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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
08/01/2021
Blackout Problems
Le interviste di Loudd
Una piacevole chiacchierata Zoom con Michael Dreilich, batterista di una delle più interessanti band emergenti dalla scena rock alternative: i Blackout Problems. La band, formatasi a Monaco nel 2012, dopo gli ottimi Holy (2016) e KAOS (2018), firma da poco con la Sony. Il nuovissimo album, DARK, è in uscita il 15 gennaio 2021.

I Blackout Problems si stanno affermando sempre più sulla scena alternative rock europea, ma in Italia non vi conosciamo ancora così bene, puoi presentare la band al pubblico italiano e raccontarci com’è nato questo meraviglioso progetto?

Ti posso anzitutto dire che in realtà i Blackout Problems esistono già dal 2008, con una primissima formazione, anche se poi siamo diventati chi siamo dal 2012, che poi è la data ufficiale di inizio attività che si trova su tutti i siti. Io faccio parte della formazione dal 2012, quando eravamo ancora una band formata da tre elementi: io alla batteria, Mario (Radetzky) alla voce e chitarra e Marcus (Schwarzbach) alla voce e al basso. Nel 2016 si è unito poi a noi Moritz (Hammrich) alla chitarra: il pezzo mancante del nostro puzzle. Abbiamo pubblicato Holy (2016) e siamo diventati la band che siamo oggi. Solo due anni dopo è uscito KAOS (2018) e ora arriverà quello che vediamo come il nostro terzo bambino, che nascerà a gennaio: DARK. Siamo veramente felici del risultato e sono felice di parlare con te! È incredibile quante interviste abbiamo fatto anche solo oggi, penso sette o otto in un solo giorno, e per noi è decisamente pazzesco, perché in realtà siamo solo un piccolo gruppo di amici che fanno musica e siamo abituati ad avere un programma di non più di due interviste in un normale giorno di tour, quindi non posso che dirti: grazie mille!

Grazie a voi! Iniziamo infatti a parlare del vostro nuovo album. Sono usciti diversi singoli e mi ha molto colpito come in “Murderer” parlate di trasformare la rabbia. Che interpretazione date a questa canzone, cosa volete comunicare?

“Murderer” è effettivamente un brano un po’ complicato, perché la canzone può essere letta da diverse prospettive. Già dal primo verso prendiamo spunto da uno dei casi di cronaca che ci capita di leggere sull’argomento: una persona di estrema destra che sta cercando di uccidere qualcuno. Cerchiamo quindi di immedesimarci nella persona di cui stiamo parlando e di parlare dal suo punto di vista, perché troviamo che al giorno d’oggi ci siano davvero tanti temi e tante cose per cui essere arrabbiati, ma pensiamo sia sempre utile cercare di fornire una sorta di chiave di lettura e prospettiva ai problemi che vediamo attorno a noi, ed è quello che tentiamo di fare con “Murderer”.

La storia che sta dietro alla canzone è la seguente: in Germania, negli ultimi anni, i politici di destra sono diventati molto più influenti e forti, ed è accaduto che un sostenitore di un partito politico di destra sparasse ad un altro politico. Il politico assassinato parlava di uguaglianza e di accoglienza ai rifugiati in Germania, era un uomo buono e positivo e a nostro avviso diceva cose giuste. Il tizio che gli sparò, però, non era per nulla d’accordo, tanto da spingersi così in là da guidare verso sud, entrare nel suo giardino e sparargli da distanza ridotta.

Un evento così tragico è difficile da accettare, perché mostra quanto oltre le persone possano spingersi se qualcuno si schiera contro le loro idee politiche e di cosa siano capaci i terroristi di estrema destra. È un problema enorme, e non solo in Germania, ma sicuramente anche nel tuo paese.

Noi siamo convinti che sia necessario parlarne, far sapere che queste cose succedono, ma anche indicare una risposta a questi comportamenti, ed è per questo che in “Murderer” ad un certo punto diciamo: “rispetta e ama tutti”, lo facciamo perché pensiamo sia quella soluzione per vivere in armonia, anche con le persone che la pensano diversamente da te. Pensiamo che la chiave di volta sia accettare le persone per come sono ed accettarsi l’un l’altro, senza discriminare nessuno. Questo è il messaggio di base.

Sono consapevole che può sembrare molto scontato e semplice, ma speriamo che molte persone colgano il senso quello che stiamo dicendo e gli diano peso. Con questa canzone vogliamo affrontare le persone di destra che vogliono creare problemi o che si schierano contro i profughi senza alcuna ragione e dire loro che invece dobbiamo rispettare ed amare tutte le persone, questa è e dovrebbe essere la cosa più importante.

