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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
08/03/2021
Nero Kane
Le gocce di un non tempo dentro cui vivere e morire
Questo disco non banalizza e non si appoggia a futili quanto facili soluzioni estetiche di una morte demoniaca o sacerdotale, di una fede divenuta reliquia santa da sfoggiare o di miti e follie extra-terrene tratte da scritture apocrife assunte a facili mode seminate a grano dall’ignoranza funzionale del mercato di massa.

“Un eccesso estremo di sensibilità che ti fa diventare vittima di te stesso e del senso di inadeguatezza e inconciliabilità con il mondo esterno”. (M. Mezzadri)

Temo che un ascolto simile abbia scelto il tempo giusto per venir fuori ma anche quello sbagliato. Mi spiego. Giusto in quel certo modo liturgico e apocalittico di pensare alla vita su questa terra, piuttosto nel modo che ha di fotografarla, di renderla sensazione concreta per chi ancora è capace di sentire. Ma anche il tempo sbagliato, laddove oggi si ha bisogno di rinascita, di luce, di vita… e non di una celebrazione di morte dentro suoni acidi, tra anime dannate, sospese, strascinate come i villaggi apocalittici di “The Walking Dead”. Ma al tempo suo, quello di Nero Kane, questo disco non banalizza e non si appoggia a futili quanto facili soluzioni estetiche di una morte demoniaca o sacerdotale, di una fede divenuta reliquia santa da sfoggiare o di miti e follie extra-terrene tratte da scritture apocrife assunte a facili mode seminate a grano dall’ignoranza funzionale del mercato di massa. Niente di tutto questo. Anzi: “Tales of Faith and Lunacy” è un disco decisamente terreno, fatto di carne d’uomo e pelle di animale, un disco che dall’icona religiosa traghetto immediato verso un etere di non essenza, trascina invece l’ascolto sulla nuda terra in un percorso a ritroso che non ci saremmo attesi… sarebbe stato ovvio prendere derive teologiche, sarebbe stato prevedibile confinarci in un extra-mondo di santi e di eroi. “Tales of Faith and Lunacy” invece ha la terra desertica dentro, ha la terra di pietra e di fango, dove la follia romantica salva (o dovrebbe salvare) l’umanità dalle sue violente derive di degenerative.

Secondo disco di Nero Kane pubblicato anche in una preziosa release in vinile e cassetta, come sta tornando di moda ora… disco che con le mode ha davvero niente da spartire. Secondo disco di fede e di follia… che si dispiega all’aridità ancestrale di una chitarra minimale, che vive di assenze più che di ridondanze… che si dipana dentro queste ricorsivi coralità di tappeti che sintetizzano organi e processioni… e qui torna imperante la firma di Samantha Stella, compagna di questo viaggio fin dal suo esordio con Love In A Dying World" che ho ampiamente accolto anche tra le nostre pagine di Loudd. Disco che si fa goccia che cade lenta a scavare, in un downtempo americano lento e stancante, ossessionato dalla monotonia, da echi lontani, dal minimalismo assoluto su cui regna, a guisa di epigrafe, la voce di Nero Kane, sacerdote e missionario, ma anche e soprattutto cattedratico cronista di questa santa (lei per davvero) follia romantica dell’uomo di carne su questa terra di pietra.

“Tales of Faith and Lunacy” è un disco sacro e profano allo stesso tempo.

Fede. Ecco la prima parola importante. Cos’è per Nero Kane la fede?

La fede è per me qualcosa di indefinito e indecifrabile ma anche una sorta di presenza che aleggia costantemente nelle nostre vite. Spesso è una domanda senza risposta, un ultimo rifugio, una ricerca interiore più o meno profonda per cercare conforto e riparo dall’oscurità. Per molti una necessità di sopravvivenza. ??

E poi parliamo di Follia: e qui si aprono scenari poco controllabili a priori. Follia romantica o follia degenerativa?

Nel mio sentire nasce tutto da una follia romantica. Un eccesso estremo di sensibilità che ti fa diventare vittima di te stesso e del senso di inadeguatezza e inconciliabilità con il mondo esterno. Non credo che la follia degenerativa mi appartenga, ma la sento permeare l’umanità.

?Un disco sospeso, un disco di antico blues monotono e - oserei dire - liturgico. E dunque per Nero Kane perché e come trovano posto accanto questi due scenari, il blues dell’anima e la liturgia della morte che sento ovunque celebrata?

Il blues dell’anima è il canto viscerale che si sviluppa dall’incontro profondo e unico, in quanto strettamente personale, del mio essere con la mia scrittura e il mio suono. È la mia ricerca e il compendio che utilizzo per esprimere me stesso. La liturgia della morte è lo sfondo sul quale si dipanano i miei racconti. È un sorta di drappo caravaggesco che avvolge e permea il mio sentire e ciò su cui mi piace indagare. I due aspetti convivono e a tratti coincidono nel mio songwriting.

?Che rapporto hai con la morte?

