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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
04/08/2023
L'angolo degli oratori
Laudato sia, laudauto tune
Una musica basata su un effetto crolla nel momento in cui quell'effetto smette di funzionare. Possiamo prenderlo come dato di fatto senza scivolare negli inutili campanilismi tecnici? Perché una musica non è solo tecnica, grazie a Dio. I messaggi arrivano in diverse forme e a volte il fatto che non parlino a noi, ci rende giustizieri spietati, sulla base di una malsana dose d'invidia.

Ciò che è successo nell'ormai celebre video di Sfera Ebbasta, dove l'autotune ha smesso di funzionare e il rapper si è mostrato in tutta la sua nudità con la voce priva di effetti e stonata, è stato preso come uno spunto per muovere critiche sull'estetica di ciò che le nostre orecchie hanno sentito.

Voci stimate che si sono gettate nel tiepido lancio di oggetti virtuale, qualcun'altro ha difeso, altri ne hanno approfittato per sottolineare l'assenza di contenuti. Tutto lecito e di primo impatto condivisibile, ma ho provato ad andare a fondo del mio punto di vista.

 

Devo premettere che non ho motivi per odiare la trap, ma allo stesso tempo ammetto di non esserne un ascoltatore. È una musica fatta di parole che non parlano a me, di dizioni sforzate che mi arrivano prima dell'eventuale significato delle canzoni. E questo lo dico, se non da fruitore, almeno da produttore: se mi venisse in studio un artista cantando parole mozzate con tutte le ultime sillabe troncate e svanite, probabilmente lo convincerei di non essere giusto per lui, perché se da un lato capisco il fenomeno da un altro me ne distanzio. Se proprio insistesse ci lavorerei e gli farei capire l'importanza di pronunciare una parola fino in fondo e rendersi intellegibili da tutti. Questo per dire come la pensi sforzandomi di vederlo come un gusto personale includendo la tecnica.

Rispetto all'autotune il discorso è però differente: è un effetto. Viste le critiche piovute sulla questione, vi consiglio di provare ad andare oltre pregiudizi e abitudini. L'effetto è una maschera, "uno zingaro è un trucco", ma ha più valore di ciò che c'è sotto. Le parole dette in quella maniera, con quella dizione per cui consiglierei l'intervento di un logopedista, fanno parte della comunicabilità e della sua direzione. Di voler essere capiti specialmente da qualcuno a differenza di altri. E poi quell'effetto aiuta il significato delle parole a piazzarsi in un mondo, come la scelta del bianco e nero su una fotografia.

 

Proviamo a vederla in un altro modo. Prendiamo The Edge, chitarrista degli U2, uno dei più innovatori in quanto a suono ad effettistica. Lo sapete, vero, che se spegnessimo la pedaliera il risultato sarebbe diverso? E non parlo di tecnica (maledetta tecnica), parlo di sensazioni. Provate a togliere il Delay dalle chitarre di “I still haven't found what i'm looking for”, vi garantisco che quei paradisi grigio scuri cui vi siete abituati non esisterebbero più, e non gliene farei una colpa. Indipendentemente dal fatto che sia o meno in grado di supplire alla mancanza di effetto, come un cantante senza autotune. Per quale motivo dovrebbe saper fare quelle cose per il cui raggiungimento si è reso necessario un effetto?  L'effetto fa parte del messaggio, indipendentemente dalla tecnica che c'è sotto.

Gli Air, gruppo francese di “Sexy Boy”, hanno fatto scorpacciata di vocoder e autotune. E il fascino della loro musica passa quasi totalmente da quello. Non voglio immaginare le loro canzoni cantate pulite. Non mi interessano le loro voci, scoprirne le qualità. Mi interessa il risultato finale che mi ha fatto innamorare di loro.

O ancora, “One of these days”, Pink Floyd e capolavoro di “Meddle”. La canzone si fonda su un basso, basato a sua volta su un delay (in realtà sulla somma di due identiche registrazioni) che crea una linea ipnotica e intrecciata. Se si fosse spento il delay durante l'esibizione avremmo visto la mano di Roger Waters (notoriamente un bassista molto poco tecnico e sfarzoso) percuotere il basso sui quarti per fare una linea elementare totalmente staccata dal giro ipnotico di cui prima. Gliene avremmo fatta una colpa? E perché ci sentiamo in dovere di dirlo a chi lo fa con la voce?

 

A me l'autotune, sommato a quella dizione fastidiosa di chi non pare aver voglia di dire una parola fino in fondo, sommato al sapore di una base trap, non piace. Lo voglio ribadire, perché non è questo il punto. Non parlano a me, lo sento e me ne discosto. Mi comunicano di starmene lontano. Quella somma sonora non parla a me come lo fanno i Radiohead, come Brian Wilson (che nel 1965 stiracchiava il nastro del master vocale per tirare su l'altezza del suono e rendere le voci dei Beach Boys più sottili, altro artificio comunicativo, con le debite proporzioni). O come i Verve, i Fontaines D.C, i Nirvana, De André, i Beatles o chiunque altro mi sappia emozionare. Ognuno con il proprio artificio, più o meno distante dalla propria nudità.

Perché si può saper cantare o essere stonati come campane, ma il risultato filtrato da un effetto tanto invasivo sarebbe lo stesso. Ed è questo il punto, questo probabilmente il messaggio, neanche troppo nascosto: non ce ne fotte di quello che c'è sotto l'effetto, in un certo senso neanche di saper cantare, rispettando un'intonazione in scala maggiore o destreggiandosi sul modo misolidio. Il nostro messaggio, la nostra voce, è la nostra forma estetica, che ci rende tutti in grado di comunicare. Non ci interessa che ci vediate struccati. Ci avete voluto plastici? Cartonati da talent, coi nomi uguali e dimenticabili dopo una settimana dall'uscita? Questo è il risultato. Questa è la nostra reazione.

Volevano dire questo? Non lo so, ma più ci ho pensato più sono riuscito a vederci dentro. È stato uno sforzo, contro il mio istinto, anche contro i miei gusti, ma ho scavato.

Criticare l'autotune aggrappandosi all'incapacità tecnica che c'è nascosta sotto ci mostra più feriti di quanto si pensi. La comunicazione c'è, il messaggio ci arriva forte e chiaro ma sposta comunque l'attenzione su un altro aspetto. Pensiamola invece così: in questa musica l'effetto è la tecnica che rende comunicativi. Se non vi comunica magari, molto semplicemente, non parla a voi.