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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
12/08/2021
Arancioni Meccanici
Le interviste di Loudd
Gli Arancioni Meccanici sono di nuovo in pista. Un ritorno marcato da una manciata di singoli, uno più riuscito dell’altro, che ne hanno modificato il sound, arricchendolo di nuove suggestioni, e rendendoli pronti a posizionarsi nel contesto di questi anni così indecifrabili. Ne parliamo con Andrea Mottadelli, uno dei membri storici del gruppo, con quattro chiacchiere in libertà.

Può darsi che vi siate persi gli Arancioni Meccanici, in questa ridda sempre più vorticosa di uscite per cui capita sempre più spesso di non aver mai sentito parlare di una band che ha magari già due o tre dischi all’attivo. Nel loro caso poi è ancora più dura, perché il quartetto milanese appartiene all’epoca pre-Streaming, quando per rimediare un gruppo, locale o meno, dovevi per forza di cose comprargli il disco dopo il concerto (per carità, c’era anche il dowloading illegale ma chi era così infame da scaricare l’album di una band emergente?).

Dopo due dischi registrati negli anni ’10, il primo omonimo nel 2010 e il secondo, Nero, tre anni dopo, il gruppo si è preso una lunga pausa, dovuta principalmente al fatto che in Italia, se non sfondi, le vicissitudini della vita sono spesso e volentieri incompatibili col mestiere di musicista. Dallo scorso anno sono però di nuovo in pista, un ritorno marcato da una manciata di singoli, uno più riuscito dell’altro, che ne hanno modificato non di poco il sound, arricchendolo di nuove suggestioni e rendendoli nel complesso più adatti a posizionarsi nel rinnovato contesto di questi anni così indecifrabili. Uscirà un disco, anche se le tempistiche non sono ancora perfettamente note. Nel frattempo, siccome di carne al fuoco ce n’è comunque parecchia, abbiamo raggiunto Andrea Mottadelli, uno dei membri storici del gruppo, per quattro chiacchiere in libertà.

 

Sono passati diversi anni dal vostro ultimo disco: cosa è successo nel frattempo e da dove viene l'idea di tornare?

Abbiamo preso una pausa per diversi motivi. Gianfranco (Caserta, NDA) è diventato padre, io mi sono concentrato su altri progetti e trasferito a Londra - dove risiedo attualmente - mettendo in piedi il mio progetto solista. Oltre a questo abbiamo preso strade diverse con il batterista di allora. Tutte queste cose hanno contribuito a determinare questa pausa.

Avevamo delle idee in cantiere gia’ dalla fine di Nero. La voglia di portarle a termine ha fatto sì che riprendessimo in mano gli Arancioni, senza darci però particolari scadenze ma ragionando traccia dopo traccia.

 

A parte il batterista, ci sono stati altri cambiamenti di line up?

Per quel tour è entrato a far parte della band Stefano Penolazzi al basso, un amico già da tempo. Alla fine di quei concerti poi non è stato introdotto un nuovo elemento alla batteria, per cui il progetto si è orientato esclusivamente al lavoro in studio, che in questa fase è stato gestito tra me - che nasco batterista - e Gianfranco.

 

Avete pubblicato quattro singoli, immagino che si tratti del processo di avvicinamento al disco. Trovate il mondo del Music Business, per lo meno in Italia, cambiato rispetto a dieci anni fa? Se sì, come? Sono partito dai singoli perché a mio parere la differenza maggiore è questa, che il singolo, come negli anni ‘60, ha ripreso prepotentemente a dominare il mercato... Ve lo chiedo anche perché dal singolo che ha segnato il vostro ritorno è passato ormai un anno...

Sì, credo che alla fine con l’aggiunta di altre 4 tracce attualmente in lavorazione faremo uscire un LP. Come dicevo, abbiamo ragionato una canzone alla volta, anche in virtù del meccanismo circa il ritorno dei singoli che sottolinei tu. Questo fa sì che la cosa più importante penso sia rimanere presenti sulla scena con più frequenza avendo materiale nuovo da proporre, piuttosto che aspettare quei 2/3 anni in media per presentarsi poi con un intero disco nuovo.

Per quanto riguarda le differenze con dieci anni fa, quella principale è che ormai oggi fare musica, fuori da un business plan ben definito riservato a pochissime realtà tendenzialmente simili tra loro, assomiglia molto a fare del volontariato per quel poco pubblico a cui può ancora interessare qualcosa d'imprevisto e non allineato.

 

E forse, un'altra differenza notevole è che le band sono quasi del tutto scomparse a favore degli artisti solisti... che ne pensi?

Penso sia proprio una causa-effetto di quanto appena detto.

Il concetto di “band” sembra infatti scomparso, e questo mi sembra limiti le contaminazioni e le diversità.

Ciò non vuol dire però che non ci siano artisti solisti di talento e che apprezziamo.

 

Ascoltando questi nuovi pezzi, mi pare che la vena Punk dei vostri primi lavori sia un po’ andata persa a favore di un suono complessivamente più pieno e meno grezzo. In generale mi pare siate anche maturati dal punto di vista della scrittura...