Culturalmente un rapporto di attrazione in quanto è una delle tematiche fondamentali della nostra esistenza. Sono attratto da ciò che la riguarda, in particolar modo dalle relative rappresentazioni artistiche sviluppatesi nel corso dei secoli. Nella vita quotidiana è un pensiero spesso presente e che mi spaventa se proiettato sulle vite delle persone a cui tengo.

?E che rapporto hai con il tempo, visto che questo disco al tempo chiede di rallentare e di decantarsi a gocce?

Un rapporto molto tormentato. Il tempo è spesso per me relativo solo al passato, molto poco focalizzato sul presente e quasi inesistente nel futuro. In musica è un non-tempo. Un loop circolare che mi porta ad una sorta di dimensione onirica dove perdermi.

?La religione che prendi a prestito per questi brani di confessione ma soprattutto di riflessione, è quella cristiana o Dio rappresenta un “superuomo” a cui tendere o da cui imparare??

È una religiosità trascendentale che va oltre la specifica tipologia di culto. È concepita come una ricerca interiore nata da un estremo bisogno di conforto in qualcosa che appunto trascende il nostro essere. Di qualsiasi natura esso sia. Dio non rappresenta un superuomo ma una meta. Allo stesso tempo anche il diavolo può essere una meta altrettanto valida. È una ricerca di salvezza in qualcosa che dia un senso al nostro esistere. A livello puramente estetico è invece strettamente connessa all’iconografia cristiana.

?E arriviamo dunque ad un’altra parola importante per questo disco: uomo. Canzoni che dalle allegorie spirituali alla fine indagano la vita terrena. Cosa pensi dell’uomo in quanto entità e presenza fisica su questa terra?

Considero l’uomo come l’essere peggiore mai apparso su questa terra. E la nostra evoluzione (o regresso) ne è una prova inconfutabile. Allo stesso tempo la sua capacità creativa quando è rivolta alla Bellezza è qualcosa di straordinario, a tratti divino. Per me l’uomo sarebbe un’entità magnifica, perfetta come la perfezione della Natura, ma il suo evolversi è stato per molti aspetti fallace e il suo desiderio incontrollato e incontrollabile di dominio e prevaricazione sarà anche il motivo della sua fine.

?Un disco questo che indaga anche sulla fede per una vita extra terrena o in qualche modo la ridimensiona, in qualche modo le imputa la responsabilità di quel che siamo?

La ridimensiona. È anzi un disco profondamente terreno che vuole dare voce ai nostri limiti e al nostro profondo senso di totale abbandono. Da qui il bisogno di una fede che ci dia la forza di provare a sopravvivere. ??

Ed è così che arrivo alla copertina di questo disco. Decisamente didascalica ma soprattutto foriera di visioni altre sul disco… 

La copertina è da intendersi come un ulteriore livello di comunicazione ed estensione visiva dei brani contenuti nel disco. “Tales of Faith and Lunacy” è  una sorta di concept album è quindi anche la parte grafica va a creare un tutt’uno con la parte musicale. La “Mater Dolorosa” o “Madonna dei sette dolori” con il cuore trafitto dalle sette spade è un rimando diretto ai sette brani che compongo il disco. La scelta di questa immagine è legata anche alla mia passione per un certo tipo di iconografia sacra.

?Parliamo del suono di questo disco. Dopo l’esordio “Love In A Dying World” riconfermi l’America e i suoi deserti, riconfermi questa cantilenante marcia verso un io, riconfermi anche un certo ambiente “sintetico” e “sintetizzato”. Elettronica e ferro ruvido… come dire: un navigatore satellitare in pieno deserto consumati dalla sete. Parlami di questo suono…

Il suono che sto sviluppando già da “Love In A Dying World” nasce da un mix personale di ascolti ed influenze. C’è il blues acustico, spoglio e solitario, la dimensione religiosa alla Cash o alla Cave, il lamento lugubre e funebre alla Nico, la ripetitività ossessiva swansiana, un certo tipo di sound cinematografico un po’ morriconiano e un po’ lynchiano e del folk psichedelico più moderno alla Mazzy Star. Il tutto dipinto su uno sfondo desertico. Questo tipo di suono o di songwriting credo che nasca dalla mia solitudine. Creativa in primis in quanto molte canzoni nascono semplicemente dalla mia chitarra e non vengono filtrate da altri intermediari se non in fase di registrazione. Secondariamente credo che nasca anche da alcuni miei limiti tecnici che mi portano a togliere invece che aggiungere, a ridurre, limare, cadendo nell’ossessività circolare che sfocia così nella mia attitudine creativa.

?A chiudere non possiamo non citare questo virus e questo lungo anno che non finisce. Eppure, tra fede e follia sento questo disco profetico in anticipo su quel che è accaduto… 

Non sei l’unico ad aver avuto questa suggestione e per certi aspetti non posso che darti ragione e prenderne atto. Ma allo stesso tempo credo che “Tales of Faith and Lunacy” trascenda un tempo specifico perché abita un suo tempo-non tempo. Parlando semplicemente dell’uomo e della sua infinita debolezza e caducità è uno sfondo sonoro che ben si adatta al nostro presente ma anche al nostro passato. Come un canto antico che risuona per sempre nelle fredde mura di una cattedrale.


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