I temi sociali inclusi in questo nuovo album in effetti non mancano, pensi che la musica serva anche a trasmettere messaggi e a dar loro forza? Ho visto il vostro documentario, Dark Days, ed è incredibile come i mesi scorsi e quello che stiamo vivendo vengano raccontati come se fossimo in un film, anche se in realtà lo stiamo vivendo davvero, è molto di impatto. Pensi inoltre che questo tipo di contenuti (video su YouTube e post sui social media) siano due ingredienti importanti per le band che in questo momento desiderano diffondere un messaggio o raggiungere più fan?

Credo sia difficile rispondere a questa domanda, ma posso dirti che non credo che tu debba sempre dire qualcosa con la tua musica: non devi per forza schierarti per qualcosa, ma hai la possibilità di farlo.

Ho sempre amato artisti o band che si sono schierati per qualcosa o hanno provato a denunciare qualcosa, ed è quello che stiamo facendo con Dark Days: fornire una sorta di storia di background e un contesto alle canzoni e alla circostanze che hanno influenzato la creazione del disco. Siamo solo quattro ragazzi e non siamo degli esperti quando si parla di clima o dei diritti delle persone, ma ci informiamo e cerchiamo sempre di migliorarci. Quindi, quando parliamo di questi temi, dobbiamo e vogliamo più che altro dare voce alle persone che sostengono questi punti di vista e che si schierano in merito a questi temi, dicendo: ascoltate loro! Quello che abbiamo provato a fare con questi documentari è cercare di fare in modo che il nostro disco e la nostra musica diventino una piattaforma per poter parlare di questi argomenti.

Per rispondere all’altra parte della tua domanda, comunque, non penso che questo sia necessario per avere successo e non è il motivo per cui lo stiamo facendo: abbiamo semplicemente pensato fosse necessario per far arrivare la nostra musica alle persone nel modo giusto, fornendo un contesto e delle informazioni di background.

Hai accennato agli artisti e alle band che ami, quali sono le tue principali influenze? Che musica tu e gli altri ragazzi della band ascoltate, nella vita di tutti i giorni?

Forse ti stupirà, ma in realtà io non ascolto tantissima musica. Amo la musica e sono sempre immerso nella creazione di musica, ogni giorno, ed è un dono fantastico, il lavoro dei miei sogni. Questo però mi fa risultare un po’ pigro nei confronti della nuova musica. Inoltre di solito non ascolto la musica che mi viene suggerita, perché voglio trovare da solo nuove ispirazioni. L’ultima volta però gli amici e il web mi hanno suggerito un paio di volte una band chiamata IDLES, non so se li conosci: io dicevo sempre “no, devo trovarmi da solo la mia musica da ascoltare”, ma poi sono incappato in una loro performance live su YouTube e ne sono stato immediatamente catturato: è una band magnifica! Mi sono messo ad ascoltare tutti i loro dischi. Posso dire quindi che normalmente non sono alla ricerca attiva di nuova musica, ma quando trovo qualcosa che mi piace, l’ascolto tantissime volte!

Solitamente, comunque, mi dedico ai Podcast: quando sei così tanto immerso nella musica, ascoltarli può essere molto piacevole. So che può sembrare un cliché, ma quando fai musica e poi ascolti musica, non puoi trattenerti dall’essere un musicista, noti sempre i dettagli di produzione. Anche se volessi ascoltare solo come un fan, non ci riuscirei. Non subito, ma quando ascolto una canzone per la seconda o terza volta, inizio a chiedermi: “Perché mi piace così tanto? Cosa la rende bella? Può essere questo? Oppure quello?”, poi ricordo a me stesso di ascoltarla e basta, ma non è automatico. So che sembra una risposta stupida, ma è per questo che ascolto molto più volentieri Podcast per la maggior parte del tempo, specialmente quelli che non hanno niente a che vedere con la musica. Seguo moltissimo quelli che parlano di skating, online ce ne sono parecchi che parlano di questo sporti…e io adoro lo skate! E quindi ascolto un sacco soprattutto The Nine Club.

Torniamo al nuovo album e parliamo del processo di composizione. Ho visto che durante la creazione del disco siete stati in Austria e in Francia, com’è stato il making of? Avete prodotto un sacco di canzoni? Com’è stata la selezione per l’album?

Quando abbiamo pubblicato KAOS abbiamo suonato il nostro ultimo show il primo dicembre 2018: era stato il nostro migliore live come headliners ed eravamo davvero in un bel mood, incredibilmente positivo. Così, dopo una settimana, senza nemmeno concederci un po’ di tempo libero, siamo andati subito in una baita in Austria e abbiamo poi continuato a scrivere il disco nel 2019. Abbiamo quindi estratto “Sorry”, il singolo, e abbiamo pubblicato quello, poi siamo andanti avanti a creare.

