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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
19/04/2021
Dobermann
Le interviste di Loudd
Una chiacchierata su “Shaken to the core”, il nuovo album dei Dobermann, band made in Torino che dal 2011 incendia i palchi di tutta Europa con il loro hard rock al fulmicotone, condito per l’occasione da nuovi elementi ritmici e melodici. Venite a scoprire cosa ci hanno raccontato.

 

L’11 giugno, per Wild Mondays Music e Horus Music UK, uscirà il vostro nuovissimo Shaken to the core: in parole chiave, cosa ci aspettiamo?

Paul Del Bello. Ciao Loudd, ciao Elisa, grazie per questo spazio anzitutto! Sì, l'11 giugno 2021 esce un disco rock’n’roll su cui abbiamo lavorato negli ultimi 3 anni, tra tour, prove, conflitti globali sfiorati, crolli della borsa e pandemie mondiali. È veramente un buon album. Sicuramente ci sarà qualcosa che vi aspettate, sicuramente ci sarà qualcosa che non vi aspettate, sicuramente non vi lascerà indifferenti. Naturalmente è anche il nostro disco migliore, Shaken to the Core è il suo nome!

Valerio ‘Mohicano’ Ricciardi. Questo album sarà una piacevole sorpresa per tutti. Abbiamo osato molto di più e abbiamo sviluppato i punti di forza acquisiti nel lavoro di produzione del disco precedente: siamo diventati dei migliori songwriter. Le canzoni sono rapide, dritte al dunque, leggere nelle strutture e infarcite da highlights esplosivi! Chi si aspetta novità sarà appagato dalla nostra ricerca, chi si aspetta le "mazzate" tipiche dei Dobermann sarà ugualmente accontentato: abbiamo dei menhir pesanti come macigni, per le vostre cape dure!

Antonio Burzotta. Novità: quello che sentirete non sarà per nulla scontato, come già avrete sentito dal primo singolo estratto.

  • Varietà: questo album va a sfiorare diversi generi musicali, pur rimanendo sempre rock.
  • Solidità: nonostante le difficoltà i Dobermann non mollano la presa e vi regalano, a mio parere, della buona musica.

 

Cosa ci raccontate del lavoro svolto con Alessandro Del Vecchio? Che ingredienti ha aggiunto all’album?

Paul. Più che aggiungere ingredienti è stato lo chef stellato che ha saputo usare bene quello che abbiamo portato noi. Dal punto di vista del songwriting è (fortunatamente) dovuto intervenire relativamente poco, i brani erano già a un buon livello compositivo quando siamo entrati in studio. Nel 95% dei casi il compito del produttore è eliminare (più che altro, convincere i musicisti a lasciar perdere) parti irrilevanti o superflue, ma noi avevamo già deciso di mettere insieme dei brani il più coesi possibile, evitando intro troppo lunghe o parti non necessarie. Credo che abbiamo fatto davvero un buon lavoro a livello di songwriting. È il nostro quinto album, cominciamo ad accumulare una certa esperienza. Anche per questo direi che il processo di finalizzazione e registrazione dei brani è stato veloce e indolore. Alessandro è stato molto bravo a gestire la situazione su piano musicale e personale, è una dote importantissima per un produttore. Mettere le mani nella musica di una band non è un'impresa facile e le poche aggiunte che ha fatto sono state comunque decisive; per qualche settimana è stato il quarto membro dei Dobermann.

Valerio. A ciò che ha detto Paul aggiungerei che è stata una delle più belle esperienze che io abbia mai vissuto coi miei compagni. 3 settimane nella stessa casa a ridere, pianificare, bere bottiglie di vino, ma sempre ligi e professionali fino all’ultimo secondo, vivendo questo zelo dalle 8 del mattino fino alle 20 di sera, focalizzati sul nostro obbiettivo comune. Un disco come questo richiede confronti, decisioni, cambi di programma, infiniti piccoli disaccordi, puntualizzazioni, revisioni e picchi di euforia, per poter essere messo insieme. Il know-how leggendario di Alessandro e la sua capacità di interazione con la band hanno fatto la differenza sia nella mediazione umana sia nel suono incredibile che è riuscito a catturare. Sapeva già di avere a che fare con una band che vive "on the road" e aveva una "visione" del prodotto finale chiara e calzante con la nostra natura scalciante. I brani li avevamo già, li ha "sgrossati" con noi in pre-produzione e poi ci ha messo la sua magia. Che bomba, ragazzi!

