che siamo stati in grado di cogliere tutte le sfumature, i dettagli la bellezza che ci è stata offerta, ulteriore conferma del potere salvifico cui accennavi.

 

Tony Banks per A Trick of the Tail disse: “Le copertine possono dare una forte identità all’album.” Immagino sia un po’ il tuo motto.

Il mio motto, o meglio il mantra che ripeto in ogni occasione è: “Perdetevi nelle copertine dei dischi, vi racconteranno storie, vi accompagneranno nell’ascolto, vi regaleranno meraviglia!”. Le copertine sono uno scrigno d informazioni, una tavolozza sulla quale far viaggiare la nostra fantasia, nutrire le nostre emozioni godendo così appieno delle opportunità che un prodotto musicale ci offre: le copertine sono inoltre un invito a ridare alla musica il tempo che si merita, lontano dalla velocità, dalla frenesia e dalla bulimia verso cui ci spingono i nuovi “supporti” fonografici.

 

Quand’ero piccolo avevo il quaderno con lo “scratch and sniff”: grattavo nel punto indicato e fuoriusciva il profumino della cosa disegnata, fosse un pino o un fiore. Solo grazie a te ho scoperto che questa cosa succedeva anche per i dischi! So che hai approfondito questa particolarità proprio recentemente e mi piacerebbe ci svelassi alcune curiosità a riguardo.

Questa tipologia di copertine è inquadrabile nel cuore degli anni Settanta, un momento particolarmente felice per la grafica dei LP in quanto le case discografiche puntavano molto sulla copertina come elemento di marketing, dando così spazio alla creatività di artisti e designers. Grazie ad una particolare lavorazione in fase di stampa delle stesse era possibile inserire dei punti che, opportunamente sfregati, rilasciavano profumi e odori ovviamente collegati al tema della copertina; ecco allora il profumo di marijuana in quella di Bush Doctor di Peter Tosh, di fiori in quella di Garden in the city di Melanie o di gomma bruciata in quella di The Akron Compilation. Ma l’olfatto è solo uno dei 5 sensi che le copertine possono stimolare, come sto dimostrando in una serie di articoli per il quotidiano on-line Bergamo News.

 

Parliamo del mercato musicale. Sembra incredibile che, dopo un periodo di vacche magre, sia risorto il vinile e ciò appassioni tanto anche alcuni giovani. Da una mia intervista avvenuta poco tempo fa con uno degli ultimi, mitici negozianti di dischi, fra le tante note dolenti e storture, affiora questo briciolo di speranza. Come vedi l’evoluzione/involuzione di tale scenario? A volte sembra che la quantità indescrivibile di prodotti vada a scapito della qualità o perlomeno distragga l’ascoltatore medio, cullandolo nella pigrizia di fruire solo di ciò che appare in superficie. Che ne pensi di queste osservazioni?

Che alla base ci stanno il concetto di nostalgia, capace di spiegare il ritorno del redivivo vinile, tanto quanto la difficoltà ad emergere di nuove proposte musicali. Del resto le multinazionali del disco sanno fare bene i loro conti; puntare su un target di persone non più giovani disposte a (ri)comprare il disco che magari hanno (s)venduto in gioventù è azione ad alto tasso di profitto, soprattutto se si considera che la maggior parte dei titoli venduti (a prezzi per nulla economici) è costituita da classici della musica pop/rock il cui costo di realizzazione è già stato abbondantemente ammortizzato. Quanto ai giovani mi limito a sottolineare una parola che hai usato nella domanda vale a dire: “alcuni”. C’è in effetti un interesse anche da parte di un target più giovane ma, pur essendo una cosa decisamente bella, non è tale da influenzare le politiche delle majors. È molto probabile che il tanto esaltato “ritorno del vinile” sia un fenomeno strettamente legato ad un mero fattore anagrafico, destinato quindi (ahimè) a non durare a lungo.

 

I libri e la musica possono ancora in questo delicato frangente cambiare la vita e, in senso lato, il mondo? Folgorare le persone che leggono e ascoltano? Trasmettere messaggi magari misteriosi ma sacrosanti?

Ho smesso da un bel pezzo nel credere che l’arte possa cambiare il mondo, ma resto fortemente convinto che la musica (come altre forme di espressione artistica) possa aiutarci a vivere meglio la vita, allenandoci alla bellezza, al confronto, alla meraviglia, alla curiosità così come accompagnandoci in ogni istante della nostra esistenza terrena. Credo anche molto nel valore della condivisione delle conoscenze, una delle ragioni che mi spinge da anni a misurarmi con la gente attraverso i miei spettacoli, siano essi quelli dedicati alle copertine o le “Degustazioni Musicali”, nelle situazioni più disparate, dai centri culturali alle scuole, dalle biblioteche alle fiere del disco da collezione, sino ad arrivare al carcere o in un convento.

 

Come si può intervistare Paolo Mazzucchelli senza chiedergli quali sono i suoi dischi e copertine preferite? Sono accoppiabili, cioè un tutt’uno o nella tua personale classifica non sempre a vanno braccetto? Sono molto curioso delle tue risposte…

A volte lo sono a volte no. Fra le prime, così su due piedi, ti nominerei Five Leaves Left di Nick Drake, Banco del mutuo Soccorso (quello con la copertina a salvadanaio), Blue Afternoon di Tim Buckley o Stand Up dei Jethro Tull. Amo profondamente Italyan, Rum Casusu Çikti di Elio e le Storie Tese, la cui copertina però non mi ha mai colpito particolarmente. E poi come si fa a fare una lista definitiva parlando di dischi… ti rispondessi domani probabilmente ne indicherei altri (ride n.d.r.).

 

 

Non solo sei appassionato conoscitore e scrittore delle sette note, ma da una vita ti occupi di programmazione culturale in campo musicale.  Hai ideato Skossa, e decine di manifestazioni, tra cui Incredibile ma Rock!, Lovere Estate Musica, Il mestiere Della Musica, Musica & Cinema, Lontano da…, Cinque Dischi per l’Isola Deserta. Quanto ti senti ancora legato a tutte queste incredibili esperienze e quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Tutte loro fanno parte della mia vita così come del mio modo di intendere e vivere l’amore profondo che provo per la musica e la cultura; al momento sono alle prese con un progetto dedicato alle copertine fotografiche in bianco e nero, uno alle copertine censurate e controverse, un altro ancora alla “narrazione” dell’esperienza Lovere Jazz uno dei festival internazionali più significativi della seconda metà degli anni Settanta, oltre che alla promozione dei due libri usciti in questi anni. Ma sono curioso e affamato di nuovi incontri ed esperienze, quindi so bene che qualcosa che ho dentro prima o poi troverà il modo di uscire e concretizzarsi.

 

 

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