Sono d’accordo, è stato tutto un percorso graduale, sia come individui che musicalmente, e rispetto al progetto.

La componente Punk comunque rimane fondamentale e marchiata sotto pelle al di là di tutto.

Spesso emerge in maniera più evidente, altre volte magari meno, ma è sempre presente.

 

Su “Combustibile”, più ancora che sui brani precedenti, avete lavorato sul ritmo, ed è un brano che ha un gran tiro. A me pare si possa ricollegare a “Zombie Jungle”, nelle intenzioni generali: sei d'accordo?

Sicuramente in queste ultime tracce emerge molto la passione che abbiamo per la disco music, l’italo disco e un certo funk, il tutto poi anche quando applicato a forme canzone più pop o new wave. Negli ultimi anni abbiamo fatto un’abbuffata di questi ascolti sia in ambito italiano che estero e più moderno.

 

Che cosa rappresenta esattamente il combustibile del titolo? Da che cosa è mossa oggigiorno, secondo voi, l’umanità che vi circonda? E il vostro combustibile, come band e come individui, qual è?

Il combustibile che abbiamo immaginato è sicuramente una qualsiasi materia capace di sprigionare grandi energie, senza che ci si preoccupi troppo delle eventuali conseguenze.

Se si volesse fare una considerazione più ampia, magari poi questo può aver appunto portato l’uomo a fare anche qualche danno su scala globale, ed a “volerne” poi sempre di più come unico scopo.

Ma non mi spingerei troppo in là nel dare alla canzone dei significati, preferisco che alla fine rappresenti un mondo a sé col suo taglio abrasivo, sarcastico, surreale e celebrativo a modo suo.

Per quanto riguarda noi, il combustibile più efficace sono le serate che iniziano all'aperitivo, con delle colonne sonore adeguate.

 

E tornando a “Zombie Jungle”: che cos’è questa “Giungla zombie” che evocate nel titolo e nel ritornello?

Potrebbe essere qualsiasi ambiente lavorativo o sociale in cui vigono regole e automatismi che rendono inutile o addirittura pericolosa, per il suddetto ambiente, un'osservazione cosciente della realtà. Anche una chat, se per questo, può essere una Zombie Jungle.

 

Avete pubblicato due brani che hanno la parola “Disco” nel titolo; poi però, quando li si va a sentire, si scopre che un certo tipo di sonorità è più citato che riprodotto: per dire, “Italo Disco” è esplicitamente New Wave mentre “Disco d'argento” al di là del bellissimo break di sax, ha dentro un'oscurità malinconica che mi ha ricordato certe cose dei primi Virginiana Miller. Insomma, tutto questo contrasto da dove arriva?

I contrasti e i paradossi sono parte fondamentale della nostra produzione, fin dal nome che abbiamo scelto, immaginandoci dei monaci buddisti che invece di meditare, andavano in giro a far danni, come i drughi di Arancia Meccanica.

In ogni caso, sono contento che tu abbia notato il sax, è stato un grande regalo che ci ha fatto Andy dei Blu Vertigo. E' arrivato in studio portando una serietà e un talento che contraddistinguono un grande artista e in un paio d'ore ha fatto una serie di assoli meravigliosi, lasciando a noi solo l'imbarazzo della scelta.

Per quanto riguarda i pezzi citati, è proprio come hai detto tu, sono pezzi sicuramente ritmati e ballabili, che parlano della discoteca e dell'Italo Disco, essendo, tuttavia, soprattutto nel caso di "Italo Disco", un'altra cosa.

 

Che cosa rappresentano i campionamenti vocali all'interno di “Italo Disco”? Mi ha incuriosito soprattutto trovarci dentro la voce di Pizzul. È forse l'episodio del goal di Baggio contro la Nigeria a Usa ‘94?

L'idea è venuta abbastanza naturalmente durante la scrittura del pezzo.

Quella parte centrale, ipnotica e narcotizzata, serve a evocare alcune memorie del passato e a proiettarle nel futuro. Inoltre rappresentano un piccolo tributo a quella che per tanti versi è un'età aurea e decadente al tempo stesso, di cui siamo indubbiamente estimatori e nella quale artisticamente ci ritroviamo.

Ci siamo divertiti a individuare, ripescare e ridare voce, in quei frammenti audio, ad alcuni personaggi pubblici e iconici del periodo.

Per quello che riguarda Pizzul, credo possa essere l’episodio con la Nigeria da te citato.

 

C’è qualche artista che vi piace particolarmente tra quelli usciti negli ultimi anni?

Ce ne sono parecchi. Ora mi vengono in mente Neon Indian, Surfing, Fat White Family, Soft Moon e gli italiani Nu Guinea.

Ah, dimenticavo anche Crema De La Soda e Julia Ziverti dal cast di Ciao 2020, il programma russo dello scorso capodanno ispirato agli anni 80 italiani.

 

Cosa succederà adesso? Suonerete dal vivo? Pubblicherete altri singoli prima del disco?

Proseguiremo il lavoro sulle tracce restanti per arrivare a completare il disco intero, cercando di ultimarlo - visti i vari impegni lavorativi e musicali che si sovrappongono - entro la prossima estate.

TAGS: intervista | lucafranceschini