Antonio. Alessandro è riuscito a farci sentire a nostro agio, ci ha lasciati liberi di esprimere noi stessi come musicisti e, grazie alle sue ottime competenze, ha tirato fuori un bellissimo suono da trio di cui andare fieri. Sicuramente è stato determinante su alcune scelte quando noi tre ci trovavamo in disaccordo, succede spesso e una voce esterna e distaccata aiuta a capire qual è la direzione corretta.

Avete inserito anche una canzone che avete già svelato in qualche live, “Stiff Upper Lip”, giusto? Ha già riscosso successo dal vivo?

Valerio. Bravissima, esatto! “Stiff Upper Lip” è una delle canzoni più catchy e “orecchiabili” dell’intera produzione ed è stato anche il primo brano che abbiamo composto dopo aver pubblicato Pure Breed. Avevamo un riff, ci abbiamo sviluppato il groove e ricordo ancora il preciso istante in cui, durante un soundcheck, ne abbiamo ipotizzato un ritornello. Ci ha conquistato immediatamente e lo abbiamo registrato col telefono. Non è mai cambiato da allora!

È impagabile la sensazione che si prova nel vedere il pubblico canticchiarlo già al primo ascolto, quando la suoniamo live. Ha un ritmo particolarmente accattivante ed è impossibile non farsi conquistare dal suo dondolamento! Come potevamo dunque non immortalarla in Shaken To The Core? È una fotografia perfetta di un certo periodo della band.

Antonio. Si, quella canzone ha un ritornello molto orecchiabile e la reazione ai primi ascolti è stata subito positiva, con la gente che la canticchiava da subito; abbiamo subito pensato che avrebbe avuto del potenziale. Ci capita di fare questi esperimenti durante i live per testare subito brani nuovi. Non sempre va a buon fine però!

Quale canzone del nuovo album non vedete l’ora di suonare live? E perché?

Paul. “Rock Steady”, “Summer Devil” e “Dropping Like Flies”, ma in realtà tutte. È come tornare sul ring dopo aver passato anni a studiare delle mosse segrete col maestro Pai Mai. Le voglio provare tutte!

Antonio. Per quanto mi riguarda, le più divertenti da suonare sulla batteria sono “Dropping Like Flies” e “Run For Shade”.

Valerio. Io non vedo l’ora di suonare la title-track, “Shaken To The Core”, e “Dropping Like Flies”, per la loro energia incontenibile. “Staring At The Black Road” per l’atmosfera, il suo groove e le sue sfumature sognanti, “Rocksteady” perché ha una “pacca” ed un ritornello travolgente, “Run For Shade” per via dei suoi connotati alla Van Halen e perché sono sicuro che inserita in un’ipotetica posizione verso fine setlist sarà da fuochi d’artificio, infine sono davvero curioso di sentire come arrangeremo “Talk To The Dust” in sede live, uno dei brani più introspettivi di questo viaggio.  

Sogni nel cassetto: andare in tour con...

Paul. Danko Jones, come surrogato accettabile. ll vero sogno nel cassetto erano i Motorhead, ma ormai è andata.

Valerio. Il mio sogno infranto erano invece i Van Halen o i Pantera. Sono un fanboy ESAGERATO di Dimebag Darrel e di Eddie Van Halen. Ma sono un altresì inguaribile fan di Ozzy Osbourne & Zakk Wylde, degli Aerosmith e degli AC/DC. Sarebbe davvero un sogno poter fare un tour con i miei eroi! Secondo me ci sarebbe anche una certa attinenza di proposta e saremmo davvero adatti a scaldare i motori in simili occasioni. 