Sì, avevamo tantissime canzoni: siamo quattro individui davvero diversi, con differenti modi di scrivere e di essere creativi e non puoi sempre mettere insieme tutte le influenze nello stesso pezzo. Non possiamo mettere insieme un beat hip hop affiancandolo ad una linea di basso techno e ad un riff punk rock: produrremmo caos e confusione, non funzionerebbe. Quindi non possiamo mettere le influenze di tutti in ogni singola canzone, ma dobbiamo trovare un senso comune tra noi quattro e dire: “ok, proviamo ad andare in questa direzione e vediamo cosa possiamo fare seguendola”.

Vogliamo rimanere una rock band, ma soprattutto vogliamo rimanere una band: questa è per noi la cosa più importante. Ma, detto questo, oltre al rock, vogliamo inserire l’elettronica, e non solo come ingrediente aggiuntivo, ma dandole importanza. L’elettronica non può stare da sola, così come non può farlo la parte rock: per noi hanno lo stesso valore e la stessa influenza e cerchiamo di combinarle al meglio.

Penso che abbiamo fatto un buon lavoro, anche se a volte è stato davvero difficile: elettronica, techno e rock hanno poco in comune, se parliamo degli aspetti tecnici della musica, quindi a volte è stato difficile, ma alla fine abbiamo fatto in modo che questa unione potesse avvenire. Quello che voglio dire è che non è che ognuno portasse le sue influenze sul tavolo vedendole poi al 25% in ogni canzone: ci siamo concentrati su quello che ci piace come gruppo e cosa vogliamo fare come gruppo, e in quello spazio ognuno ha potuto essere se stesso.

Con questo vostro nuovo lavoro, DARK, avete firmato per una major. Cosa ha significato per voi firmare con la Sony Music label RCA dopo anni come band indipendente? Cos’è cambiato? Nel documentario raccontate ad esempio di aver lavorato insieme a tante persone.

Anzitutto ci tengo a dire che no, non ce ne andiamo in giro a fare le rockstar con macchine costose! Non è cambiato nulla in questo senso, ma alcune cose sono cambiate. È stato un argomento difficile perché siamo sempre stati una “do it yourself” band e non abbiamo mai avuto una grande azienda a fianco, non abbiamo mai visto così tante persone al lavoro sul nostro progetto e non ci era mai capitato di non conoscere per nome tutte le persone che lavorano per noi. Oddio, non che ci siano centinaia di persone che lavorano per noi, ma non puoi per esempio chiamare qualcuno e chiedergli: “hey, come sta uscendo la copertina o come va la stampa del book?”. Non puoi perché è nelle mani di qualcun altro… e noi non ci siamo abituati.

Abbiamo e manterremo il controllo totale in merito alla creatività e alla nostra musica, lo abbiamo detto fin dall’inizio: “non cambieremo nulla in merito alla band o alla musica: prendeteci come siamo o non prendeteci”. Sony però ci ha detto: “avete già in mano qualcosa di buono, se lavoriamo insieme possiamo raggiungere più persone”, e questa è stata l’idea e il motivo per cui abbiamo firmato. Ci hanno chiesto: “volete far arrivare la vostra musica a più persone?” e abbiamo detto “sì”, perché vogliamo che tutti ascoltino la nostra musica: vogliamo vedere persone che ascoltino il disco in Italia, in Inghilterra, in Spagna, in America, ovunque. E vogliamo andare in questi posti a suonare dal vivo! Questa era l’idea di base e il nostro obiettivo. Ci siamo quindi detti: “ok, proviamoci insieme e puntiamo ad arrivare in quanti più paesi possibili”. Non penso ad esempio che questa intervista sarebbe in corso senza il supporto di Sony, ma non penso nemmeno che Sony sia arrivata a salvarci; è importante che si sappia che la nostra decisione si è basata unicamente sull’idea di provare a raggiungere paesi dove non siamo ancora stati.

Quindi, quando sarà possibile, ci possiamo aspettare un tour?

Si, assolutamente, sarebbe fantastico! Ma purtroppo è difficile al momento.

Sto pensando ora che in Germania siete in lockdown!

Sì, esatto, hanno annunciato un severo lockdown per la seconda volta. Non so esattamente come sia la situazione nel tuo paese, ma è difficile!

Siamo stati a Milano quasi due volte: avevamo una data nel febbraio 2020 perché eravamo in tour con i Royal Republic, ma purtroppo non siamo riusciti ad arrivare perché siamo rimasti bloccati al confine con la Svizzera, e ci siamo persi sia lo show di Zurigo che quello di Milano. I Royal Republic sono riusciti a raggiungervi, sono tornati, e ci siamo trovati all’ultimo show da qualche parte in Austria, scherzando in merito al Coronavirus perché il giorno prima nel vostro paese era stato registrato il primo caso. Tornati indietro i ragazzi scherzavano con noi dicendo “vi abbiamo portato il Coronavirus”, ed è pazzesco pensare a questa cosa perché nessuno poteva aspettarsi quello che è poi accaduto e quanto invece sarebbe diventato terribilmente serio: è folle!