Sogni nel cassetto: partecipare al festival...

Paul. Ovviamente sarebbe grandioso partecipare al Wacken o al Summer Breeze, ma la verità è che preferisco i festival un po’ più piccoli. È bello suonare davanti a tanta gente, ma le esperienze che ho avuto su grandi palchi sono state anche molto asettiche: la gente è lontana, il suono sul palco è professionale, ma non è quello che piace a me, l'atmosfera è diversa, devi essere molto concentrato e preciso, c'è un orologio gigante che ti fa il conto alla rovescia e ti dice quanto tempo hai. Mi ricordo una sera a Treviso, dove l'orologio non c'era, avevamo sforato di 45 secondi e la stage manager cominciò a sbracciarsi e a mandarmi saette dagli occhi durante il gran finale, dove facciamo un numero difficile col fuoco, e devo stare attentissimo a non bruciare niente e nessuno (me per primo!). Ero lì, in un cerchio di fiamme, e con la coda dell'occhio vedevo questa ragazza che voleva uccidermi. Ovviamente però il grande palco ha anche i suoi lati positivi.

Valerio. Un vero sogno sarebbe il main stage del Download Festival, quello dello Sweden Rock, del Wacken, dell’Hellfest… la lista potrebbe essere lunga. Ma vorrei anche provare la soddisfazione di essere un re nel nostro reame: abbiamo dei festival di grande caratura, in Italia, e mi esploderebbe il cuore di gioia nel poter calcare un grande stage nel mio paese, affiancato da grandi nomi.

Sogni nel cassetto: fare un featuring con...

Paul. Una grande voce ribelle italiana: Loredana Bertè!

Valerio. Qualche grande voce femminile soul/pop o qualche “nuova” forza rock alla ribalta, come Dino Jelusic per esempio. O perché no, qualche leggenda chitarristica. Da Derek Trucks a Bonamassa!

Com'è stato il processo di composizione da gestire con tutte le restrizioni in corso? O i pezzi erano già nelle vostre teste da prima?

Paul. Abbiamo scritto questo album nell'arco degli ultimi tre anni e i brani erano già composti, arrangiati e finiti quando siamo entrati in studio.  Grazie a Dio. Perché sarebbe stato molto difficile altrimenti. Comporre a distanza con cuffia e webcam? No grazie. Inoltre puoi avere tutta la tecnologia che vuoi, ma finché non sarai in una stanza con un Marshall a cannone, non saprai mai veramente come suona il brano.

Come vi siete tenuti in contatto con i fan in questo periodo faticoso? Avete sfruttato per la registrazione una fortunata “finestra” nel periodo di pandemia? Com’è stato tornare in studio insieme e come sono andate quelle giornate?

Valerio. Abbiamo optato per un contatto costante ma non ammorbante tramite l’utilizzo delle piattaforme social, che sono diventate pressoché fondamentali per gestire le attività promozionali della band. L’anno scorso, durante la prima ondata della pandemia, abbiamo rilasciato una versione acustica della nostra “Stuck In Traffic”, un brano appartenente al disco precedente Pure Breed. Poi abbiamo messo insieme un po’ di vecchio materiale backstage appartenente a vari tour e ai momenti studio degli ultimi due album, in modo tale da rilasciare qualche contenuto differente dal solito, creando anche un po’ di aspettativa sul prossimo lavoro e sollazzando alcune curiosità relative ai retroscena dei 3/4 anni precedenti vissuti on the road.

Paul. Le virgolette le metterei su "Fortunata" più che su "Finestra"! La pandemia è scoppiata esattamente mentre eravamo in studio per la pre-produzione. Per lo meno quella è andata liscia! Non ci siamo visti per 2 mesi, siamo tornati in studio a riprovare i pezzi a giugno e a luglio siamo entrati in studio. Diciamo che la tragedia è arrivata con i tempi “giusti” e siamo riusciti a portare a casa la registrazione senza intoppi. In studio è andato tutto liscio. Dopo 3 anni di concerti ininterrotti è stato un bel break creativo. Una volta che le canzoni sono registrate è come arrivare in vetta e togliersi dalle spalle uno zaino pieno di mattoni. Devi ancora tornare a valle, ma ormai la musica è al sicuro.  Personalmente quello è anche il momento in cui comincio a pensare al prossimo album.

Antonio. L’unico modo possibile per tutti, il web. Devo dire che la gente che ci segue è comunque rimasta vicina alla band, dimostrando il proprio calore con messaggi e continuando a seguire le nostre pagine social. Andare in studio è stato un toccasana, dopo mesi chiusi in casa siamo riusciti a sfruttare quel periodo per registrare e ci siamo arrivati carichi, determinati a realizzare l’album che abbiamo creato dopo anni di composizione. Il lavoro è stato serrato, dovevamo sfruttare al massimo le poche giornate a disposizione in studio. Andare a registrare in un luogo lontano da casa, aiuta a concentrarsi e non farsi distrarre dai problemi di tutti i giorni, è molto importante per lasciarsi andare e liberare il meglio si possa offrire. Non è mancato sicuramente il divertimento, sappiamo bene come divertirci in ogni situazione!  

Il nuovo video di “Staring at the Black Road” è appena uscito: qualche nota dal backstage o sulla produzione?

Antonio. Il video, fatto con la tecnica del green screen, è un lavoro che ha richiesto una giornata per le riprese ma tantissimo tempo per la post-produzione, come giusto che sia. In ogni caso siamo molto soddisfatti del risultato!

Valerio. In questo caso abbiamo sfruttato un po’ di sana resilienza per “aggirare” le imposizioni dovute alle restrizioni. Green screen, riprese separate e ben distanziate e tanto, tanto lavoro di post produzione da parte di Violex, il paziente regista che abbiamo scelto per questa impresa. Ha richiesto davvero molto impegno ed energia, vi possiamo garantire che anche alcuni dettagli del look erano stati concepiti in anticipo.

Divertenti le pillole video che ci hanno svelato i dettagli del making of! Da dov'è nata l'idea e qual era l'obiettivo?

Paul. Volevamo mettere insieme qualcosa per tenerci in contatto con i fan. È stato divertente sia per noi sia per loro. Abbiamo svuotato gli archivi e i telefoni! Col tempo uno tende a dimenticare piccoli aneddoti ed episodi, la verità è che la maggior parte del tempo la passiamo a ridere.

Se doveste dirlo in poche parole, quali sono le principali differenze rispetto all’album precedente?

Valerio. In questo disco abbiamo osato di più e valorizzato maggiormente alcuni punti di forza della band, la sessione ritmica, innanzi tutto, è stata potenziata. Interagisce tessendo una trama tra basso e batteria che ormai si discosta parecchio dai cliché del genere. Ogni strumento occupa un meraviglioso spazio a sé stante che non ci rende tutti ammassati sulle solite frequenze, pur confermando la nostra virtù del suonare “serrati”. Il risultato è una godibile distinzione di ogni singolo elemento ed un disco che suona davvero vicino all’ottica del “power trio” che siamo.

I riff di granito, da sempre nostro marchio di fabbrica, non mancheranno. I soli di chitarra saranno sempre tra i grandi protagonisti. I fan dei Dobermann delle “mazzate” rimarranno appagati, ma si troveranno piacevolmente sorpresi di fronte a soluzioni inattese e sorprendenti. Ultimo ma non meno importante: abbiamo dato una grande importanza ai cori. Da sempre Antonio ed il sottoscritto si prodigano live con armonizzazioni degne dei migliori Neri Per Caso ed era tempo di immortalarle!