Cosa puoi raccontarmi sulla vita della band? Se non sbaglio leggevo che considerate la band come se fosse la vostra casa. C’è qualche routine di lavoro che avete stabilito?

Quest’anno siamo stati molto impegnati e abbiamo registrato fino all’inizio di giugno (credo, il mio cervello va in crash quando cerco di ricordarmi le date!). A seguire non ci siamo visti tutti i giorni come facevamo abitualmente, ma da novembre abbiamo stabilito due giorni settimanali da dedicare completamente alla band: giorni in cui parliamo del lato business, proviamo le nuove canzoni e facciamo tutto ciò che riguarda i Blackout Problems. Stiamo insieme dalle dieci del mattino fino alle sette o alle otto di sera, e questa è la nostra routine adesso. Faremo forse un altro meeting prima di Natale [l’intervista è avvenuta la settimana prima di Natale, ndr.], ma per ora siamo organizzati così: due giorni a settimana in cui insieme suoniamo e scriviamo musica.

Hai qualche suggerimento da dare alle band che stanno iniziando ora o che vorrebbero far conoscere la propria musica?

Oh no, sono davvero in difficoltà nel dare suggerimenti a terzi: non so quale sia il loro valore aggiunto, non conosco il loro background musicale, non conosco la loro vita, quindi dubito di poter dare dei consigli. Con Internet inoltre non c’è più nessuna barriera o filtro nemmeno su queste cose: nessuno giudica i tuoi consigli o i tuoi tutorial, puoi caricare un tutorial a caso su YouTube e dire “un sandwich si fa così” e nessuno dirà che non è vero. Quindi trovo che anche per questo oggi sia difficile dare veri consigli e mi astengo dal fornirli, a meno che non conosca davvero la situazione.

Posso però dirti che quello che ha funzionato per noi è restare amici e prenderci cura l’uno dell’altro, trovo sia la cosa più importante da fare se sei in una band. Puoi suonare insieme e mantenere la chimica solo se niente si interpone tra i suoi membri: quello con la band deve essere il legame più forte che hai e quindi, prima di lavorare sulla produzione o sulla musica o sul booking o tutte le altre cose, devi avere in mente che le relazioni interpersonali che hai con gli altri del gruppo sono la cosa più importante. Questo se vuoi essere in una vera band. Se sei un’artista solista e hai una band a supporto allora è tutto un altro scenario, totalmente differente, ma in una vera band ci si deve sempre prendere cura l’uno dell’altro.

Allora vi aspettiamo live in Italia!

Sì, spero prestissimo! Oltre a Milano e a Roma, hai consigli su dove potremmo suonare?

Una città interessante potrebbe essere Torino, per la musica. Ma non conosco bene le location! Preferite suonare in location piccole? A contatto con il pubblico?

Si, assolutamente! Ora ricordo! Siamo stati a Milano anni fa, ma in una location fuori dal centro… quindi non siamo riusciti a vedere la città, è un peccato! Speriamo che la prossima volta sia possibile!

In effetti ci sono tante location nella periferia della città, che offrono spazi più ampi sia come stage che come area per il pubblico. È un periodo molto difficile per i locali e qui su molti sono nate campagne di crowdfunding o azioni specifiche per supportarli: ingressi, birre o abbonamenti acquistati in anticipo per aiutarli e fare in modo che, alla fine di questo incubo, chi si dedica ad ospitare la musica dal vivo e a darle spazio ci sia ancora.

Assolutamente, non vediamo l’ora di poter suonare nuovamente e possiamo solo immaginare i disagi delle location. È stato un piacere parlare con te e speriamo di incontrarci presto di persona: noi faremo del nostro meglio per raggiungere il vostro paese quanto prima per suonare dal vivo!

***

I Blackout Problems sono:

Mario Radetzky (vocals, guitar)

Marcus Schwarzbach (bass, vocals)

Michael Dreilich (drums)

Moritz Hammrich (guitar, vocals)

 

Per chi volesse dare un’occhiata al documentario di “Dark Days”, qui sotto i link:

 

Ep.1 - https://youtu.be/_0-9L3-T3qM  

Ep.2 - https://youtu.be/mjVQ4xIXX6U 

Ep.3 - https://youtu.be/xeSSlWw1qxQ 

 

Per chi invece non vede l’ora di ascoltare i quattro singoli sinora pubblicati, di seguito i link ai video:

 

“Murderer” - https://youtu.be/oWxK1HYZOR4 

“DARK” - https://youtu.be/G-EYyWghA20 

“Brother” - https://youtu.be/bKlXJGQAciU 

“Lady Earth” - https://blackoutproblems.lnk.to/LadyEarth 

 

BLACKOUT PROBLEMS online:

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