Paul. Sicuramente un suono più vero e più umano rispetto agli standard moderni. Abbiamo cercato di evitare scelte troppo comode o formule troppo scontate. Il 4 on the floor è bellissimo, ma dopo 4 dischi abbiamo deciso di provare anche a inserire qualcosa di diverso. Abbiamo ridotto al minimo le sovraincisioni e scelto di non quantizzare la batteria o usare trigger, come succede in quasi tutte le produzioni rock moderne. Quello che sentite sul disco siamo noi tre che suoniamo in una stanza, o quasi. Sicuramente c’è più varietà nel songwriting, che si è evoluto, nel bene e nel male. Un basso come Dio comanda e sicuramente dei musicisti migliori. Le uniche cose che non sono cambiate rispetto a Pure Breed sono passione, impegno e dedizione.

Antonio. Più vero: credo che quest’album riesca a dire maggiormente chi siamo e ci descriva meglio come musicisti. I suoni di batteria sono più naturali e appare tutto meno robotico, bensì più suonato e quindi più caloroso. Meno scontato: Ci siamo lasciati andare a qualcosa di più sperimentale e speriamo che la cosa venga apprezzata.

Quali sono state le tematiche affrontate nei testi?

Paul. Non c'è un filo conduttore, ogni canzone è un universo a sé stante. Ognuno dovrebbe essere libero di dare la propria interpretazione alle parole.  Sono molto contento dei testi, di solito sono la parte più difficile, questa volta devo dire che sono venuti fuori in maniera veloce, naturale e indolore. Stai controllando le gomme, ti viene in mente una sequenza di tre parole, la appunti sul telefono, e una settimana (o mesi, o anni) dopo hai un testo: piccoli brandelli di canzoni che piovono dal cielo. Qualcun'altra invece era in agguato da anni, aspettava solo la canzone giusta. Di solito scrivo tutto su un quaderno, e appena finito di registrare butto via tutto quello che non mi serve più (stile di vita!). Stavolta ho tenuto tutti i fogli originali.

Quali sono le ispirazioni musicali che sono finite nelle canzoni questa volta? Ci regalerete anche una ballad?

Paul. Troppe ispirazioni per nominarle tutte! Sicuramente diverse da quelle del nostro lavoro precedente. In tre anni ti passa nelle orecchie una fiumana di musica e, volente o nolente, finisce per definire quello che sei in questo momento storico. Io oggi sono un po' Gene Simmons, un po' Dua Lipa, un po' Josh Homme, un po' Lemmy... La ballad? Forse c'è, forse non c'è… lo scoprirete l'11 giugno!

Valerio. La ballad lasciamo che sia una sorpresa! Per il resto, ne sono sicuro, chitarristicamente parlando avrete modo di avvertire in diverse occasioni le influenze degli ascolti che mi hanno intrattenuto negli ultimi anni. Sentirete Aerosmith, Airbourne, Marty Friedman, un pizzico di Malmsteen e Richie Blackmore, Velvet Revolver, Ac/Dc, Allman Brothers, Queen, Van Halen e molto altro. Tutto rigorosamente in analogico!

Ci aspettiamo anche nuovo merchandising da poter collezionare?

Antonio. Certamente! Nuovo logo, grafiche personalizzate per uomo e donna, t-shirt speciale solo per il pre-order… preparatevi a fare shopping!

Valerio. Certamente! A cominciare da quello più raro di tutti, il PREORDER! Abbiamo stampato delle t-shirt a tiratura limitata che non ripeteremo più dopo l’uscita del disco, proprio allo scopo di sensibilizzare maggiormente il nostro seguito ad assicurarsi una copia dell’album in anticipo! Seguite questo link: https://dobermann.bigcartel.com/

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Line Up:

Paul Del Bello – Voce, basso

Valerio “Mohicano” Ricciardi – Chitarre

Antonio Burzotta – Batteria

 

 

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Il primo singolo, “Staring at the black road”, è già online e potete ascoltarlo qui.


TAGS: Dobermann | ElisaAiraghi | intervista | loudd | ShakenToTheCore